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RESOCONTO

 

31 gennaio 2008

 

Bruxelles

 

 

 


 

 

Poste: fine dei monopoli, ma non del servizio universale

 

Il Parlamento ha approvato la direttiva che completa la liberalizzazione dei servizi postali a partire dal 1° gennaio 2011, aprendo alla concorrenza gli invii di plichi di peso inferiore a 50 grammi. Intende poi garantire un servizio universale a prezzi ragionevoli, per cinque giorni la settimana e norme di qualità ben definite, anche nei tempi di consegna. Esige inoltre un'adeguata gestione dei reclami per smarrimento o perdita e stabilisce norme dettagliate per l'assegnazione dei servizi. 

 

Approvando la relazione di Markus FERBER (PPE/DE, DE), il Parlamento ha adottato definitivamente la direttiva sui servizi postali. Ha infatti sottoscritto la posizione comune definita dal Consiglio che riprende, in tutto o in parte, la maggioranza degli emendamenti proposti dai deputati in prima lettura. La direttiva - che segna l'ultima fase del graduale processo di apertura del mercato postale avviato nel 1997 - potrà quindi essere pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale ed entrare presto in vigore. La proposta avanzata dalla GUE/NGL di respingere in blocco la direttiva - ritenuta il risultato della «volontà ideologica di procedere a tappe forzate verso la liberalizzazione totale del settore» senza nessuna seria analisi d'impatto - è stata respinta dall'Aula con 86 voti favorevoli, 549 contrari e 18 astensioni.

 

Liberalizzazione dal 1° gennaio 2011

 

Con la liberalizzazione degli invii di plichi di peso inferiore a 50 grammi, gli Stati membri non potranno concedere né mantenere in vigore «diritti esclusivi o speciali per l'instaurazione e la fornitura di servizi postali» (raccolta, smistamento, trasporto e distribuzione degli invii postali). Si tratta, in sostanza, del tramonto dei monopoli statali, sottolineato anche dal fatto che la definizione di "rete postale pubblica" è stata sostituita da quella di "rete postale", tout court.

 

L'apertura del mercato, come richiesto dal Parlamento europeo, avrà luogo a partire dal 1° gennaio 2011, due anni più tardi di quanto proposto in origine dalla Commissione. In ragione dell'adesione in fase avanzata al processo di riforma dei servizi postali, i nuovi Stati membri (eccetto Bulgaria, Estonia e Slovenia) avranno però la possibilità di prorogare tale data di ulteriori due anni (1° gennaio 2013) se lo ritengono opportuno. Lo stesso vale per Grecia e Lussemburgo, per tenere conto del fatto che si tratta di Stati «scarsamente popolati e di limitata superficie geografica che hanno caratteristiche specifiche tali da condizionare i servizi postali, o con una topografia particolarmente difficile, con un elevato numero di isole».

 

D'altra parte, in considerazione della «natura eccezionale» di tale deroga, la direttiva prevede la possibilità di ricorrere a una clausola di reciprocità in forza alla quale, per un periodo limitato di tempo e per un numero limitato di servizi, sarà consentito agli Stati membri che hanno completato l'apertura dei loro mercati «di non concedere ai monopoli che operano in un altro Stato membro l'autorizzazione di operare sul loro territorio».

Servizio universale di qualità, con prezzi ragionevoli e per cinque giorni la settimana

 

La direttiva impone agli Stati membri di garantire la fornitura del servizio universale. Questo dovrà comprendere almeno la raccolta, lo smistamento, il trasporto e la distribuzione degli invii postali fino a 2 kg e dei pacchi postali fino a 10 kg (innalzabile fino a 20 kg), nonché i servizi relativi agli invii raccomandati e agli invii con valore dichiarato. Il servizio universale dovrà essere garantito come minimo per cinque giorni lavorativi a settimana. Fatte salve, tuttavia, le circostanze o le condizioni geografiche «eccezionali».

 

D'altra parte gli Stati membri dovranno garantire che le tariffe di ciascuno dei servizi che fanno parte del servizio universale siano «ragionevoli» e, come richiesto dal Parlamento,  permettano di fornire servizi accessibili «all'insieme degli utenti, a prescindere dalla situazione geografica e tenendo conto delle condizioni nazionali specifiche». Gli Stati membri potranno mantenere o introdurre un servizio postale gratuito per gli utenti non vedenti e ipovedenti. I prezzi, inoltre, dovranno «essere correlati ai costi», ma gli Stati membri potranno decidere di fissare una tariffa unica per tutto il territorio per motivi di interesse pubblico.  Ciò, tuttavia, non esclude il diritto del fornitore o dei fornitori del servizio universale di concludere con gli utenti accordi individuali in materia di prezzi. Le tariffe, comprese eventuali tariffe speciali, dovranno però essere trasparenti e non discriminatorie.

 

In relazione al servizio universale, gli Stati membri saranno tenuti a garantire la fissazione e la pubblicazione di obiettivi in materia di qualità, in particolare per quanto riguarda «i tempi di instradamento, la regolarità e l'affidabilità dei servizi». Tale compito spetta agli Stati membri per i servizi nazionali ed al Parlamento e al Consiglio per quelli transfrontalieri intracomunitari. Per questi ultimi, peraltro, la direttiva conferma gli attuali obiettivi che prevedono la consegna dell'85% degli invii entro tre giorni lavorativi dalla data di deposito ed entro cinque giorni per il 97% degli invii. Ma «specifiche situazioni infrastrutturali e geografiche» consentono di derogare a tale criteri. Il controllo delle prestazioni dovrà essere effettuato «almeno una volta l'anno» in modo indipendente da organismi esterni ai fornitori del servizio universale e alle condizioni normalizzate che saranno fissate a livello europeo. I risultati di questa valutazione dovranno essere resi pubblici.

 

Agli Stati membri è chiesto di assicurare che tutti i fornitori di servizi postali stabiliscano procedure trasparenti, semplici e poco onerose per la gestione dei reclami degli utenti, «in particolare in caso di smarrimento, furto, danneggiamento o mancato rispetto delle norme di qualità del servizio. Dovranno inoltre garantire che le procedure di reclamo consentano di risolvere le controversie «in maniera equa e celere», prevedendo, nei casi giustificati, «un sistema di rimborso e/o compensazione». Gli Stati membri sono anche chiamati a incoraggiare lo sviluppo di sistemi extragiudiziali indipendenti per la soluzione delle controversie fra fornitori di servizi postali e utenti. Dovranno poi garantire agli utenti, individualmente o collegialmente, di presentare alle autorità competenti i casi in cui i ricorsi non abbiano ottenuto risultati soddisfacenti.

 

In forza alla direttiva, gli Stati membri dovranno provvedere affinché gli utenti e i fornitori di servizi postali ricevano regolarmente dal fornitore o dai fornitori del servizio universale informazioni sufficientemente precise e aggiornate sulle caratteristiche del servizio universale offerto, in particolare per quanto riguarda le condizioni generali di accesso ai servizi, i prezzi e il livello di qualità. Le informazioni dovranno essere pubblicate nel modo appropriato.

 


Al fine di assicurare il servizio universale, gli Stati membri potranno designare una o più imprese che coprano tutto il territorio nazionale. Potranno anche designare più imprese per fornire i diversi elementi del servizio universale e/o coprire differenti parti del loro territorio. Ma dovranno garantire che le condizioni a cui viene affidato il servizio universale «si basino su principi di trasparenza, non discriminazione e proporzionalità, garantendo in tal modo la continuità della fornitura del servizio universale e tenendo conto del ruolo importante che questo svolge nella coesione sociale e territoriale».

 

In merito al finanziamento del servizio universale la direttiva fissa le condizioni cui devono soggiacere gli Stati membri. Questi ultimi potranno anzitutto appaltare tali servizi in conformità alle norme e ai regolamenti applicabili in materia di appalti pubblici. Se però stabiliscono che gli obblighi del servizio universale comportano un costo netto (calcolato in base alla direttiva) e che «rappresentano un onere finanziario eccessivo per il fornitore o i fornitori», potranno introdurre un meccanismo volto a compensare l'impresa interessata a partire da fondi pubblici oppure volto a ripartire il costo netto degli obblighi del servizio universale fra i fornitori di servizi e/o gli utenti. In quest'ultimo caso, potranno anche istituire un fondo di compensazione che può essere finanziato mediante diritti a carico dei fornitori dei servizi e/o degli utenti e amministrato da un organismo indipendente dal beneficiario o dai beneficiari. Le autorizzazioni, peraltro, potranno essere vincolate all'obbligo per i fornitori di servizi postali non universali di contribuire finanziariamente al fondo o di adempiere gli obblighi del servizio universale.

 

Servizi postali non universali

 

Per i servizi che esulano dall'ambito di applicazione del servizio universale, gli Stati membri potranno introdurre autorizzazioni generali «nella misura necessaria per garantire la conformità alle esigenze essenziali». Queste ultime, riprendendo la proposta del Parlamento in prima lettura, sono definite come «i motivi di interesse generale e di natura non economica che possono portare uno Stato membro ad imporre condizioni in materia di fornitura di servizi postali». Tali motivi, è precisato, «sono la riservatezza della corrispondenza, la sicurezza del funzionamento della rete in materia di trasporto di sostanze pericolose, il rispetto delle condizioni di lavoro e dei sistemi di sicurezza sociale ... e, nei casi in cui sia giustificato, la protezione dei dati, la tutela dell'ambiente e l'assetto territoriale».

 

Più in particolare, la concessione di autorizzazioni può, se necessario e giustificato, prevedere l'imposizione di obblighi in merito alla qualità, alla disponibilità e all'esecuzione dei servizi in questione. Può anche essere subordinata all'obbligo di contribuire finanziariamente ai meccanismi di condivisione dei costi o ai costi operativi delle autorità nazionali di regolamentazione e ad un obbligo di rispettare le condizioni di lavoro previste dalla legislazione nazionale.

 

Background - il servizio postale in Italia

 

Per effetto della normativa di liberalizzazione comunitaria, il mercato si è aperto alla concorrenza di nuovi operatori, attraverso la graduale riduzione nel tempo dell’area di monopolio della società concessionaria Poste Italiane. Attualmente il consumatore può rivolgersi solo a Poste Italiane per inviare lettere che abbiano un peso fino a 50 grammi e che non siano connotati da servizi accessori  (come il corriere espresso, che oltre alla maggiore rapidità, offre al cliente il ritiro a domicilio, il recapito nelle mani del cliente, la possibilità di cambiare destinazione o altri servizi personalizzati).

 

In qualità di “Fornitore del Servizio Universale”, Poste italiane è obbligata ad erogare su tutto il territorio nazionale il servizio postale base (universale): raccolta, trasporto, smistamento e distribuzione di invii postali fino a 2 Kg, raccolta, trasporto, smistamento e distribuzione di pacchi postali fino a 20 Kg, i servizi relativi agli invii raccomandati e agli invii assicurati. Poste italiane, società per azioni dal 1998, è partecipata dal Ministero dell'Economia e delle Finanze (MEF) per il 65% e per il restante 35% dalla Cassa Depositi e Prestiti Spa (a sua volta controllata al 70% dal MEF). Nel 2006 ha avuto una media annuale di 151.470 addetti (60 mila addetti allo sportello, 43 mila addetti al recapito e 1.400 operatori del call center) dislocati in 140 filiali e 13.893 Uffici postali.

 

Per effetto delle direttive di liberalizzazione postale, accanto a Poste Italiane, anche altri operatori possono fornire servizi postali, sia nell’ambito del servizio universale, sia al di fuori dello stesso. Attualmente risultano in attività circa 250 operatori nell’ambito del servizio universale e 1.300 operatori al di fuori dello stesso (Fonte: sito web del Ministero delle Comunicazioni).

 

 

Link utili

 

Posizione comune del Consiglio
Prima lettura del Parlamento europeo (11.7.2007)
Attuale direttiva sui servizi postali
Dati Eurostat sui servizi postali in Europa

 

 

Riferimenti

 

Markus FERBER (PPE/DE, DE)

Raccomandazione per la seconda lettura relativa alla posizione comune del Consiglio in vista dell'adozione della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 97/67/CE relativa al pieno completamento del mercato interno dei servizi postali comunitari

Procedura: Codecisione, seconda lettura

Dibattito: 30.1.2008

Votazione: 31.1.2008

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L'Iran collabori sul nucleare e garantisca i diritti umani

 

L'Iran deve sospendere l'arricchimento di uranio e riprendere i negoziati per una soluzione a lungo termine della questione nucleare. E' quanto sostiene il Parlamento che, escludendo qualsiasi opzione militare, lancia un appello affinché l'Iran fornisca risposte complete, chiare e credibili all'AIEA. Sui diritti umani, condanna le esecuzioni, le repressioni e le discriminazioni etniche e religiose. Senza progressi in questi campi, ammonisce il Parlamento, niente accordo di cooperazione con l'UE.

 

Con 561 voti favorevoli, 52 contrari e 44 astensioni, il Parlamento ha approvato una risoluzione sostenuta da PPE/DE, PSE, ALDE e UEN sulle questioni relative alle attività nucleari e ai diritti umani in Iran.

 

Nucleare: negoziati, no azioni militari

 

Il Parlamento ribadisce che i rischi di proliferazione relativi al programma nucleare iraniano «continuano a rappresentare una fonte di grave preoccupazione per l'UE e la comunità internazionale» e si rammarica del fatto che l'Iran tuttora non rispetti i suoi obblighi internazionali concernenti la sospensione di tutte le attività connesse all'arricchimento e al ritrattamento. Esprime quindi il proprio appoggio all'iniziativa UE per trovare una soluzione negoziale di lungo termine e lancia nuovamente un appello all'Iran affinché ripristini la trasparenza del suo programma nucleare fornendo risposte «complete, chiare e credibili» all'AIEA.

 

Per i deputati, una soluzione all'attuale escalation sul tema nucleare «è possibile» e «non bisogna prendere in considerazione nessuna azione militare». Nell'appoggiare gli sforzi di Mohamed ElBaradei, Direttore generale dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (AIEA), invitano quindi l'amministrazione USA e tutti gli altri attori coinvolti «a rinunciare a qualsiasi retorica sulle opzioni militari e su politiche che prevedano un cambiamento di regime contro l'Iran». Inoltre, ricordando che secondo la National Intelligence (NIE) statunitense l'Iran ha interrotto nel 2003 il proprio programma di armi nucleari, confermano la correttezza della politica UE «volta a convincere diplomaticamente l'Iran a aderire alla richiesta di abbandonare il potenziale nesso militare del programma civile in modo credibile e controllabile».

 

Il Parlamento sollecita pertanto l'Iran ad avviare senza indugio un nuovo round di negoziati sul futuro orientamento del proprio programma nucleare e a sospendere tutte le attività relative all'arricchimento. Invita inoltre gli USA, a seguito del loro successo diplomatico nei negoziati con la Corea del Nord, a partecipare direttamente ai negoziati condotti in un quadro multilaterale gestito dall'AIEA. L'obiettivo deve essere di raggiungere un accordo globale con l'Iran - in cooperazione con USA, Russia, Cina e paesi non allineati - sulle sue strutture nucleari e su un loro uso che tenga conto delle preoccupazioni di sicurezza dell'Iran. L'accordo dovrebbe inoltre contribuire a definire un sistema di sicurezza regionale «sostenibile» che includa l'India, il Pakistan e altre potenze nucleari. Più in generale, i deputati chiedono «passi credibili verso un disarmo nucleare multilaterale» grazie ad un rafforzamento del Trattato di non proliferazione.

 

Stop alle esecuzioni, alla repressione e alla discriminazione delle minoranze

 

Il Parlamento esprime la propria «profonda preoccupazione» circa il deterioramento della situazione dei diritti umani in Iran nel corso degli ultimi anni, «specialmente dalle elezioni presidenziali del giugno 2005». Chiede quindi alle autorità iraniane di onorare i loro obblighi internazionali in materia, garantendo a tutte le persone il diritto di esercitare i propri diritti civili e le libertà politiche.

 

Più in particolare, il Parlamento condanna fermamente le sentenze capitali e le esecuzioni in Iran, in particolare quelle eseguite contro minorenni e sollecita le autorità iraniane a rispettare le garanzie normative riconosciute a livello internazionale per i minori, quali la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo. Invita inoltre l'Iran ad applicare la risoluzione adottata recentemente in sede ONU sulla moratoria a tutte le esecuzioni.

 

I deputati esortano poi le autorità iraniane ad eliminare, de jure e de facto, tutte le forme di tortura e le altre forme di trattamento e di pene crudeli, disumane e degradanti (tra cui la fustigazione e l'amputazione), a rispettare il diritto a un giusto processo e a cessare l'impunità per le violazioni dei diritti umani. Chiedono inoltre alle autorità iraniane di modificare con urgenza il codice penale «per trasformare la moratoria sulla lapidazione in un divieto definitivo».

 

Inoltre, profondamente preoccupato «dall'aumento drammatico» della repressione dei movimenti della società civile in Iran nel corso degli ultimi anni, il Parlamento condanna la repressione contro gli oppositori politici, gli attivisti per i diritti umani (come i promotori della campagna "Un milione di firme" contro la discriminazione delle donne), i giornalisti, i blogger, gli insegnanti, gli intellettuali, le donne, gli studenti e i sindacalisti. Deplora inoltre profondamente le recenti esecuzioni di attivisti politici, l'ultima delle quali è avvenuta durante la notte ai danni di Zamal Bawi. Sollecita quindi le autorità iraniane «a porre fine alle molestie, alle intimidazioni e alla persecuzione» ed a «liberare incondizionatamente tutti i prigionieri politici», compresi due giornalisti curdi condannati a morte. Nell'esprimere poi il proprio sostegno a tutte le forze politiche democratiche e della società civile, si attende dalle autorità iraniane che le prossime elezioni siano «libere e giuste».

 

Condanna inoltre «fermamente» l'attuale mancato rispetto dei diritti delle minoranze e chiede che queste possano esercitare tutti i diritti sanciti dalla Costituzione iraniana e dal Diritto internazionale. Sollecita quindi le autorità iraniane, a eliminare, de jure e de facto, tutte le forme di discriminazione contro le persone che appartengono a minoranze religiose, etniche, linguistiche o di altro genere, compresi gli arabi, gli azeri, i curdi, i baha'i, i cristiani, gli ebrei, i musulmani sufi e sunniti.

 

Senza progressi, niente accordo di cooperazione con l'UE

 

Il Parlamento sottolinea che la possibile futura conclusione di un accordo di cooperazione e commercio tra l'UE e Iran «dipende dal miglioramento sostanziale della situazione dei diritti umani in Iran, dalla piena cooperazione dell'Iran con l'AIEA e dalla garanzia obiettiva fornita dall'Iran in merito alla natura pacifica del proprio programma nucleare».

 

Infine, nel prendere atto della decisione del Tribunale europeo di primo grado (in merito alla rimozione dell'Organizzazione dei Mujahidin del Popolo Iraniano, OMPI, dall'elenco delle organizzazioni terroristiche, ndr), invita la Commissione a istituire una delegazione in Iran al fine di promuovere il dialogo con le autorità e la società civile e di intensificare i colloqui riguardanti, in particolare, l'aiuto ai rifugiati e la lotta contro il traffico di stupefacenti.

 

 

Link utili

 

Resoconto del dibattito in Aula

 

 

Riferimenti

 

Risoluzione comune sull'Iran

Procedura: Risoluzione comune

Dibattito: 30.1.2008

Votazione: 31.1.2008

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Clima: via libera al piano d'azione di Bali, ma rivedere la politica sui biocarburanti

 

Il Parlamento sostiene l'avvio di negoziati in materia di lotta al cambiamento climatico e, sottolineando le responsabilità dei paesi industrializzati, chiede all'UE di ridurre le emissioni di almeno il 30% entro il 2020. Sollecita anche più fondi per la ricerca, l'inclusione dei settori aereo e marittimo negli impegni di riduzione e la revisione della politica UE sui biocarburanti. Occorre poi aiutare i PVS, incoraggiare un'attività forestale sostenibile e sensibilizzare i cittadini.

 

Approvando con 605 voti favorevoli, 45 contrari e 19 astensioni una risoluzione proposta dal presidente della commissione temporanea sui cambiamenti climatici Guido SACCONI (PSE, IT), il Parlamento ricorda innanzitutto come il Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC) affermi che il surriscaldamento globale «è inequivocabile» e che il ritmo sempre più rapido dei cambiamenti climatici «è dovuto all'attività umana e sta già avendo gravi ripercussioni a livello globale». Secondo i deputati, peraltro, «i paesi industrializzati hanno una grossa responsabilità nell'accumulo delle emissioni di gas a effetto serra nell'atmosfera», mentre i paesi e le popolazioni più poveri saranno invece «i più gravemente colpiti da un aumento dell'instabilità del clima».

 

Il Parlamento plaude quindi alla decisione adottata alla Conferenza di Bali (3-15 dicembre 2007) di lanciare negoziati su un accordo internazionale sul clima per il periodo successivo al 2012. Si compiace inoltre che il piano d'azione di Bali contenga un calendario chiaro, la scadenza del 2009 per la conclusione dell'accordo e l'indicazione delle questioni chiave da affrontare nei negoziati. Sottolineando il ruolo guida e costruttivo svolto dall'UE, il Parlamento deplora tuttavia che nel piano di azione «non sia stato possibile fare riferimenti espliciti alla scienza per quanto riguarda le necessarie riduzioni delle emissioni a effetto serra».

 

D'altro canto, accogliendo con favore il riconoscimento della necessità che i paesi industrializzati realizzino, entro il 2020, riduzioni dell'ordine del 25-40% rispetto ai livelli del 1990, i deputati chiedono politiche e misure «a tutti i livelli», locale, nazionale ed europeo. Queste dovranno garantire all'UE di conseguire, entro il 2020, riduzioni interne di almeno il 30%, «purché altri paesi sviluppati si impegnino a favore di analoghe riduzioni delle emissioni e i paesi in via di sviluppo economicamente più avanzati forniscano un contributo commisurato alle loro responsabilità e rispettive capacità».

 

Più in particolare, i deputati sollecitano politiche e misure che permettano di impiegare più fondi per la ricerca, lo sviluppo e l'innovazione nell'ambito delle riduzioni delle emissioni dei gas a effetto serra. Ritengono infatti che la promozione di tecnologie più efficaci e meno costose in materia energetica «dovrebbe rivestire elevata priorità». Chiedono quindi «una stretta collaborazione fra governi, imprese, comunità di ricerca e società civile». Inoltre, deplorando che nel mandato di Bali non vi sia un chiaro riferimento alla necessità di adottare riduzioni vincolanti delle emissioni nei settori aereo e marittimo, ribadiscono l'invito ad inserire tali emissioni negli impegni di riduzione dei gas ad effetto serra per il dopo-2012. Anche perché rilevano che il mandato «non esclude misure vincolanti» in tali settori. 

 

Il Parlamento chiede poi «un'urgente revisione della politica UE in materia di biocarburanti» e, in tale contesto, l'accento andrebbe posto sulla sostenibilità del ciclo di vita di ogni biocarburante in termini di riduzioni dei gas ad effetto serra. Nel sottolineare inoltre che lo sviluppo e l'applicazione di strategie nel campo dei biocarburanti come opzione energetica «dovrebbe obbedire pienamente e salvaguardare qualsiasi impatto negativo in materia ambientale, sociale ed economica», invita la Commissione «a proporre standard rigorosi e criteri chiari per la produzione di biocarburanti».

 

Nell'insistere affinché la politica sul clima diventi una priorità in tutte le relazioni esterne dell'UE, il Parlamento sottolinea che lo sviluppo economico sostenibile «è un diritto per tutti i paesi in via di sviluppo» (PVS). L'Unione europea ed altri paesi industrializzati debbono pertanto aiutarli nella messa a punto di tecnologie sostenibili. Per i deputati, peraltro, «la diversità delle situazioni dei paesi in via di sviluppo dovrebbe riflettersi negli impegni assunti». In proposito, si compiacciono dell'approccio costruttivo ai negoziati adottato dalla maggioranza dei PVS, nonché del loro impegno ad avviare interventi di mitigazione appropriati a livello nazionale, «promossi e consentiti dalla tecnologia, dal finanziamento e dallo sviluppo di capacità in maniera misurabile, notificabile e verificabile».

 

Nel compiacersi della decisione di avviare un programma di lavoro sugli approcci strategici e sugli incentivi - compresi strumenti basati sul mercato - volti a ridurre le emissioni provenienti dalla deforestazione e dal degrado delle foreste nei PVS, il Parlamento insiste affinché siano compiuti seri sforzi per incoraggiare l'attività forestale sostenibile, finanziandola adeguatamente e migliorando il trasferimento e l'applicazione di tecnologie pulite. Più in generale, chiede che, nel quadro delle politiche UE, siano sviluppati strumenti finanziari significativi per aiutare i PVS a adeguarsi agli impatti del cambiamento climatico e a ridurre le emissioni dei gas ad effetto serra.

 

Per i deputati, inoltre, anche i paesi emergenti dovrebbero accettare limiti sulle loro emissioni, conformi al loro stadio di sviluppo, alle loro economie, al loro potenziale di riduzione delle emissioni e alle loro capacità tecniche e finanziarie. Sottolineano poi che, al fine di mantenere la credibilità del Piano d'azione di Bali, i paesi avanzati dovrebbero concludere partenariati climatici con le grandi economie emergenti come la Cina e l'India, per promuovere una stretta cooperazione sulla riforma della politica energetica e sullo sviluppo di capacità, e sostenere gli investimenti nell'efficienza energetica e nella tecnologia a basse emissioni di carbonio.

 

Nel prendere poi atto dell'iniziativa USA di convocare altri cinque incontri dei principali produttori di emissioni del mondo, il Parlamento invita la Commissione e gli Stati membri interessati a subordinare la loro partecipazione «alla presentazione di proposte complete da parte degli ospiti in materia di obiettivi di riduzione delle emissioni a breve termine che siano coerenti con gli obiettivi e le finalità dell'UNFCCC».

 

Infine, il Parlamento si dice convinto che, per raggiungere questi obiettivi, sarà necessario coinvolgere i mezzi di informazione, «il cui ruolo sarà indispensabile per creare la necessaria sensibilizzazione di massa in merito ai cambiamenti climatici che avverranno a breve e medio termine».

 

 

Link utili

 

Sito della Conferenza di Bali
Sito della commissione temporanea sui cambiamenti climatici

 

Riferimenti

 

Risoluzione sull'esito della Conferenza di Bali sul cambiamento climatico (COP 13 e COP/MOP 3)

Procedura: Risoluzione

Dibattito: 30.1.2008

Votazione: 31.1.2008

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Bloccare la fuga di cervelli, più fondi alla ricerca

 

Il Parlamento esorta gli Stati membri a spendere il 3% del PIL a favore della ricerca, anche per impedire un’ulteriore fuga di cervelli dall’UE. Occorre poi promuovere, anche finanziariamente, una maggiore mobilità dei ricercatori, il miglioramento delle infrastrutture e il coordinamento tra le varie iniziative a livello europeo. Se è importante favorire la condivisione della conoscenza, va però istituito un brevetto comunitario che stimoli la ricerca nel settore privato.

 

Il Consiglio europeo di Lisbona del 23 e 24 marzo 2000 ha confermato l'obiettivo di creare uno Spazio europeo della ricerca (SER) che comprenda un mercato interno per la ricerca, in cui possano circolare liberamente i ricercatori, la tecnologia e le conoscenze. Lo Spazio comune deve anche portare a un effettivo coordinamento a livello UE di attività, programmi e politiche nazionali e regionali di ricerca e il finanziamento e l'attuazione di iniziative a livello UE. Il Consiglio europeo ha inoltre fissato l'obiettivo di portare la spesa globale per la R&S, entro il 2010, al 3% del PIL dell'UE (2/3 del quale dovrebbero provenire dal settore privato).

 

Approvando con 502 voti favorevoli, 18 contrari e 6 astensioni la relazione di Umberto GUIDONI (GUE/NGL, IT), il Parlamento deplora anzitutto che il finanziamento della R&S nell'UE «è ancora molto lungi dall'obiettivo di Lisbona pari al 3% del PIL». Osserva infatti che la spesa media UE «è di appena l'1,84% del PIL rispetto al 2,68% negli USA e al 3,18% in Giappone». Notando che le spese variano dallo 0,39% in Romania al 3,86% in Svezia, sottolinea l'importanza di incrementare la spesa media nonché il volume della spesa in taluni Stati membri, focalizzando meglio la ricerca diversificata e gli sforzi di sviluppo in tutta l'Unione, in particolare allo scopo di facilitare la transizione verso l'economia digitale.

 

Ritenendo inoltre «essenziale» creare un mercato unico del lavoro per i ricercatori, il Parlamento sottolinea l'importanza di «impedire ulteriori deflussi di ricercatori europei competenti». Chiede quindi l'adozione di idonee misure per trattenere e far rientrare i ricercatori nell'UE, «in particolare assicurando ampie prospettive di carriera e condizioni di lavoro attraenti». Nell'appoggiare vivamente la Carta europea dei ricercatori e il Codice di condotta per la loro selezione (quali strumenti atti ad accrescere l'attrattiva del SER per i ricercatori), sottolinea la necessità di definire ed introdurre un unico modello europeo di carriera nell'ambito della ricerca e di instaurare un sistema integrato di informazione sulle offerte di posti di lavoro e sui contratti di formazione in materia di ricerca in Europa.

 

I deputati si dicono inoltre favorevoli all'aumento della mobilità geografica dei ricercatori «allo scopo di realizzare la condivisione delle conoscenze e promuovere il trasferimento di tecnologia». A tal fine, chiedono di arricchire i programmi post-laurea e di dottorato e di considerare il lancio di borse e di programmi di formazione post-dottorato basandosi sul programma Erasmus.
 

Sollecitano poi l'eliminazione di tutte le restrizioni transitorie alla libera circolazione e delle barriere nazionali, «come uno scarso riconoscimento e portabilità dei diritti sociali acquisiti, svantaggi fiscali e difficoltà nel trasferire le famiglie». Nel proporre di ricorrere a un sistema di buoni in materia di ricerca che assicuri risorse finanziarie supplementari, ritengono anche necessario accordare sostegno ai giovani ricercatori, in modo da garantire che continuino a ricevere borse di studio quando cambiano sede di lavoro all'interno dell'UE. Occorre anche agevolare l’ingresso nell’UE dei ricercatori dei paesi terzi.

 

Il Parlamento si compiace dei progressi compiuti in materia di sviluppo di infrastrutture di ricerca mediante l'adozione della "Roadmap" per il Foro strategico europeo per le infrastrutture di ricerca (FSEIR). Ritiene tuttavia che occorra prevedere l'inserimento di nuovi strumenti e infrastrutture attualmente sviluppati dagli Stati membri, unitamente alle infrastrutture identificate dall'FSEIR. Vanno anche agevolati la creazione e il funzionamento di grandi organizzazioni e infrastrutture comunitarie di ricerca. Ma i finanziamenti alle nuove infrastrutture di ricerca paneuropee devono essere concessi «soltanto qualora non esistano infrastrutture nazionali di pari valore che forniscano analoghe opportunità di accesso ai ricercatori di altri Stati membri». I deputati, d’altra parte, riconoscono che l'EIT «rappresenterà un importante fattore per rafforzare l'infrastruttura di ricerca dell'UE».

 

I deputati ritengono che lo sviluppo di cluster regionali sia un importante strumento per conseguire una massa critica, riunendo università, enti di ricerca e l'industria e creando centri europei di eccellenza. Invitano poi la Commissione a stabilire un Forum europeo con la missione di identificare, sviluppare e sostenere le principali iniziative di ricerca paneuropee, come pure un sistema comune di revisione scientifica e tecnica per sfruttare meglio i risultati dei programmi europei. La Commissione dovrebbe anche garantire «la piena complementarità» tra le reti di eccellenza e le comunità virtuali di ricerca, «specificandone obiettivi, norme di funzionamento e di finanziamento». Nel ricordare il ruolo delle piccole e medie imprese come enti di ricerca, la relazione chiede di rafforzare, a livello europeo, la loro partecipazione alle attività di R&S, destinando loro almeno il 15% del bilancio del Settimo Programma Quadro (PQ7).

 

La Dichiarazione di Berlino sul libero accesso alla conoscenza delle discipline scientifiche e umanistiche, per il Parlamento, è «un esempio di come Internet abbia creato opportunità di sperimentazione con i nuovi modelli». Al contempo, sottolinea l'importanza di rispettare la libertà di scelta e i diritti di proprietà intellettuale degli autori (DPI). E, in proposito, condivide il concetto di "innovazione aperta", secondo il quale i settori pubblico e privato diventano partner a pieno titolo e condividono le conoscenze. Ma ritiene che «dovrebbe essere ufficialmente riconosciuta la regola di un compenso finanziario corretto ed equo per l'uso della conoscenza pubblica da parte dell'industria». D’altro canto, occorre ampliare gli incentivi concessi al settore privato per investire e partecipare alla ricerca.

 

I deputati si dicono poi convinti che l'incertezza giuridica e i costi eccessivi attualmente imposti nell'ambito dei diritti di proprietà intellettuale «contribuiscano alla frammentazione degli sforzi di ricerca in Europa». Rilevano, peraltro, che la legislazione sulla protezione dei DPI, compreso il diritto europeo in materia di brevetti, «non può costituire un ostacolo alla condivisione delle conoscenze». Richiamano poi l’attenzione sull'importanza di istituire un brevetto comunitario nonché un sistema giudiziario per i brevetti europei di alta qualità, che fornisca migliori incentivi per il coinvolgimento delle imprese private nella ricerca e rafforzi la posizione degli innovatori europei a livello internazionale. Anche perché gli obiettivi della strategia di Lisbona «non possono essere raggiunti senza un notevole aumento del coinvolgimento del settore privato nelle attività di ricerca».

 

Convinto che il minore interesse manifestato dalle giovani generazioni per gli studi scientifici e tecnologici sia strettamente legato all'assenza di cooperazione tra il settore privato e quello accademico, il Parlamento chiede di intensificare gli sforzi per promuovere regimi di collaborazione tra questi due settori e di migliorare l'insegnamento delle materie scientifiche a tutti i livelli dell'istruzione. Rammaricandosi poi per la mancanza di risorse umane nella ricerca in numerosi Stati membri, propone il lancio di iniziative volte a familiarizzare gli allievi ai lavori di ricerca in laboratorio e sul terreno nonché la promozione di metodi attivi ed investigativi di insegnamento che ricorrano all'osservazione e alla sperimentazione. Per promuovere e sostenere il dialogo tra gli scienziati e la società, infine, i primi dovrebbero rendere i risultati della propria ricerca «comprensibili a tutti e alla portata di tutti».

 

 

Link utili

 

Libro verde della Commissione - Nuove prospettive per lo Spazio europeo della ricerca
Decisione n. 1982/2006/CE concernente il settimo programma quadro della Comunità europea per le attività di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione (2007-2013)
Risoluzione del Parlamento europeo: "Mettere in pratica la conoscenza: un'ampia strategia dell'innovazione per l'Europa" (24 maggio 2007)

 

 

Riferimenti

 

Umberto GUIDONI (GUE/NGL, IT)

Relazione su nuove prospettive per lo Spazio europeo della ricerca

Procedura: Iniziativa

Relazione senza dibattito ai sensi dell'articolo 131 del Regolamento del Parlamento

Votazione: 31.1.2008

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Una strategia UE per i rom e stop alle discriminazioni

 

Viste le discriminazioni subite dai circa dieci milioni di rom nell'UE, il Parlamento chiede una strategia europea e finanziamenti per promuovere la loro inclusione sociale. Occorre porre fine alla loro segregazione nell'istruzione, sostenerne l'integrazione nel mercato del lavoro e, con microcrediti, aiutarli ad avviare attività imprenditoriali. E' anche necessario migliorare le loro condizioni nelle baraccopoli e garantire loro l'assistenza sanitaria. Va poi riconosciuto l'Olocausto dei rom.

 

Con 510 voti favorevoli, 36 contrari e 67 astensioni, il Parlamento ha approvato una risoluzione sostenuta da PPE/DE, PSE, ALDE, Verdi/ALE e GUE/NGL che sottolinea anzitutto come i circa 10 milioni di rom che vivono nell'Unione europea siano vittime di discriminazioni razziali, nonostante gran parte di essi siano diventati cittadini dell'UE a seguito degli ampliamenti del 2004 e del 2007, «beneficiando del diritto ... di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri». Osserva inoltre che "l'antizingarismo" o fobia dei rom «è ancora diffuso in Europa», ma anche «promosso e utilizzato dagli estremisti», culminando talvolta «in attacchi razzisti, discorsi improntati all'odio, attacchi fisici, espulsioni illegali e vessazioni da parte della polizia».

 

Nel condannare «senza eccezioni e senza ambiguità possibili» tutte le forme di razzismo e di discriminazione cui sono soggetti i rom e altre comunità considerate "zingari", il Parlamento considera che la situazione dei rom europei sia «diversa» da quella delle altre minoranze e, pertanto, è giustificata «l'adozione di misure specifiche a livello europeo». Sollecita quindi la Commissione a sviluppare una strategia quadro europea per l'inserimento dei rom, che miri a dare coerenza alle politiche dell'UE a favore della loro inclusione sociale e ad elaborare un piano d'azione comunitario dettagliato che fornisca un sostegno finanziario per la realizzazione di questo obiettivo. A un commissario dovrebbe essere attribuita la competenze di coordinare la politica per i rom.

 

Osservando che la segregazione nell'istruzione «continua ad essere tollerata negli Stati membri dell'Unione europea», condizionando in modo permanente «la capacità dei bambini rom di sviluppare e di sfruttare il loro diritto ad uno sviluppo educativo», il Parlamento sollecita la Commissione a rafforzare, in via prioritaria, la legislazione antidiscriminazione in questo campo. A suo parere, inoltre, occorre intensificare gli sforzi per finanziare e sostenere, negli Stati membri, azioni intese ad integrare i bambini rom, sin dalla più tenera età, nei sistemi di istruzione ordinari. Anche perché, come suggerito da Roberta ANGELILLI (UEN, IT) in nome del suo gruppo, «l'istruzione è uno strumento fondamentale per combattere l'esclusione sociale, lo sfruttamento e la criminalità». Occorre combattere anche lo sfruttamento dei bambini rom, «l'accattonaggio che sono costretti a praticare e il loro assenteismo scolastico».

 

Le comunità rom, per i deputati, «presentano in media livelli inammissibilmente elevati di disoccupazione». La Commissione dovrebbe pertanto sostenere l'integrazione dei rom nel mercato del lavoro mediante un sostegno finanziario alla formazione e alla riconversione professionale, azioni positive, un'applicazione rigorosa delle leggi antidiscriminazione nel settore dell'occupazione e misure atte a promuovere presso i rom il lavoro autonomo e le piccole imprese. A quest'ultimo proposito, invitano la Commissione a considerare la possibilità di un sistema di microcredito per promuovere l'avvio di piccole imprese e «sostituire la prassi dell'usura». Sottolineano poi l'importanza di promuovere la presenza dei rom a tutti i livelli dell'amministrazione pubblica, comprese le istituzioni europee.

 

Il Parlamento sottolinea poi che «condizioni di vita deplorevoli e insalubri e una ghettizzazione evidente» sono fenomeni ampiamente diffusi tra i rom, i quali sono regolarmente «vittime di espulsioni forzate o viene loro impedito di abbandonare tali aree». Sollecita quindi la Commissione a sostenere programmi volti a porre fine al fenomeno delle baraccopoli rom – «che generano gravi rischi sociali, ambientali e sanitari» – e a sostenere altri programmi che offrano modelli positivi e riusciti di alloggio per i rom. Facendo proprio un altro emendamento della deputata italiana, il Parlamento sollecita inoltre gli Stati membri a risolvere il problema dei campi, «dove manca ogni norma igienica e di sicurezza e nei quali un gran numero di bambini rom muoiono in incidenti domestici, in particolare incendi, causati dalla mancanza di norme di sicurezza adeguate».

 

Consiglio, Commissione e Stati membri sono poi invitati a sostenere programmi nazionali volti a migliorare la situazione sanitaria delle comunità rom, in particolare introducendo un adeguato programma di vaccinazioni per i bambini. In proposito, il Parlamento sollecita la fine dell'esclusione sistematica di talune comunità rom dall'assistenza sanitaria, come anche delle «violazioni estreme dei diritti dell'uomo» nell'ambito del sistema sanitario, «comprese la segregazione razziale nelle strutture sanitarie e la sterilizzazione forzata delle donne rom». La maggior parte di queste ultime, osservano peraltro i deputati, subisce una doppia discriminazione, «in quanto rom e in quanto donne». Se i deputati sono d'accordo nell'invitare gli Stati membri a combattere i maltrattamenti delle donne rom, hanno però  respinto un altro emendamento proposto sempre dalla deputata italiana dell'UEN, che chiedeva agli stessi rom di rispettare i diritti umani, in particolare per quanto riguarda donne e bambini, «evitando matrimoni forzati».

 

Il Parlamento esorta la Commissione a creare una mappa paneuropea delle crisi, sulla cui base sono individuate e monitorate quelle aree dell'UE le cui comunità rom «risultano essere le più minacciate dalla povertà e dall'esclusione sociale». D'altro canto, riconosce che le competenze fondamentali e il principale investimento in termini di volontà politica, tempo e risorse «devono essere a carico degli Stati membri». Sottolinea poi l'importanza che riveste il fatto di coinvolgere le autorità locali per garantire un'esplicazione efficace degli sforzi volti a promuovere l'inserimento dei rom e a combattere la discriminazione.

 

Secondo i deputati infine, l'Olocausto dei rom (Porajmos) «merita un pieno riconoscimento commisurato alla gravità dei crimini nazisti volti ad eliminare fisicamente i rom d'Europa, così come gli ebrei e altri gruppi mirati». A tale proposito, invitano la Commissione e le autorità competenti a compiere i passi necessari «per porre termine alle attività di ingrasso dei suini sul sito dell'ex campo di concentramento di Lety (Repubblica Ceca), lasciando spazio ad un monumento commemorativo che onori le vittime delle persecuzioni».


 

Link utili

 

Direttiva 2000/43/CE del Consiglio, del 29 giugno 2000, che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica

 

 

Riferimenti

 

Risoluzione comune su una strategia europea per i rom

Procedura: Risoluzione comune

Dibattito: 16.1.2008

Votazione: 31.1.2008

 

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