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RASSEGNA

 

9 - 12 maggio 2005

 

Strasburgo

 


 

Sommario

Codici delle procedure parlamentari, abbreviazioni

Deputati al Parlamento europeo

Dichiarazioni 
8 maggio 1945 - 2005: «non può esservi riconciliazione senza verità e ricordo»
La pace in Europa è irreversibile 

Mercato interno  
Qualifiche professionali riconosciute in tutta Europa  

Politica sociale e dell’occupazione
Tempo di lavoro: 48 ore a settimana, al massimo

Affari economici e monetari 
Nomina di Lorenzo Bini Smaghi al board della BCE 

Mercato interno
Fusioni transfrontaliere più facili per le banche

Relazioni esterne 
Afghanistan: paese stabile e democratico che ha bisogno dell'aiuto internazionale

Sviluppo e Cooperazione
Aiutare il Sudan se cessano le violenze    

Commercio estero
Per un commercio mondiale a beneficio di tutti

Agricoltura
Frutta e verdura con il marchio d'origine   

Ambiente
Qualità delle acque di balneazione 
Ruolo guida dell'UE sui cambiamenti climatici
Consultare i cittadini per le decisioni sugli OGM   

Trasporti    
Porti al sicuro dagli atti terroristici 

Cultura      
Patrimonio cinematografico da tutelare    

Informazione e comunicazione      
Strategia d'informazione per conoscere l'Europa  

Dichiarazioni  
Interventi di un minuto        

Varie  
Alimenti destinati a un'alimentazione particolare  
Fecola di patate
Statistiche comunitarie sul reddito e le condizioni di vita
Protezione dei ritrovati vegetali     
Encefalopatie spongiformi trasmissibili      
Misure eccezionali di sostegno al mercato
Accordo CE/Svizzera
Sistema comune di imposta sul valore aggiunto 
Giustizia per la famiglia McCartney 
Partecipazione ai programmi comunitari    
Situazione in Kirghizistan e in Asia centrale        
Bilancio 2006 del Parlamento        

Ordine del giorno 25 - 26 maggio 2005 Bruxelles  

 

 

Codici delle procedure parlamentari

Serie A

Relazioni e raccomandazioni

Serie B

Risoluzioni e interrogazioni orali

Serie C

Documenti di altre Istituzioni

*

Procedura di consultazione

**I

Procedura di cooperazione, prima lettura

**II

Procedura di cooperazione, seconda lettura

***

Parere conforme

***I

Procedura di codecisione, prima lettura

***II

Procedura di codecisione, seconda lettura

***III

Procedura di codecisione, terza lettura

 Abbreviazioni

 - Gruppi politici: vedere pagina seguente

BE

Belgio

IT

Italia

PL

Polonia

CZ

Repubblica ceca

CY

Cipro

PT

Portogallo

DK

Danimarca

LV

Lettonia

SI

Slovenia

DE

Germania

LT

Lituania

SK

Slovacchia

EE

Estonia

LU

Lussemburgo

FI

Finlandia

EL

Grecia

HU

Ungheria

SE

Svezia

ES

Spagna

MT

Malta

UK

Regno Unito

FR

Francia

NL

Olanda

 

 

IE

Irlanda

AT

Austria

 

 


Deputati al Parlamento europeo

Situazione al 12.05.2005

 

PPE/DE

PSE

ALDE/ADLE

Verdi/ALE

GUE/NGL

IND/DEM

UEN

NI

Totale

BE

6

7

6

2

 

 

 

3

24

CZ

14

2

 

 

6

1

 

1

24

DK

1

5

4

1

1

1

1

 

14

DE

49

23

7

13

7

 

 

 

99

EE

1

3

2

 

 

 

 

 

6

EL

11

8

 

 

4

1

 

 

24

ES

24

24

2

3

1

 

 

 

54

FR

17

31

11

6

3

3

 

7

78

IE

5

1

1

 

1

1

4

 

13

IT

24

15*

12

2

7

4

9

4

77*

CY

3

 

1

 

2

 

 

 

6

LV

3

 

1

1

 

 

4

 

9

LT

2

2

7

 

 

 

2

 

13

LU

3

1

1

1

 

 

 

 

6

HU

13

9

2

 

 

 

 

 

24

MT

2

3

 

 

 

 

 

 

5

NL

7

7

5

4

2

2

 

 

27

AT

6

7

 

2

 

 

 

3

18

PL

19

8

4

 

 

10

7

6

54

PT

9

12

 

 

3

 

 

 

24

SI

4

1

2

 

 

 

 

 

7

SK

8

3

 

 

 

 

 

3

14

FI

4

3

5

1

1

 

 

 

14

SE

5

5

3

1

2

3

 

 

19

UK

27*

19

11*

5

1

11

 

2

76*

Totale

268

199*

88

42

41

37

27

29

729*

Deputati uscenti:
Ottaviano DEL TURCO (PSE, IT) (2.5.2005)
Theresa VILLIERS (PPE/DE, UK) (11.5.2005
Christopher HUHNE (ALDE/ADLE, UK) (11.5.2005)

Gruppi politici

PPE/DE

Gruppo del Partito popolare europeo (Democratici-cristiani) e dei Democratici europei

PSE

Gruppo socialista al Parlamento europeo

ALDE/ADLE

Gruppo dell'Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l'Europa

Verdi/ALE

Gruppo Verde/Alleanza libera europea

GUE/NGL

Gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica

IND/DEM

Gruppo Indipendenza/Democrazia

UEN

Gruppo "Unione per l'Europa delle nazioni"

NI

Non iscritti

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DICHIARAZIONI

8 maggio 1945 - 2005: «non può esservi riconciliazione senza verità e ricordo»

Risoluzione sul sessantesimo anniversario della fine della Seconda Guerra Mondiale conclusasi l'8 maggio 1945

Doc.: B6-0290/2005

Procedura: Risoluzione

Dibattito: 11.5.2005

Votazione: 12.5.2005

Votazione

Con 463 voti favorevoli, 49 contrari e 33 astensioni, il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione sul sessantesimo anniversario della fine della Seconda Guerra Mondiale conclusasi l'8 maggio 1945, sottoscritta da tutti i gruppi politici, salvo la GUE/NGL. La Plenaria rende omaggio alle vittime e ai liberatori, ricorda che alcune nazioni hanno dovuto subire la tirannia sovietica e, sottolineando l'importanza del ricordo, riafferma i principi su cui si fonda l'Unione europea e condanna tutte le forme di tirannia.

I deputati, nel commemorare questo anniversario, ricordano con dolore tutte le vittime della tirannia nazista e rendono omaggio a tutte vittime della guerra, «di qualunque appartenenza», e in particolare tutte le vittime dell'Olocausto. Il Parlamento esprime poi gratitudine a tutti coloro che hanno contribuito alla liberazione dell'Europa dal nazionalsocialismo, «un sistema fondato sulla disumanità e la tirannia», e rivolge un tributo particolare «a tutti i militari alleati che hanno sacrificato le proprie vite e a quelle nazioni, segnatamente gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, l'Unione sovietica e gli altri Stati alleati, che hanno combattuto la guerra contro il nazismo e il fascismo».

D'altra parte, i deputati ricordano «che per alcune nazioni la fine del secondo conflitto mondiale ha significato l'assoggettamento a una nuova tirannia inflitta dall'Unione sovietica stalinista» e si dicono consapevoli «delle immani sofferenze e ingiustizie e del profondo degrado sociale, politico ed economico sofferto dalle nazioni rimaste prigioniere al di là di quella che sarebbe diventata la Cortina di ferro».

Il Parlamento, inoltre, riconosce il successo delle nazioni dell'Europa centrale ed orientale nell'instaurazione dello stato di diritto e del rispetto dei diritti umani «dopo le rivoluzioni democratiche che hanno rovesciato i regimi comunisti ed hanno ridato loro la libertà».

I deputati sottolineano l'importanza di conservare vive le memorie del passato, giacché «non può esservi riconciliazione senza verità e ricordo» e, nel contempo, rilevano che solo un'Europa forte può fornire i mezzi per superare le atrocità del passato. Il Parlamento riafferma poi il suo impegno per un'Europa pacifica e prospera fondata sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, della preminenza del diritto e del rispetto dei diritti umani, così come la sua posizione unitaria contro ogni potere totalitario, di qualunque credo ideologico.

Inoltre, il Parlamento saluta questa prima opportunità di commemorare l'anniversario con i membri eletti di tutti i 25 Paesi dell'Unione europea, «in quanto espressione di un'unione sempre più stretta delle nostre nazioni e dei nostri cittadini, che hanno superato le divisioni fra vittime ed aggressori e fra vincitori e vinti, e in quanto occasione per condividere e unire i nostri ricordi sulla via di una vera memoria europea comune ed opportunità per impedire il riemergere del nazionalismo e del totalitarismo».

L'Assemblea saluta poi con soddisfazione il fatto che gli Stati e le popolazioni dell'Europa centrale ed orientali possono ora godere anch'essi della libertà e del diritto di determinare il proprio destino «dopo tanti decenni trascorso sotto la dominazione o occupazione sovietica o sotto altre dittature comuniste». Sottolinea, inoltre, che il processo di integrazione europea ha contribuito ad abbattere quasi tutte le dittature del dopoguerra sul continente europeo, sia nei Paesi dell'Europa centrale ed orientale che in Spagna, Portogallo e Grecia.

Il processo di integrazione europea e l'ulteriore sviluppo dell'Unione come modello di pace, per i deputati, «sono il portato della libera decisione del popolo di determinare il proprio destino e di impegnarsi in un futuro comune» ed è riaffermato che «nessun Paese ha il diritto di decidere del destino di un altro Stato». Tutti i Paesi, infine, sono invitati ad aprire gli archivi relativi alla Seconda guerra mondiale.

Dibattito

A nome del Consiglio, Jean-Claude JUNCKER si è innanzitutto congratulato con i Parlamento per aver voluto ricordare l'8 maggio 1945. Ricordare è «un obbligo ardente», soprattutto per quelli che sono nati dopo la guerra che non hanno visto i campi di concentramento, i campi di battaglia, i cortei di prigionieri e che non sono stati confrontati a scelte individuali e collettive drammatiche.

Oggi, ha proseguito, i testimoni diretti di «questa epoca terribile della storia continentale» stanno sparendo e a loro le nuove generazioni devono essere riconoscenti. Perché, ha spiegato, «la generazione che ha dovuto fare la guerra e che ha voluto fare la pace» ha ricostruito l'Europa e «ne ha fatto il più bel Continente che ci sia». L'8 maggio 1945 è stato, per l'Europa, un giorno di liberazione e bisogna esprime riconoscenza ai soldati americani e canadesi, ai militari dell'Armata rossa e al popolo britannico che «ha saputo dire no e senza il cui apporto niente sarebbe stato possibile».

La libertà, ha poi aggiunto il Presidente del Consiglio, tuttavia non è stata uguale per tutti. Le popolazioni che vivevano in Europa centrale e orientale, ha spiegato, sono state sottoposte alla «pax sovietica, che non era la loro». Non erano liberi, hanno dovuto evolvere sotto un regime di principi che furono loro imposti. Dicendosi quindi triste pensando a chi dice del male dell'allargamento «proprio mentre la seconda guerra mondiale si è finalmente conclusa», ha quindi esclamato: «Viva l'allargamento!».

L'Europa del dopoguerra, ha proseguito, senza la guerra non avrebbe potuto diventare quello che è oggi. Un'Europa, ha concluso, che è nata dalla ceneri della guerra e non avrebbe mai potuto esistere senza i padri fondatori come Schuman, Bech, Adenauer e De Gasperi che, della frase «mai più la guerra», per la prima volta nella storia del Continente, ne «hanno fatto una speranza, una preghiera e un programma». Non l'avrebbero potuto fare «se non si fossero sentiti trasportati dai sentimenti nobili e profondi dei loro popoli», perché «non si realizza niente di grande senza la volontà del popolo».

Il Presidente del Consiglio ha poi voluto rendere omaggio a quei filosofi, pensatori e uomini politici meno conosciuti, come Léon Blum e «il grande Spinelli» che sono stati imprigionati e altri ancora di cui «non conosciamo il nome ma ai quali dobbiamo molto». Egli ha reso omaggio anche a chi «ha dovuto portare l'uniforme del suo nemico» come i lussemburghesi nati tra il 1920 e il 1927 e i giovani di Alsazia e Lorena.

 Vi era una parte dell'Europa libera e una parte paralizzata, ha poi proseguito. La guerra fredda è stata un periodo tragico che ha paralizzato le migliori energie e i migliori talenti europei. Da ambo le parti dell'Europa si pensava che la minaccia venisse dall'altro lato, «che opportunità e che tempo persi» a causa di queste «stupidità», ha quindi esclamato. Oggi dobbiamo essere felici di non dover più fare riferimento «alla logica implacabile della guerra fredda» e che possiamo fare la pace tra le due parti dell'Europa.

Pensando «al grande Churchill» ha poi sottolineato una frase da lui pronunciata nel 1947, quando nacque l'idea di creare il Consiglio d'Europa  davanti al rifiuto dell'URSS di permettere ai paesi dell'Europa centro-orientale di beneficiare del Piano Marshall: «Cominciamo oggi all'ovest quello che un giorno termineremo all'est». «Dobbiamo esseri fieri di esserci riusciti», ha quindi affermato.

Junker ha poi detto che bisogna anche essere fieri di citare al Parlamento europeo una frase pronunciata da Victor Hugo nel 1949: «verrà il giorno in cui le bombe saranno sostituite dai voti». Un Parlamento eletto dai popoli europei, «eredi di quelli che hanno saputo dire no quando era necessario e di quelli che hanno detto sì quando era l'unica opzione che restava». Dobbiamo quindi esseri fieri «di chi ha detto no e di chi, oggi, dice sì alla grande Europa, che ha visto la sua storia e la sua geografia riconciliarsi». Dobbiamo essere fieri, ha aggiunto, di chi non vuole un'Europa che si trasformi in una zona di libero scambio. Siamo fieri, ha concluso, «dell'Europa  costruita da chi era qui prima di noi, dovendone essere degni eredi».

L'Assemblea, in piedi, ha quindi tributato un lungo applauso al Presidente del Consiglio.

«Siamo qui per ricordare, riconoscere e ricostruire», ha esordito il Presidente della Commissione BARROSO. Ricordare la distruzione e lo sterminio, ma anche le storie straordinarie di trionfo nelle avversità. Ricordare anche quei popoli che «non hanno avuto fortuna», il cui «incubo è stato sostituito da un'altro». Per questi ultimi, ha spiegato il Presidente, la fine della guerra non ha portato pace e libertà, ma unicamente la pace. A loro, la libertà è arrivata solo con la caduta del Muro di Berlino.

Barroso ha poi sottolineato le parole coraggiose di Churchill che, per primo, si è appellato alla riconciliazione tra Francia e Germania per ricostruire l'Europa. Ha poi reso omaggio alla determinazione nel ricostruire, invece che asserragliarsi, di Robert Schuman, Jean Monnet, Konrad Adenauer e Alcide de Gasperi nonché dei leader transatlantici. L'Europa ne è uscita così trasformata: democratica, libera e che condivide valori comuni.

L'Europa, che presto conterà 57 paesi e 500 milioni di cittadini, però non deve essere «vittima del proprio successo». Non bisogna dare per acquisiti i valori fondanti della nuova Europa, ha aggiunto. Basta pensare alla guerra che solo pochi anni fa si svolgeva sul nostro Continente. Pertanto, ha detto il Presidente, «si deve lavorare per la pace e non darla definitivamente per acquisita».

Il problema, oggi, è rispondere ai timori degli europei: è trovare un lavoro, non il proprio paese, è gestire efficacemente l'integrazione dei mercati, «non i conflitti armati tra concorrenti che diventano avversari e nemici». Ricordiamoci, ha sottolineato il Presidente, che l'ambizioso partenariato che abbiamo concluso «è stato la fonte di rivoluzioni pacifiche che hanno portato la libertà e la democrazia a milioni di europei». E' questa «la forza motrice che stimola la crescita, l'occupazione e gli investimenti, offrendo agli europei la prospettiva di una vita migliore».

Dal suo mercato interno alle sue frontiere esterne, dalla promozione della coesione interna a quella della solidarietà e della giustizia in tutto il mondo, «l'Unione costruisce l'Europa». Lo ha realizzato per tappe concrete, che migliorano la vita quotidiana dei suoi cittadini. La Costituzione, ha quindi concluso, «consoliderà questa opera e porrà i fondamenti per progressi ancora più importanti in futuro».

Giusto CATANIA (GUE/NGL, IT) ha sottolineato che l'8 maggio del 1945 è la data che marca la fine della seconda guerra mondiale ma anche «la data che sancisce la fine delle dittature fasciste e naziste in Europa» ed ha segnato «l'inizio di un'Europa che aspira alla pace e alla giustizia sociale».

L'Europa, ha proseguito, «è stata liberata dalla resistenza di uomini e donne, dalla resistenza di partigiani che ne hanno costruito le fondamenta istituzionali e morali». L'Europa «è stata liberata da quelli che hanno combattuto a Stalingrado, è stata liberata dalle truppe alleate americane e canadesi e anche dall'esercito sovietico». Questa data, ha quindi affermato, «può essere considerata la pietra su cui è stata edificata la nuova Europa».

Purtroppo, ha però aggiunto, «questa pagina di storia troppo spesso è oggetto di saccheggi e di attacchi revisionisti» e «anche questo dibattito è viziato da concreti impulsi revisionisti». Si fa un cattivo servizio alla commemorazione della liberazione dell'Europa, ha spiegato, «mescolando indistintamente l'8 maggio del 1945 e i crimini dello stalinismo».

Precisando poi che «per cultura politica, per dato anagrafico e per formazione culturale», lui e il suo gruppo non hanno «alcun problema a condannare duramente gli orrori dello stalinismo», il deputato ha rilevato che, nel dibattito, «si tenta di far vivere in modo surrettizio le teorie di Nolte che impongono un'equazione tra nazismo e comunismo». Ad onor del vero, ha proseguito, i valori della pace e della giustizia sociale «sono stati minati anche dal colonialismo, dall'imperialismo, dal neoliberismo»: «dall'Algeria al Vietnam, dal bombardamento di Belgrado ai massacri di Sabra e Chatila, fino ai fatti dell'11 settembre 2001 e a Santiago del Cile».

Bisogna fare un buon servizio alla storia, ha quindi affermato: «la memoria del passato è una dote essenziale per affrontare il futuro e per costruire le prospettive di questa Europa». E, a suo parere, c'è solo un modo per rendere più forte l'Europa: «bisogna bandire la parola guerra dal nostro vocabolario e l'Europa deve svolgere un ruolo attivo nella costruzione di un mondo di pace, dall'Iraq all'Afghanistan alla Palestina». L'Europa, pertanto, «deve essere più coraggiosa e autorevole» e, ribaltando il detto latino, occorre «sostenere con forza civis pacem para pacem»; «questa deve essere la nostra stella polare»

La pace in Europa è irreversibile


Seduta commemorativa

9.5.2005

In apertura di seduta il Presidente Borrell ha pronunciato una dichiarazione commemorativa del 60° anniversario della fine del secondo conflitto mondiale.

L'8 maggio 1945, ha detto, si è potuto iniziare a stilare un bilancio dell'orrore vissuto negli anni precedenti che ha provocato la morte di 60 milioni di soldati e civili, lo sterminio di 6 milioni di persone, la distruzione di intere città e 30 milioni di sfollati. A prescindere dalle responsabilità, ha continuato, la sofferenza degli esseri umani è stata «indicibile».

L'Europa «era un continente distrutto» e l'8 maggio qualche leader politico proclamò che la bandiera della libertà sventolava in tutta Europa. Tuttavia, oggi si può dire che la fine della guerra portò la pace e la libertà «solo a metà Continente», perché l'altra metà è stata «vittima del nuovo ordine mondiale scaturito da Yalta». L'8 maggio segnò una nuova geografia europea per molti paesi. Un altro totalitarismo, infatti, «ha preso in ostaggio mezza Europa». Nacque così un Continente bipolare, cominciò un conflitto ideologico e in tutto il mondo iniziò «l'incubo dell'era nucleare».

Oggi, ha quindi detto, si commemora finalmente un'Europa «riunificata» e non, ha tenuto a precisare, «allargata». Il 1° maggio 2005, infatti, si è festeggiato il primo anniversario del nuovo incontro con 10 nuovi paesi che erano stati «ostaggi di Yalta» e presto «saremo di più». Il 9 maggio è anche il giorno dell'Europa, oggi pertanto si commemorano tre eventi: il 55° anniversario del progetto europeo, il 60° della fine della seconda guerra mondiale e il 1° anniversario della riunificazione. Il Presidente ha poi sottolineato il «dovere della memoria» per tramandarlo alla nuove generazioni «per le quali la pace rappresenta la normalità».

Il Continente ha oggi «superato la subordinazione dell'individuo allo Stato e il disprezzo della dignità». Il nostro sistema si basa sulla separazione dei poteri, la sovranità popolare e il rispetto dei diritti umani e il messaggio che deve essere trasmesso è che «occorre continuare a battersi per i valori della pace, della giustizia e della tolleranza, non solo in Europa ma in tutto i mondo».

La pace tra di noi, ha proseguito il Presidente, «è irreversibile» perché «non è pensabile che si ricorra alle armi» per dirimere le nostre controversie. I cittadini chiedono all'Unione di garantire la prosperità economica e la sicurezza dalle nuove minacce che incombono sul mondo, «che non è più quello di Yalta». Il Presidente ha quindi concluso affermando che, ora, è necessario volgere il nostro sguardo al futuro per rispondere alle esigenze dei cittadini.

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MERCATO INTERNO

Qualifiche professionali riconosciute in tutta Europa

Stefano ZAPPALÀ (PPE/DE, IT)
Raccomandazione per la seconda lettura relativa alla posizione comune del Consiglio in vista dell'adozione della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali
Doc.: A6-0119/2005
Procedura: Codecisione, seconda lettura
Dibattito: 10.5.2005
Votazione: 11.5.2005

In seconda lettura della procedura di codecisione, la Plenaria ha adottato la relazione di Stefano ZAPPALÀ (PPE/DE, IT) sulla proposta di direttiva relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali. Gli emendamenti adottati dal Parlamento sono frutto di un compromesso con il Consiglio, per cui sarà probabilmente evitato il ricorso alla procedura di conciliazione.

Per consentire l'esercizio di una professione in un paese diverso da quello in cui è stata ottenuta una qualifica professionale, è necessario che questa sia riconosciuta dal paese ospitante. La proposta di direttiva, presentata dalla Commissione nel 2002, tratta tutte i tipi di professione: lavoro subordinato e autonomo, la prestazione di servizi temporanei e le professioni cosiddette regolamentate (medici, infermieri, architetti, ecc.). Il principio del riconoscimento automatico dei titoli si applicherà d'ora in poi sulla base di un coordinamento delle condizioni minime di formazione.

Nel corso del dibattito tenutosi la vigilia, il relatore ha sottolineato che la direttiva «riveste un'importanza notevole» per tutti i cittadini europei che ogni giorno si trovano «ad avere a che fare con dei professionisti». Nell'illustrare i contenuti della relazione, egli ha anche evidenziato che, nell'ambito delle autonomie nazionali, «ogni governo decide quali sono i livelli di cultura e di formazione minima per l'accesso alle singole professioni e decide anche chi deve autorizzare all'esercizio delle professioni e chi deve controllare lo svolgimento delle professioni».

Il relatore, spiegando l'introduzione di una definizione di «libero professionista», ha poi tenuto a ricordare che la direttiva in questione, nel rispetto di alcune peculiarità nazionali e professioni, semplificherà il quadro normativo europeo con l'adozione di un solo testo legislativo che va a sostituire tutta una serie di direttive adottate in passato.

Il deputato ha anche rilevato l'inserimento della definizione di «autorità competente» nazionale, auspicando che a breve possa anche leggersi in chiave europea «affinché si finisca la polemica emersa la scorsa legislatura su ordini, collegi e associazioni» e queste strutture trovino collocazione anche nell'ambito del diritto europeo. Il relatore ha poi evidenziato che la direttiva include misure volte a contrastare il «qualification shopping» e altre che prevedono la consultazione delle singole professioni europee per qualunque ulteriore innovazione che le riguarda.

Le professioni e l'equivalenza dei titoli

I deputati, facendo un diretto riferimento ai trattati, precisano che le professioni legate all'esercizio di pubblici poteri sono escluse dal campo d'applicazione della direttiva. Trattandosi di professioni regolamentate, il Parlamento ritiene che la direttiva riguarda anche le «professioni liberali», definite come quelle praticate «sulla base di qualifiche professionali in modo personale, responsabile e professionalmente indipendente» da parte di coloro che «forniscono servizi intellettuali e di concetto negli interessi dei clienti e del pubblico».

L'esercizio della professione negli Stati membri, viene precisato, «può essere oggetto ... di specifici limiti legali sulla base della legislazione nazionale e sulle disposizioni a norma di legge stabilite autonomamente .... dai rispettivi organismi rappresentativi professionali». Tali normative, è aggiunto, devono salvaguardare e sviluppare «la loro professionalità e la qualità del servizio» nonché «la confidenzialità delle relazioni con i clienti».

Per un cittadino dell'Unione, l'accesso a una professione regolamentata sarà subordinato alle stesse condizioni dei cittadini del paese ospitante. Tale regola riguarda, in particolare, gli attestati di competenze o i titoli di formazione richiesti. Questi dovranno però rispettare una serie di condizioni, atte a dimostrare un livello di qualifica professionale almeno equivalente a quello immediatamente inferiore a quello richiesto dallo Stato ospitante.

Il testo licenziato dal Parlamento stabilisce dei livelli di riferimento, corrispondenti al grado di formazione e di qualifiche riconosciute, che permettono di effettuare delle equivalenze sui livelli di competenze tra i diversi Stati membri. I deputati chiedono di raggruppare le qualifiche in cinque livelli (al posto di quattro come proposto dal Consiglio) ma senza attribuire loro un numero, una lettera o altri segni che presumono una gerarchia.

Il Parlamento, inoltre, ridefinisce alcuni livelli al fine di rispondere meglio alla realtà dei cicli formativi nei diversi Stati membri. I deputati, peraltro, per rispetto dell'acquis comunitario e in contrasto con il Consiglio, mantengono il principio del riconoscimento automatico delle specializzazioni mediche o dentistiche comuni ad almeno due Stati membri.

Gli allegati della direttiva contengono anche le denominazioni delle professioni in tutte le lingue ufficiali dell'UE per agevolare la corrispondenza delle diverse categorie. Ad esempio, in repubblica ceca lo «Zdravotnický asistent» è l'assistente sanitario.

Un comitato unico di riconoscimento e le organizzazioni professionali

Con una serie di emendamenti, i deputati trattano dell'importanza e della modalità di partecipazione delle associazioni e degli organismi  professionali alla procedura di riconoscimento delle qualifiche. Per rendere efficace la gestione dei diversi regimi di riconoscimento stabiliti dalle direttive settoriali e dal regime generale, sarà instaurato un Comitato per il riconoscimento delle qualifiche professionali composto dai rappresentanti degli Stati membri e presieduto da un rappresentante della Commissione. I deputati, inoltre, propongono che tale comitato consulti gli esperti delle categorie professionali interessate.

Inoltre, un emendamento impone alla Commissione di valutare l'opportunità di adottare una proposta di emendamento alla direttiva nel caso in cui organizzazioni o associazioni professionali nazionali o a livello europeo di una professione regolamentata avanzino una richiesta motivata concernente disposizioni specifiche per il riconoscimento delle qualifiche.

Le tessere professionali

 Per agevolare la libera circolazione e la mobilità dei professionisti, i deputati propongono l'introduzione di tessere professionali individuali che potrebbero contenere informazioni sulle qualifiche della persona - come la sua formazione, la sua esperienza o le sanzioni da cui è stato colpito - per accelerare lo scambio di informazioni tra il paese d'origine e quello ospitante. Queste tessere sarebbero rilasciate dalle associazioni o organizzazioni professionali.

Autorità competente e ordini professionali

La relazione adottata introduce anche la definizione di «autorità competente»: «qualsiasi autorità o organismo investito di autorità dagli Stati membri, abilitato in particolare a rilasciare o a ricevere titoli di formazione e altri documenti o informazioni, nonché ricevere le domande e ad adottare le decisioni di cui alla presente direttiva».

Inserendo una definizione generale di "organismo competente" e facendo sempre riferimento a tale definizione, la direttiva si allinea alla situazione effettivamente vigente nella maggior parte degli Stati membri, ove i poteri pubblici delegano parte della gestione delle professioni ad organismi autonomi, come gli ordini professionali. In altri termini, la gestione delle professioni dipende dall'organizzazione interna di ogni Stato membro e pertanto non esclude la designazione di organismi che non sono amministrazioni.

Mutuo riconoscimento

Sin dall'inizio, la sfida più difficile consisteva nella ricerca di un equilibrio tra agevolare la prestazione di servizi in tutta l'Unione e controllare l'accesso all'esercizio delle professioni da parte del paese ospitante. Contrariamente alla proposta iniziale della Commissione, che era favorevole ad ampie agevolazioni e al principio del controllo da parte del paese d'origine, il testo adottato dal Parlamento prevede il mutuo riconoscimento e il principio del controllo da parte del paese ospitante.

Gli Stati membri hanno quindi la possibilità di verificare le qualifiche e sottoporre il diritto di esercitare una professione a delle esigenze specifiche, in particolare per garantire l'interesse generale. Sono state anche inserite delle salvaguardie volte a combattere gli abusi. Si tratta, ad esempio, di evitare che il riconoscimento professionale ottenuto in un altro Stato membro serva ad aggirare le norme più esigenti in vigore nel paese d'origine o conferisca dei diritti supplementari.

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POLITICA SOCIALE E DELL’OCCUPAZIONE

Tempo di lavoro: 48 ore a settimana, al massimo

 Alejandro CERCAS (PSE, ES)
Relazione sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 2003/88/CE concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro
Doc.: A6-0105/2005
Procedura: Codecisione, prima lettura
Dibattito: 10.5.2005
Votazione: 11.5.2005

Votazione

Tre anni dopo l'entrata in vigore della nuova direttiva sull'organizzazione dell'orario di lavoro, i deputati desiderano che gli Stati membri dell'Unione sopprimano il diritto riconosciuto individualmente ad ogni lavoratore di rinunciare alla limitazione della durata massima settimanale di lavoro di 48 ore.

Auspicano inoltre che i periodi di servizio di guardia, nella maggior parte dei casi, siano contabilizzati come periodo di lavoro. Sono questi i principali aspetti della proposta di direttiva sull'organizzazione dell'orario di lavoro evidenziati dalla relazione di Alejandro CERCAS (PSE, ES), adottata dalla Plenaria in prima lettura della procedura di codecisione con 355 voti favorevoli, 272 contrari e 31 astensioni.

I deputati, si smarcano così dalla posizione dell'Esecutivo che, pur rendendo più severe le condizioni per potervi ricorrere, propone il mantenimento della clausola di rinuncia (opt out). Prendendo nuovamente in contropiede la Commissione, i deputati chiedono che l'intero periodo di servizio di guardia, «incluso il periodo inattivo», sia considerato come orario di lavoro. A tale riguardo, tuttavia, è concesso agli Stati membri di calcolare «in modo specifico» i periodi inattivi del servizio di guardia, per rispettare la durata massima settimanale di lavoro. La relazione, peraltro, chiarisce le nozioni di servizio di guardia e di periodo inattivo del servizio di guardia.

I deputati, in linea generale, sono favorevoli alla proposta della Commissione di dare la facoltà di estendere il periodo di riferimento utilizzato per calcolare la durata media di lavoro settimanale da 4 a 12 mesi. Questa estensione, come sostiene il relatore, consente di rispondere alle esigenze di flessibilità in modo ragionevole. Tuttavia, la sua applicazione andrà attentamente controllata con misure appropriate volte a garantire la protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori.

La facoltà di ricorrere a questa deroga è concessa, per «ragioni obiettive, tecniche o di organizzazione del lavoro», nei casi in cui i lavoratori sono coperti da accordi collettivi. Se così non fosse, gli Stati membri possono ricorrere a misure legislative purché sia garantita la consultazione di lavoratori e il datore di lavoro adotti i necessari provvedimenti volti a prevenire qualsiasi rischio per la salute o la sicurezza dei suoi dipendenti.

Con un altro emendamento, i deputati reclamano che l'orario di lavoro sia organizzato in modo tale da permettere ai lavoratori che lo auspicano di seguire una formazione lungo tutto l'arco della vita. Inoltre, difendono l'obiettivo teso a garantire un migliore equilibrio, da una parte, tra l'esigenza di conciliare la vita professionale e quella familiare e, dall'altra, la necessità di organizzare con maggiore flessibilità l'orario di lavoro. La relazione chiarisce poi la situazione dei lavoratori legati a più di un contratto, prevedendo che l'orario di lavoro di una persona debba essere calcolato come la somma dei periodi lavorativi prestati a titolo di ogni contratto.

La proposta di respingere la direttiva avanzata dal gruppo GUE/NGL non è stata accolta dall'Aula con 520 voti contrari, 93 favorevoli e 21 astensioni.

Background

La direttiva sull'orario di lavoro (2003/88/CE) offre un minimo di protezione ai lavoratori, ad eccezione dei dirigenti d'impresa. Tale provvedimento prevede che un lavoratore ha diritto a un periodo quotidiano di riposo di 11 ore, a delle pause regolari, ad almeno quattro settimane di ferie pagate l'anno, a una limitazione della durata massima di lavoro settimanale di 48 ore nonché alla limitazione di 8 ore/24 in caso di lavori notturni.

Nel 1993, il Regno Unito aveva ottenuto l'introduzione di una clausola di opt out che permette agli Stati membri di non rispettare, a certe condizioni, la limitazione legale di 48 ore lavorative settimanali. I dipendenti, così, dovevano decidere in anticipo se desideravano beneficiarne o meno. I primi non dovevano essere penalizzati, i secondi dovevano essere registrati. Nonostante avesse portata generale, tale clausola è stata utilizzata soprattutto nel Regno Unito.

Tuttavia, sono emerse delle preoccupazioni riguardo ai rischi potenziali legati all'abuso nel ricorso a tale clausola.  In molti, infatti, credono che un lavoratore in procinto di firmare un contratto non sia in grado di godere appieno della libertà di scelta.

L'assenza di una definizione del periodo di servizio di guardia pone problemi ancora maggiori. Questo punto, d'altra parte è stato oggetto di diverse sentenze della Corte di Giustizia con le quali i giudici hanno considerato che il periodo di guardia doveva essere incluso nell'orario di lavoro.

La maggior parte degli Stati membri ha quindi dovuto adattare la propria legislazione per conformarsi a questa giurisprudenza che riguarda, in particolar modo, il settore della sanità.

Link utili

Proposta della Commissione
Direttiva 2003/88/CE
 

Dibattito

Il relatore Alejandro CERCAS (PSE, ES) ha sottolineato la responsabilità che incombe sull'Unione europea di rispondere alle aspettative dei cittadini in materia sociale. La direttiva sull'orario di lavoro, ha aggiunto, è iscritta nell'Agenda sociale e deve far parte del modello sociale europeo. «Non è l'Europa che deve adattarsi al modello sociale asiatico, ma l'Asia che deve conformarsi al modello europeo», ha affermato in relatore.

Nell'ambito dei dibattiti sulla Costituzione, ha proseguito il deputato, i cittadini si chiedono cosa fa l'Europa per migliorare il livello di vita degli europei e la direttiva in questione rientra appieno in questa discussione. E' quindi importante che le leggi europee si applichino in modo uniforme in tutti gli Stati membri e non basta combattere solo gli abusi sulla possibilità di rinunciare alla limitazione dell'orario di lavoro settimanale (clausola dell'opt out).

Pertanto tale possibilità va eliminata. Questa clausola, per il relatore, contrasta poi con la direttiva sulla tutela dei lavoratori, con il Trattato e con la Carta dei Diritti fondamentali. L'opt out, infine, rende difficile conciliare la vita familiare e lavorativa.

Inoltre, è necessario che il tempo passato in servizio di guardia sia considerato come periodo di lavoro. La relazione accetta un certo grado di flessibilità ma, ha ammonito il deputato, se non si rinuncia all'opt out la proposta verrebbe respinta in toto. La flessibilità, ha poi spiegato, non contraddice la protezione sociale dei lavoratori, l'opt out invece sì.

Il relatore ha quindi invitato Consiglio e Commissione a dare seguito alla speranza espressa dai deputati ed ha concluso auspicando un dialogo costruttivo tra le istituzioni su tale materia.

Luigi COCILOVO (ALDE/ADLE, IT) si è innanzitutto congratulato per il lavoro fatto dal relatore e per le conclusioni a cui si è pervenuti nel voto in commissione parlamentare. Il deputato ha quindi sottolineato che il riferimento che giustifica la proposta di direttiva è quello della tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro e, in questo, non ravvede «una minaccia nei confronti del principio di sussidiarietà della tutela delle diverse esperienze nazionali».

Per l'oratore, infatti, occorre tenere conto che i principi della tutela della salute e della sicurezza oltre certi limiti di prestazione oraria di lavoro «sono principi e valori di tutela generale rispetto ai quali è necessario avere una base di regole comuni per la definizione stessa del modello sociale, lavorativo, economico e dei principi cui si deve ispirare l'Unione europea».

Vanno fatte salve tutte le possibilità di regolazione flessibile e specifica di questa materia, ha aggiunto il deputato, ed è proprio per questo che preferirebbe ricorrere al principio di un rinvio alle soluzioni adottate attraverso la contrattazione collettiva nei vari paesi. A condizione, però, che questa esista e sia efficace e «garantisca quindi una base di regolazione che possa conciliare le esigenze di flessibilità e di organizzazione specifica e settoriale dell'orario di lavoro con quelle della salute e della sicurezza» che, in ogni caso, devono essere tutelate «incondizionatamente».

Affermando che le soluzioni adottate in commissione vanno in questa direzione e garantiscono la flessibilità con il periodo di base di calcolo di riferimento venga esteso fino ai 12 mesi, ha auspicato che «sulla base di questo lavoro» le posizioni che potranno evolvere in rapporto alla posizione comune del Consiglio «ci garantiscano anche soluzioni più adeguate nel futuro».

Pier Antonio PANZERI (PSE, IT), dopo essersi complimentato per il buon lavoro svolto dal relatore, ha affermato che l'importante compito da svolgere è di «costruire seriamente accanto all'Europa economica l'Europa sociale». Non si possono immaginare una crescita e uno sviluppo economico dell'Europa senza l'apporto decisivo dei lavoratori, la difesa della qualità del lavoro e la loro tutela nonché la salute nei luoghi di lavoro, ha aggiunto.  E la direttiva sull'orario di lavoro «è un elemento essenziale dell'Europa sociale».

Questi obiettivi di crescita e sviluppo, non potranno essere raggiunti «se sceglieremo la cosiddetta via bassa alla competitività» basata sull'abbattimento dei costi e sull'intensificazione del lavoro. Ciò che serve, ha spiegato, «è la via alta basata sulla qualità e sull'innovazione». In tale contesto, «il capitale umano è decisivo e un suo apporto qualitativo deve essere il nostro obiettivo».

Per il deputato, la relazione in esame rappresenta «una valida risposta a questo obiettivo». Essa infatti cerca di preservare i principi di fondo della direttiva sull'orario di lavoro così come sono iscritti nella Costituzione europea, sia sulla questione del periodo di riferimento, sia per l'opt out, sia per quanto concerne la sentenza della Corte di giustizia in materia di tempo di guardia. Notando come nella relazione si riscontra un forte sostegno a favore dell'introduzione di disposizioni volte a aiutare i lavoratori e a conciliare la vita professionale e la vita privata, il deputato ha quindi affermato di appoggiarla appieno.

Vladimír ŠPIDLA, a nome della Commissione, ha notato che malgrado il disaccordo tra le due Istituzioni, queste condividono quantomeno gli obiettivi della proposta. In particolare, il commissario non può accettare la posizione espressa dalla relazione sull'opt out, che definisce «un problema critico», ma si è detto disponibile a discuterne.

Egli ha quindi notato che le posizioni non sono poi così lontane sul periodo di riferimento da utilizzare per calcolare l'orario medio massimo di lavoro ed ha espresso  forti dubbi in merito alla posizione del Parlamento sul computo dei periodi di guardia che, a suo parere, rischierebbe di provocare maggiore incertezza giuridica. Viceversa, ha definito «valide» le proposte sui periodi di riposo quotidiano e settimanale.

Concretamente, il commissario ha affermato: di accettare gli emendamenti 2, 3, 12, 13 e 17; di accogliere parzialmente o con riserve gli emendamenti 1, 4, 8, 11, 16, 18, 19, 24 e 29; di respingere gli emendamenti 5, 6, 7, 9, 10, 14, 15, da 20 a 23, da 25 a 28 e da 30 a 52.

Per concludere, ha ringraziato il Parlamento per la discussione tenutasi in Aula ed ha auspicato che il dialogo porti a un compromesso che consenta alla direttiva di diventare «il simbolo dell'Europa sociale», tenendo maggiormente in conto la tutela dei lavoratori, senza compromettere la flessibilità «di cui abbiamo bisogno».

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AFFARI ECONOMICI E MONETARI

Nomina di Lorenzo Bini Smaghi al board della BCE

 Pervenche BERÈS (PSE, FR)
Relazione sul progetto di raccomandazione del Consiglio relativa alla nomina di Lorenzo Bini Smaghi a membro del comitato esecutivo della Banca centrale europea
Doc.: A6-0094/2005
Procedura: Consultazione legislativa
Dibattito: 10.5.2005
Votazione: 11.5.2005

Adottando a scrutinio segreto la relazione di Pervenche BERÈS (PSE, FR), la Plenaria ha confermato la nomina di Lorenzo Bini Smaghi quale membro del comitato esecutivo della Banca centrale europea a partire dal 1° giugno 2005, con 410 voti favorevoli, 88 contrari e 40 astensioni.

A seguito dell'audizione tenutasi il 19 aprile 2005, la commissione per problemi economici e monetari aveva emesso un parere favorevole a larga maggioranza (solo due voti contrari e 1 astensione, contro i 16 a favore).

La presidente della commissione parlamentare, presentando la sua relazione all'Aula ha innanzitutto voluto congratularsi con il predecessore Tommaso Padoa Schioppa «per il modo in cui ha esercitato le sue funzioni» che, nelle relazioni con il Parlamento e nel rappresentare il comitato esecutivo all'esterno, «ha dimostrato grande talento».

Riguardo a Lorenzo Bini Smaghi, la relatrice ha affermato che, in occasione dell'audizione, si è potuto verificare che «la sua esperienza e le sue capacità professionali sono fuori di dubbio». Egli, ha proseguito, possiede tutte le capacità per essere un «buon banchiere centrale», alle quali si sommano due elementi che rappresentano un «valore aggiunto»: «un certo senso della comunicazione, che è sicuramente utile per un banchiere centrale e anche una visione arricchita da una certa pluridisciplinarietà».

La deputata ha quindi concluso che, nelle discussioni in seno al comitato esecutivo, Bini Smaghi potrà apportare questo approccio «che permetterebbe alla politica monetaria d'essere maggiormente all'ascolto delle necessità dell'economia reale e delle attese dei cittadini».

Il resoconto dell'audizione del 19 aprile è disponibile sul sito del Servizio Stampa.

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MERCATO INTERNO

Fusioni transfrontaliere più facili per le banche

 Klaus-Heiner LEHNE (PPE/DE, DE)
Relazione sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulle fusioni transfrontaliere delle società di capitali
Doc.: A6-0089/2005
Procedura: Codecisione, prima lettura
Dibattito: 10.5.2005
Votazione: 10.5.2005

Con l'adozione della relazione di Klaus-Heiner LEHNE (PPE/DE, DE), il Parlamento europeo ha approvato la proposta di direttiva sulle fusioni transfrontaliere delle società di capitali, ma propone una serie di emendamenti volti a chiarire il campo d'applicazione della direttiva, precisare i limiti delle eventuali restrizioni previste dalle legislazioni nazionali e, soprattutto, garantire una più elevata protezione dei lavoratori delle società in procinto di fondersi.

Considerato che la relazione adottata corrisponde quasi integralmente alla posizione del Consiglio, non è escluso che l'iter legislativo possa concludersi già in prima lettura della procedura di codecisione.

Lo scopo della direttiva proposta dalla Commissione europea è di agevolare le operazioni di concentrazione transfrontaliere di tutte le imprese di capitali, eliminando gli ostacoli posti dalle diverse normative nazionali.

Un emendamento adottato dalla Plenaria tende a chiarire che la direttiva si applica alle fusioni transfrontaliere di società di capitali costituite in conformità della legislazione di uno Stato membro e «aventi la sede sociale, l'amministrazione centrale o la principale sede di attività nella Comunità», a condizione che «almeno due di esse siano soggette alla legislazione di Stati membri diversi».

Le principali beneficiarie di questa nuova normativa sarebbero, in particolare, le imprese di medie dimensioni che intendono operare in più di uno Stato membro, ma non in tutta l’Europa, e quindi meno suscettibili di volersi costituire come società di diritto europeo attraverso l’adozione dello statuto di società europea.

D'altra parte i deputati danno la facoltà agli Stati membri di non applicare la direttiva alle fusioni transfrontaliere che coinvolgono una società cooperativa, «anche nei casi in cui quest'ultima rientrerebbe nella definizione di società di capitali». E' poi precisato che la direttiva non si applica alle fusioni a cui partecipa una società avente per oggetto l'investimento collettivo di capitali raccolti presso il pubblico. 

La direttiva proposta prevede una procedura per le fusioni transfrontaliere, in base alla quale all’interno dei singoli Stati membri queste operazioni sarebbero disciplinate dai principi e dalle disposizioni vigenti a livello nazionale per le concentrazioni di imprese.

I deputati concordano con questo approccio, specificando che la legislazione nazionale non dovrebbe introdurre restrizioni alla libertà di stabilimento o di circolazioni di capitali, «a meno che tali restrizioni non siano giustificate in base alla giurisprudenza della Corte di Giustizia», ossia «da esigenze di interesse generale» imperative e, comunque, che siano «ad esse proporzionate».

Seppur la proposta della commissione introduca dei dispositivi di salvaguardia per evitare che le imprese si servano delle fusioni transfrontaliere per sottrarsi agli obblighi relativi ai regimi di partecipazione dei lavoratori vigenti a livello nazionale, i deputati si sono rivelati molti attenti nel prevedere una maggiore protezione dei diritti dei lavoratori in materia di informazione, consultazione e partecipazione.

In particolare, hanno voluto garantire che se la società venutasi a creare a seguito della fusione non riconosce ai lavoratori gli stessi diritti di una delle due società precedenti, la partecipazione dei dipendenti sarà oggetto di negoziati conformemente alle disposizioni previste dallo statuto della società europea.

Tuttavia, qualora una delle società avesse un numero medio di lavoratori inferiore a 500, continuerebbe ad applicarsi la legislazione nazionale della società derivante dalla fusione.

I deputati, inoltre, introducono l'obbligo per gli organi di direzione delle società che partecipano alla fusione di preparare un progetto comune dell'operazione transfrontaliera che comprenda anche «le probabili ripercussioni della fusione sull'occupazione».

Inoltre, chiedono che gli stessi organismi societari redigano una relazione destinata ai soci, nella quale siano illustrati e giustificati «gli aspetti giuridici ed economici della fusione transfrontaliera» e spiegate «le conseguenze della fusione per gli azionisti, i creditori e i lavoratori».

La relazione in questione deve poi essere resa disponibile agli azionisti, ai lavoratori e ai loro rappresentanti, entro un mese dall'assemblea generale. Inoltre, alla relazione dovrà essere allegato il parere espresso dai rappresentanti dei lavoratori, secondo quanto previsto dalla legge nazionale, qualora gli organi societari lo ricevano in tempo utile.

Infine, i deputati chiedono che, cinque anni dopo l'entrata in vigore della direttiva, la Commissione esamini la sua attuazione e, se necessario, ne proponga la revisione. Gli Stati membri dovranno trasporre la direttiva nel diritto nazionale entro due anni dalla data di entrata in vigore.

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RELAZIONI ESTERNE

Afghanistan: paese stabile e democratico che ha bisogno dell'aiuto internazionale
 

Seduta solenne - Allocuzione di Hamid Karzäi, Presidente dell'Afghanistan

10.5.2005

Il Presidente BORRELL, aprendo la seduta solenne, ha sottolineato come il Parlamento europeo e il mondo abbiamo seguito da vicino i drammatici avvenimenti degli ultimi 25 anni in Afghanistan: l'occupazione sovietica, la guerra civile e «l'intervento militare internazionale» a seguito degli attentati dell'11 settembre.

Nel riconoscere poi la «forte leadership» del Presidente afgano nel processo di  transizione democratica, definito «allo stato embrionale», Borrell ha sottolineato che vi è ancora molta strada da percorrere, «come ce lo ricordano anche le immagini in televisione».

In un paese «devastato da decenni di guerra», il compito del Presidente Karzaï è molto importante e il consolidamento della democrazia non potrà essere fatto in un giorno. Accennando ai diritti delle donne, ha infatti spiegato, che una cosa è scrivere dei principi nella Costituzione, «altra, è il loro effettivo rispetto». Borrell ha quindi assicurato il sostegno dell'Europa al processo volto a rendere il Paese stabile e democratico.

In merito alle elezioni che si terranno in settembre, il Presidente Borrell ha auspicato l'invio di una delegazione dell'Unione per verificare la situazione e di osservatori che sorveglino il processo elettorale.

Al riguardo, il Presidente ha espresso l'auspicio che, una volta eletto il Parlamento, sarà possibile avviare un dialogo interparlamentare teso a sviluppare il grande potenziale di amicizia e cooperazione tra l'Europa e l'Afghanistan.

Il Presidente KARZAÏ si è detto felice e onorato di rivolgersi, per la prima volta, «all'illustre Assemblea». Ciò, ha detto, gli dà grande fiducia nel futuro dell'Afghanstan e sui rapporti con i paesi europei.

Ricordando che l'Europa ha appena festeggiato la fine della seconda guerra mondiale e la giornata europea, ha affermato che come nel passato i conflitti europei avevano implicazioni globali, oggi la cooperazione europea «migliora la vita ed è fonte di ammirazione in tutto il mondo».

Così come alla fine della guerra, l'Europa ebbe garanzie in materia di sicurezza, il Piano Marshall ed un impegno internazionale a lungo termine, ha aggiunto il Presidente, il popolo afgano è grato per l'assistenza tecnica e il supporto economico e militare internazionale forniti, in particolare, dai paesi dell'Unione europea. L'Europa ha così mostrato quale può essere il futuro della regione: «un futuro di pace, di unità e di cooperazione».

Un paese stabile, sicuro e democratico

Il Presidente ha poi sottolineato che l'Afghanistan scontava un livello di sviluppo molto basso, anche prima dell'invasione sovietica, ma nel 2001 gli è stata fornita l'opportunità di costruire un paese stabile, democratico e prospero.

La nuova Costituzione è progressista, salvaguarda i diritti umani, garantisce la parità uomo-donna, sostiene un'economia di mercato e crea un quadro per un governo responsabile. Le elezioni presidenziali dell'ottobre scorso, cui hanno partecipato 8 milioni di cittadini, hanno dimostrato la sconfitta del terrorismo e l'alta partecipazione delle donne (42%) ha palesato l'inizio di una nuova era di diritti sociali e politici.

Per il Presidente, la presenza delle forze di sicurezza internazionali, sin dall'inizio guidate dall'Europa, ha permesso la realizzazione di un ambiente sicuro per l'esercizio dei diritti politici.

Con questo aiuto, è stata costituita una forza di polizia di 50.000 uomini, che comprende anche delle forze speciali antidroga, nonché un esercito di 20.000 uomini. Si è proceduto al disarmo delle forze regolari e dei gruppi illegali. Sono state introdotte riforme dei sistemi giudiziari e amministrativi, mentre la Commissione indipendente per i diritti umani continua il suo importante lavoro. La stampa si è sviluppata fino a raggiungere 300 quotidiani, 30 radio e 4 televisioni indipendenti.

La situazione economica

Il Presidente ha poi sottolineato come gli sviluppi politici e di sicurezza possono essere sostenuti solo da un miglioramento dell'economia. Nel corso degli ultimi tre anni, ha quindi spiegato, è stat introdotta una nuova moneta, si è stabilizzata l'inflazione e sono state varate diverse riforme volte a semplificare il sistema doganale e i processi di investimenti. Gli stipendi sono aumentati ed è cresciuto il commercio con i paesi vicini.

Le sfide sociali e la lotta alla produzione della droga

Se molto è stato già fatto, ha sottolineato Karzaï, resta ancora molto lavoro. Nel suo paese infatti vi è un altissimo tasso di mortalità infantile, bassissime aspettativa di vita, un forte analfabetismo, soprattutto tra le donne. Questi indicatori sociali, ha deplorato, collocano l'Afghanistan al quintultimo posto mondiale.

Il terrorismo è stato sconfitto, ma il suo retaggio continua a disturbare la pace. L'economia della droga, inoltre, prospera mettendo in difficoltà il paese. Purtroppo, ha notato, questa situazione si è venuta a creare perché l'economia agricola legale non era sufficiente alla sopravvivenza delle popolazioni rurali.

Pertanto, la coltivazione di papavero da oppio, essendo semplice, remunerativa e facile da vendere, ha sostituito le colture tradizionali. L'anno scorso, ha tuttavia sottolineato, è stata avviata un'azione contro la coltivazione della droga che è stata accolta da molti, volontariamente, dimostrando come la popolazione abbia maggiore fiducia nel futuro. In questo campo, nondimeno, per il Presidente è necessaria un'assistenza internazionale per sostituire le coltivazioni con produzioni tradizionali che abbiano sbocchi commerciali.

L'aiuto internazionale - le forze militari

Le elezioni di settembre, ha detto il Presidente, segneranno il culmine del processo di Bonn in Afghanistan e, ha sottolineato, la nuova Costituzione prevede l'assegnazione del 27% dei seggi alle donne. Tuttavia, la strada è ancora lunga: la fine del processo di Bonn deve segnare l'inizio di una partnership a lunga scadenza e di più ampio respiro.

L'Afghanistan ha bisogno dell'aiuto internazionale, ha affermato il Presidente, in particolare europeo. L'Unione, che è già il principale donatore del Paese, dovrebbe impegnarsi in modo duraturo per continuare a fornire la sua assistenza tecnica alla ricostruzione.

Karzaï ha poi voluto ringraziare in modo particolare «i figli e le figlie in uniforme» europei che, coraggiosamente, prestano servizio in Afghanistan e, a quelli che hanno perso la vita, ha offerto «gratitudine, preghiere e l'impegno a non dimenticarli mai».

Notando, infine, come il suo paese - rimasto isolato per tanto tempo - abbia beneficiato dello spirito di cooperazione delle popolazioni di tutto il mondo, «diverse nella cultura e nella fede», il Presidente ha sottolineato che, senza l'aiuto fornito, l'Afghanistan non avrebbe potuto compiere tutto ciò che è stato fatto negli ultimi tre anni. Egli ha quindi concluso ribadendo che il suo Paese, come l'Europa di 60 anni fa, ha bisogno dell'aiuto internazionale.

L'Assemblea, in piedi, ha quindi tributato un lungo applauso al Presidente Karzaï.

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SVILUPPO E COOPERAZIONE

Aiutare il Sudan se cessano le violenze

 Risoluzione comune sul Sudan
Doc.: B6-0300/2005
Procedura: Risoluzione comune
Dibattito: 10.5.2005
Votazione: 12.5.2005

Sulla base di un'interrogazione orale di Lapo PISTELLI (ALDE/ADLE, IT), il Parlamento ha adottato una risoluzione comune sul Sudan in cui i deputati salutano con favore la fine della guerra civile e, condannando il perpetrarsi delle violenze nella regione del Darfur, esortano l'effettivo versamento dell'aiuto comunitario al Paese, ma «solo se si realizzano progressi sostanziali verso la pace» in tale regione.

Nel ritenere «un passo importante» verso la pace la firma dell'accordo siglato a Nairobi all'inizio dell'anno, i deputati chiedono con insistenza a tutte le parti di applicarlo senza indugi e a includere tutti gli attori della società politica e civile nella redazione delle nuova Costituzione. A loro parere, inoltre, è essenziale che nel processo decisionale sia garantita la non discriminazione delle donne. Nella ricostruzione del Sudan, poi, occorre rivolgere grande attenzione alla libertà di riunione e di espressione, nonché alla libertà e al pluralismo dei media.

Il Parlamento si dice «seriamente preoccupato» per la crescente violenza, la mancanza di sicurezza e l'assenza di una soluzione pacifica nel Darfur, «che potrebbe mettere a rischio l'intero processo di pace». Plaudendo alla decisione dell'ONU di creare un corpo formato da 10.000 persone incaricato del disarmo dei combattenti, dello sminamento e del monitoraggio delle elezioni, i deputati si compiacciono anche per la decisione dell'Unione africana di «aumentare la sua forza di pace nel Darfur portandola a circa 7.700 unità».

L'Unione africana, per i deputati, ha svolto finora un ruolo molto positivo «di prevenzione, di verifica del cessate il fuoco e di informazione circa le violazioni dello stesso».

Compiacendosi poi della decisione del Consiglio di Sicurezza dell''ONU di presentare la situazione del Darfur innanzi al Tribunale penale Internazionale, l'Aula «sollecita il governo sudanese e tutte le altre parti coinvolte nel conflitto ad adoperarsi al massimo per cooperare pienamente con la Corte».

A tale proposito, il Parlamento condanna «la violenza, il terrore e gli stupri» che si registrano continuamente nel Darfur, compresi i rapimenti di lavoratori delle ONG e gli attacchi contro civili nonché le continue intimidazioni ed angherie all'interno dei campi di sfollati.

Chiedendo poi a tutte le parti di porre immediatamente fine alla violenza, al conflitto e alle aggressioni sessuali nel Darfur, insiste sul fatto che il ritorno degli sfollati ai loro luoghi di origine «deve essere volontario e deve svolgersi in condizioni di sicurezza e con una protezione».

Al governo sudanese è poi chiesto di fare in modo che le donne vittime di stupro possano ricevere un adeguato trattamento dopo la denuncia dei fatti e che «venga compiuto ogni sforzo per migliorare la formazione della polizia per quanto concerne i problemi della violenza sessuale e basata sul genere».

Inoltre, i deputati sollecitano tutte le parti implicate nel conflitto del Sudan ad astenersi dal reclutare e dal servirsi di bambini soldato di età inferiore ai 18 anni mentre le autorità sudanesi dovrebbero proteggere i bambini sfollati, in particolare i minori non accompagnati.

Il Parlamento si dice favorevole alla ripresa degli aiuti allo sviluppo a tale paese che erano stati bloccati dalla guerra civile, ma sottolinea che il governo sudanese dovrebbe poter accedere ai 450 milioni di euro di fondi comunitari solo «se si realizzano progressi sostanziali verso la pace nel Darfur, compresa la cessazione di tutte le forme di violenza, il controllo da parte delle autorità sudanesi delle milizie che beneficiano di un sostegno governativo e la cooperazione con le indagini del Tribunale penale internazionale».

L'Aula ritiene, che tali aiuti debbano essere versati gradualmente e, laddove possibile, attraverso organizzazioni umanitarie. Particolare attenzione andrà rivolta al rilancio dell'attività economica, soprattutto nel settore agricolo, ed i deputati reputano anche necessario assicurare particolare cura e supporto alla salute e all'istruzione dei bambini e delle donne.

La Plenaria, infine, «condanna l'arresto del Dr. Adam, presidente dell'organizzazione Sudan Social Development nonché l'arresto del suo collega Yasir Saleem e dell'autista Abdalla Taha», sollecitando, dunque,  l'Unione europea ad esercitare «forti pressioni sulle autorità sudanesi affinché rilascino immediatamente» i tre detenuti.

Il Parlamento segue da vicino l'evolversi della situazione nel Darfur fin dall'inizio della crisi. Una prima delegazione si è riunita in loco nel febbraio 2004 e una lo scorso settembre, in seguito alle quali sono state adottate due risoluzioni. Dal 23 al 27 marzo 2005, l'onorevole Luisa MORGANTINI (GUE/NGL, IT), presidente della commissione sviluppo, si è recata in Sudan (compresi il Sud ed il Darfur) nel quadro di una missione congiunta ACP-UE.

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