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RASSEGNA

 

12 - 15 febbraio 2007

 

Strasburgo

 

 

 


Sommario

ISTITUZIONI
IL PRESIDENTE NAPOLITANO AL PARLAMENTO: "E' TEMPO PER L'EUROPA DI USCIRE DALL'IMPASSE"
POETTERING: OCCORRE UN'EUROPA CHE CREDA IN SE STESSA

GIUSTIZIA E AFFARI INTERNI
ATTIVITÀ SEGRETE DELLA CIA IN EUROPA: ADOTTATA LA RELAZIONE FINALE
PNR E SWIFT: NUOVI ACCORDI CHE GARANTISCANO LA PRIVACY

RELAZIONI ESTERNE
NON DEMONIZZARE L'ISLAM MA VIETARE L'APOLOGIA DEL TERRORISMO

AMBIENTE
FRENARE LA PRODUZIONE DI RIFIUTI IN EUROPA
CLIMA: RIDURRE LE EMISSIONI E SVILUPPARE FONTI RINNOVABILI

AFFARI ECONOMICI E MONETARI
BIOCARBURANTI NEI SERBATOI CONTRO I RINCARI DEL PETROLIO

INDUSTRIA
RIVEDERE IL SISTEMA DI GESTIONE DELLE FREQUENZE RADIO TV

AGRICOLTURA
VINO: PREPARARE IL SETTORE ALLA GLOBALIZZAZIONE
PAC: NUOVO NO ALLA MODULAZIONE VOLONTARIA

DIRITTI DELLE DONNE/PARI OPPORTUNITÀ
DONNE IN TURCHIA: ACCELERARE LE RIFORME E PIÙ IMPEGNO CONTRO LA VIOLENZA

PESCA
MAGLIE PIÙ STRETTE CONTRO LA PESCA ILLEGALE

ISTITUZIONI
INTERVENTI DI UN MINUTO
ALTRI DOCUMENTI APPROVATI

CODICI DELLE PROCEDURE PARLAMENTARI, ABBREVIAZIONI

DEPUTATI AL PARLAMENTO EUROPEO

 

ISTITUZIONI


Il Presidente Napolitano al Parlamento: "E' tempo per l'Europa di uscire dall'impasse"

Nel rivolgersi all'Aula, il Presidente Napolitano ha sottolineato il ruolo propulsivo del Parlamento a favore di una sempre più intensa integrazione dell'Europa, a partire dal progetto di Altiero Spinelli. Ammonendo sui rischi di una riapertura del negoziato sul Trattato costituzionale, ha espresso l'auspicio che alle elezioni del 2009 esso sia già in vigore. Nell'assicurare che l'Italia "farà la sua parte", ha evidenziato l'esigenza di spiegare meglio ai cittadini i vantaggi della Costituzione.

Il Presidente POETTERING, in italiano, ha introdotto il Capo dello Stato sottolineando l'immenso piacere nell'accoglierlo al Parlamento europeo «che lei conosce così bene per esserne stato membro attivo e rispettato». Lei, ha proseguito, «ha guidato con saggezza ed efficacia, la commissione affari costituzionali del nostro Parlamento, mostrando una convinta fede europeista che mantiene intatta nella Sua attuale funzione di Capo dello Stato italiano». Dopo aver rivolto un saluto alla consorte del Presidente presenta in tribuna, ha anche salutato tutti coloro che, dall'Italia, seguono l'evento in diretta televisiva nonché gli studenti e i docenti che in molte Università italiane sono collegati con il Parlamento europeo via satellite nell'ambito del progetto "Verso la Costituzione europea".

Passando al tedesco, il Presidente ha affermato che, a 50 anni dalla firma dei Trattati di Roma, il Capo dello Stato italiano «rappresenta il ruolo importante dell'Italia nel processo di unificazione», portando avanti le tradizioni di Alcide De Gasperi. «Da Roma si va verso Roma», ha aggiunto sottolineando che anche altre città italiane sono state al centro della costruzione europea. La Conferenza di Messina del 1955, ha infatti ricordato, ha portato due anni dopo alla firma dei Trattati di Roma. «L'Italia è stata e rimane uno dei pilastri fondamentali del processo d'integrazione europea», ha concluso parlando nuovamente in italiano, e dicendosi fiducioso nell'impegno personale del Presidente e del suo Paese «per consentire a questo processo di riprendere ad avanzare con passo spedito».

Intervento del Presidente Giorgio Napolitano - La Costituzione non è morta

Signor Presidente,

la ringrazio vivamente per le cortesi e amichevoli espressioni che ha rivolto a me e all'Italia. Esse rispecchiano il nostro comune sentire e operare nel periodo della più stretta collaborazione tra noi. Collaborammo, nei rispettivi ruoli, soprattutto per far nascere quel Trattato costituzionale a cui lei ora rinnova un convinto sostegno. Le ricambio dunque sentimenti di sincera stima e di fervido augurio all’inizio del suo importante mandato.

Signor Presidente Pöttering,
Signor Vice-Presidente della Commissione,
Signor Rappresentante del Consiglio,
Signore e Signori deputati,

Ritorno in questo emiciclo con lo stesso sentimento di appartenenza che mi ha animato negli anni del mio impegno in Parlamento europeo. Appartenenza all’istituzione parlamentare e appartenenza all’Europa. Sono stato per più decenni membro del Parlamento nazionale del mio paese, ma mi sono subito sentito a mio agio nell’assolvere il mandato di eletto in questa assemblea quando sono stato chiamato a farne parte. Nessun disagio, perché il Parlamento europeo, almeno dal 1979, ha la stessa dignità, autorità e legittimità democratica di qualsiasi Parlamento liberamente eletto. Nessuna contraddizione, perché ho sempre creduto e credo che tra Parlamenti nazionali e Parlamento europeo non debba esservi incomprensione e antagonismo, ma solo rispetto reciproco e feconda cooperazione.

E, soprattutto, sono sempre stato convinto che si possano ben rappresentare le ragioni e gli interessi del proprio paese nel Parlamento europeo come nel Parlamento nazionale: qui, nelle aule di Strasburgo e di Bruxelles, secondo una visione più ampia di problemi e di scelte che anche nell’interesse delle nostre comunità nazionali debbono concepirsi in una dimensione europea. Quel che unisce noi tutti è appunto il senso dell’appartenenza all’Europa come patrimonio comune di valori e di idee, di tradizioni e di speranze, e come progetto di costruzione di un nuovo soggetto politico e istituzionale che possa far fronte alle sfide dell’epoca in cui viviamo e del prevedibile futuro.

Così si spiega il dato peculiare dell’esperienza che si compie nel Parlamento europeo: dove agiscono rappresentanze politiche che non obbediscono a logiche nazionali ristrette e divergenti, e che possono certo dividersi su questioni anche importanti, in votazioni certamente significative, ma convergono in assai larga misura nella visione dei fondamentali obbiettivi da perseguire al fine di rafforzare la costruzione dell’Europa unita.

Quando – com’è accaduto tante volte nel corso dei decenni – si è trattato di scegliere tra l’andare più avanti, il rendere più ampia e forte l’unità europea, o il segnare il passo e addirittura il tornare indietro, il Parlamento europeo ha sempre svolto un ruolo propulsivo, si è pronunciato nettamente, con maggioranze larghissime, per far progredire la costruzione comune, per allargarne l’orizzonte e le ambizioni.

In effetti, già a partire dal grande fatto nuovo dell’elezione, nel 1979, del Parlamento europeo a suffragio universale, la strada della parlamentarizzazione e della costituzionalizzazione dell’Unione era apparsa una prospettiva obbligata, al fine di rafforzare le basi democratiche del processo d’integrazione, di garantire i diritti e le possibilità di partecipazione dei cittadini. In quel senso si mosse il Parlamento europeo approvando il 14 febbraio 1984 – precisamente 23 anni fa – il Progetto di Trattato che istituiva l’Unione europea. Quel Progetto elaborato e discusso per impulso di Altiero Spinelli purtroppo non divenne Trattato; e nonostante il lungo e non infecondo cammino successivo, spesso ispirato alle proposte dello stesso progetto Spinelli, rimasero aperte molte questioni, e ne sorsero di nuove.

Così, quando al momento della firma del deludente Trattato di Nizza, i governi convennero sulla necessità di affrontare i grandi temi dell’avvenire dell’Europa e di aprire un vero e proprio processo costituente, il Parlamento si impegnò fino in fondo a dare il suo contributo, collaborando alla ricerca di soluzioni soddisfacenti di fronte agli interrogativi indicati nella Dichiarazione di Laeken del dicembre 2001.

Il Parlamento europeo può essere fiero del ruolo propulsivo svolto più che mai in quella fase e in special modo nella Convenzione di Bruxelles, nei suoi gruppi di lavoro, nelle sue sedute plenarie e nel suo Presidium.

Signori deputati, 2001,2002,2003: in quegli anni non ci fu pausa, ci fu sul serio riflessione, autentica e profonda riflessione. E quel che quindi si consegnò alla Conferenza Intergovernativa per le decisioni finali fu un materiale molto ricco di analisi, un testo lungamente meditato e discusso. Il risultato fu certamente un compromesso, ma non di basso livello: si trovò un terreno d’incontro tra punti di vista diversi, ciascuna parte – anche il Parlamento europeo – sacrificò in qualche misura le sue richieste e proposte, pur di giungere a un’intesa che facesse comunque avanzare la causa dell’unità e dell’integrazione europea.

Ebbene, signori deputati, si può forse oggi dichiarare con leggerezza che quel Trattato – non a caso chiamato “costituzionale” – è morto? Che quello straordinario e prolungato sforzo politico e culturale è destinato a finire nel nulla? Che le firme di 27 Capi di Stato o di governo in calce a quel testo non hanno più valore?

Naturalmente, sappiamo benissimo quale trauma abbia rappresentato il voto contrario alla ratifica del Trattato costituzionale nei referendum indetti in due dei sei paesi fondatori della Comunità europea. E sappiamo egualmente quali questioni ci ponga il diffondersi, anche in altri paesi, di dubbi e scetticismi sulla strada da seguire in Europa, sullo stato attuale e sulle prospettive dell’Unione europea.

In realtà, si stanno pagando le conseguenze di uno scarso sforzo per associare i cittadini alle grandi scelte dell’integrazione e unificazione europea, per diffondere nelle opinioni pubbliche di tutti i paesi la consapevolezza degli straordinari risultati e progressi conseguiti in cinquant’anni e delle nuove, sempre più pressanti esigenze di rafforzamento dell’Unione europea, della sua coesione e della sua capacità d’azione.

Tutto questo peraltro non può condurre a una sottovalutazione delle ragioni del Trattato costituzionale sottoscritto a Roma nell’ottobre 2004, e nemmeno delle soluzioni in esso contenute. Queste hanno già costituito delle concrete anche se parziali risposte – che bisogna far meglio conoscere e apprezzare – alle sollecitazioni dei cittadini, compresa quella per una maggiore trasparenza e democrazia nell’Unione.

Se nel complesso il Trattato costituzionale ha costituito un felice punto d’incontro, va ricordato che in un buon compromesso si tengono insieme sia l’accoglimento di certi punti di vista sia la rinuncia ad altri. Non lo si dimentichi nel momento in cui si parla di rimettere le mani sul testo del 2004 : nessuno può pensare di spostare a vantaggio delle proprie tesi l’equilibrio del compromesso raggiunto. Aprire un nuovo negoziato può significare aprire un vaso di Pandora, correre il rischio di ripartire da zero, avviare un confronto dai risultati e dai tempi imprevedibili.

Diciotto dei ventisette Stati membri hanno ratificato il Trattato, in rappresentanza di 275 milioni di cittadini europei : essi meritano rispetto per aver mantenuto l’impegno sottoscritto a Roma. E’ ben chiaro, s’intende, che vanno considerate con rispetto anche le maggioranze espressesi in senso contrario nei referendum francese e olandese, e che vanno perciò perseguiti tutti i chiarimenti possibili in ordine alle preoccupazioni da cui sono scaturiti quei pronunciamenti contrari.

Ma è tempo per l’Europa di uscire dall’impasse. E non si può seriamente sostenere che l’Unione non abbia bisogno – dopo il grande allargamento – di una ridefinizione del quadro d’insieme dei suoi valori e  dei suoi obbiettivi e di una riforma dei suoi assetti istituzionali. Lavorare a un progetto di Costituzione per l’Europa non ha rappresentato un esercizio formalistico, non ha rappresentato un capriccio o un lusso : ha corrisposto a una profonda necessità dell’Europa nell’attuale momento storico.

Né si può proporre oggi come visione e strategia alternativa quella dell’Europa dei progetti o dei risultati. Certo, è ben vero che negli ultimi due anni l’Unione non è rimasta ferma. Essa ha dato la maggior prova di quel che potrebbe rappresentare sulla scena internazionale quando è riuscita a esprimersi con una sola voce sulla guerra in Libano, promuovendo una nuova e impegnativa missione per la pace in quella regione e in tutto il Medio Oriente. Accanto a questa rinnovata iniziativa politica, si può iscrivere all’attivo del bilancio di questo periodo la definizione, con il sostanziale contributo dato dal Parlamento europeo grazie ai poteri della procedura di codecisione, di alcune importanti direttive e dell’accordo per un sia pur limitato rafforzamento delle magre prospettive finanziarie 2007-2013.

Ma sulla strada dei risultati, signori deputati, con l’attuale quadro istituzionale non si può andare molto lontano. E’ certamente importante elaborare e prospettare le linee di nuove politiche comuni : come ha di recente fatto la Commissione per i problemi dell’ambiente e dell’energia, esplosi ormai in tutta la loro acutezza col cambiamento climatico e con le tensioni per l’approvvigionamento di petrolio e di gas. Sappiamo tuttavia per lunga esperienza che documenti, comunicazioni e anche proposte legislative della Commissione possono sfociare in scarsi risultati o in solo lentissimi progressi : ce lo dice ad esempio il così stentato cammino di molti anni verso una politica europea dell’immigrazione.

Sappiamo egualmente come alla nascita della moneta unica non sia seguita la governance economica che sarebbe stata necessaria anche per assicurare l’effettivo conseguimento degli obbiettivi formulati nel grande progetto della strategia di Lisbona.

E allora, che cosa è decisivo per rendere vitali i progetti e per far crescere sul serio un’Europa dei risultati? E’ decisiva la forza delle istituzioni e dell’impegno politico. E’ decisivo per l’Unione dotarsi di istituzioni più forti delle resistenze opposte da quegli Stati membri che restano più chiusi nella difesa di anacronistiche prerogative e di velleitarie presunzioni nazionali.

Il Trattato costituzionale ha sgombrato il campo da ogni timore o sospetto di svolta verso un superStato centralizzato : ha sancito più nettamente la ripartizione delle competenze e garantito il rispetto del principio di sussidiarietà. Si può piuttosto sostenere che abbia innovato troppo poco per adeguare regole di funzionamento e procedure di decisione alla sfida dell’Unione allargata, e troppo poco per avviare le nuove politiche comuni di cui c’è bisogno.

Con il Trattato costituzionale, i più decisi passi avanti si sono compiuti in direzione di una politica estera e di sicurezza comune, di un effettivo spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia, di una cooperazione strutturata nel campo della difesa e di una cooperazione rafforzata in altri campi. Ma se si aprisse un nuovo negoziato e da qualche parte si rimettessero in questione tali innovazioni, a cominciare dall’istituzione di un ministro degli affari esteri europeo e di un servizio europeo per l’azione esterna, si può esser certi che da altre parti verrebbe richiesto piuttosto il completamento o l’integrazione del Trattato del 2004 con nuove, più coraggiose e coerenti scelte per lo sviluppo del processo di integrazione. Verrebbe ad esempio comprensibilmente riproposta l’esigenza di una maggiore estensione dell’area delle decisioni a maggioranza in seno al Consiglio: anche perché il superamento della regola dell’unanimità e del diritto di veto non esclude, e anzi favorisce la ricerca di larghe intese, il raggiungimento in tempi rapidi di accordi accettabili.

Ed egualmente sarebbe di nuovo avanzata – riaprendosi il negoziato – la proposta di superamento del vincolo dell’unanimità per le future riforme dei Trattati e per la loro entrata in vigore.

Occorre dunque grande realismo da tutte le parti. Realismo e insieme determinazione per non far prevalere la tendenza, che ancora una volta si manifesta, a indebolire e annacquare la scelta che più di cinquant’anni orsono venne compiuta. Si scelse allora la prospettiva di un’Europa capace di integrarsi, una e plurale, ricca nelle sue diversità, consapevole del suo comune retaggio di civiltà, forte nel combinare la cooperazione tra governi nazionali con una nuova dimensione sovranazionale.

Stiamo per celebrare il cinquantenario dei Trattati di Roma, ed è importante cogliere l’occasione per confermare quella prospettiva e quella scelta, rendendone chiare le nuove ragioni e le nuove ambizioni.

Ma è a Parigi che già nel 1950 nacque “l’invenzione comunitaria”, con la quale si giunse a delineare l’orizzonte più lontano della Federazione europea, degli Stati Uniti d’Europa. Ed è da Parigi che oggi attendiamo con fiducia un responsabile apporto al superamento della crisi che si è aperta con la mancata ratifica del Trattato del 2004. L’amica Francia ha un senso così alto del suo ruolo nell’Europa e nel mondo, che non ci farà mancare questo suo ormai decisivo apporto.

Signor Presidente, Signori deputati, ho richiamato la vostra attenzione su alcuni elementi essenziali del quadro in cui si collocano le decisioni da prendere nel prossimo futuro, senza entrare nel merito delle molteplici ipotesi che si sono di recente affacciate sul piano giuridico, tecnico e politico, nella ricerca di una via d’uscita dall’impasse istituzionale. L’Italia guarda con piena fiducia all’impegno della Presidenza tedesca, per i principi e i valori cui il Cancelliere, Signora Merkel, si è richiamata nel suo discorso in quest’aula e per la riaffermazione dell’obbiettivo di giungere all’adozione del Trattato costituzionale.

Comunque possa definirsi la roadmap di cui oggi si parla, è importante che già si convenga sulla necessità che alle elezioni del 2009 si possa presentare ai cittadini il Trattato costituzionale entrato in vigore, con il suo messaggio e il suo programma.

Il mio vuol essere, partendo da ciò, un appello al senso di responsabilità e alla volontà politica di tutti coloro che hanno ruoli di guida nei nostri paesi. Nessuno ignora la portata delle nuove minacce, sfide e opportunità che sono dinanzi a noi. L’Europa potrà incidere sulle relazioni internazionali e sullo sviluppo globale, potrà ritrovare slancio e dinamismo e potrà contare nel mondo, solo se rafforzerà la propria coesione e unità, dotandosi rapidamente – come Unione – delle istituzioni e delle risorse necessarie. L’alternativa – dovremmo saperlo – è un drammatico declino del ruolo di tutti i nostri paesi, del ruolo storico del nostro continente. Lasciatemi ripetere le parole con cui Jean Monnet concluse le sue memorie nel 1976: “Non possiamo fermarci quando attorno a noi il mondo intero è in movimento”. Trent’anni dopo, quelle parole sono ancora più vere, suonano come un assillo a cui non si può più sfuggire.

Si mostrino dunque all’altezza di questa consapevolezza e di questa responsabilità le forze che guidano tutti i nostri paesi, sappiano sprigionare una nuova volontà politica europea. E si levi più che mai alta la voce del Parlamento europeo, la sua sollecitazione, come nel passato, alla coerenza e al coraggio.

L’Italia farà la sua parte, Signor Presidente Pöttering, darà come ha dato fin dall’inizio del processo di integrazione il suo contributo. Un contributo che è simboleggiato dalle figure di uno statista lungimirante, Alcide De Gasperi, e di un appassionato profeta e combattente dell’idea europea, Altiero Spinelli, di cui celebriamo quest’anno il centenario della nascita. E nel richiamarmi al loro esempio, nel ribadire l’impegno europeo dell’Italia, so di poter rappresentare il mio paese nell’insieme delle sue forze politiche e nel sentire profondo dei suoi cittadini.

Nello stesso tempo, ho inteso rivolgermi a voi, signori deputati, con accenti più strettamente personali, dettati dall’emozione di chi, sedendo in questi banchi, operando in questo Parlamento, ha sempre meglio imparato che la causa dei nostri popoli, delle nostre nazioni, del nostro comune futuro si serve solo lavorando per un’Europa unita.

Grazie

I deputati, in piedi, hanno tributato un lungo applauso al Presidente Napolitano.

Link utili

Biografia di Giorgio Napolitano
Scheda sull'attività svolta nel corso dei mandati al Parlamento europeo

Riferimenti

Seduta solenne Italia - Allocuzione di Giorgio Napolitano, Presidente della Repubblica italiana
14.2.2007

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Poettering: occorre un'Europa che creda in se stessa

Alla presenza degli ex presidenti del Parlamento europeo, il Presidente Poettering ha illustrato all'Aula il suo programma per i prossimi due anni e mezzo. Difesa dei valori dell'Europa, in primo luogo la dignità dell'uomo, attenzione alle richieste dei cittadini, rilancio del processo costituzionale e dialogo tra culture e religioni, sono i principali temi affrontati. Sono intervenuti anche la cancelliera Merkel e il Presidente della Commissione, nonché i leader dei gruppi politici.

Allocuzione del Presidente del Parlamento europeo

Il Presidente Hans-Gert POETTERING ha anzitutto sottolineato la «responsabilità» che incombe sul Parlamento europeo «proprio nel momento in cui l'opera di unificazione dell'Europa è assai avanzata ma non ancora compiuta» e, anzi, «è tuttora a rischio a causa del temporaneo fallimento del trattato costituzionale in Francia e nei Paesi Bassi». Il Parlamento europeo, ha aggiunto, è consapevole di questa responsabilità e «non può cedere il passo a nessuno quando si tratta di realizzare l'unità del nostro continente!».

Dopo aver ringraziato sentitamente il suo precedessore, Josep Borrell Fontelles, e tutti gli ex Presidenti del Parlamento presenti in Aula (Emilio Colombo, Simone Veil, Lord Plumb, Enrique Barón Crespo, Egon Klepsch, Klaus Hänsch, José-María Gil-Robles, Nicole Fontane e Pat Cox), ha ricordato che dal 1979 l'Europa ha vissuto alti e bassi e «il suo maggior successo è stato il superamento della divisione dell'Europa». La riunificazione tedesca e i due ultimi ampliamenti dell'UE, ha detto, «rimangono ... il miracolo della nostra generazione». Tuttavia, ha aggiunto, «rimane nostro comune dovere apprendere l'uno dall'altro a rafforzare il rispetto e la comprensione reciproci». Occorre quindi «smettere di parlare di "vecchi" e "nuovi" Stati  membri».

L'esperienza insegna, ha proseguito, che «possiamo avere successo per il nostro Continente quando noi stessi lo vogliamo, quando da parte nostra rimane una ferma e decisa volontà di realizzare l'unità del nostro Continente, salvaguardandone allo stesso tempo la diversità». Ciò è possibile, ha spiegato, solo se i cittadini dell'UE «sentiranno anche di essere europei e saranno consapevoli di ciò che li unisce», perché «l'unificazione europea è anche un affare di cuore», e farlo capire chiaramente alle persone «è forse il più grande impegno che dobbiamo realizzare in comune». Gli europei dovrebbero quindi essere orgogliosi di ciò che hanno conquistato nel corso dei decenni, in termini di valori, libertà, diritto e democrazia. Per riscoprire «le nostre affinità» ha quindi esortato a ricordare che le radici europee «sono la filosofia greca, il diritto romano, l'eredità giudaico-cristiana, l'illuminismo e quindi la nostra comune cultura europea». Ne fanno parte però anche le «tragiche guerre civili europee» e, durante il XX secolo, le ideologie totalitaristiche «fondate sul disprezzo dell'uomo». Ma anche, dopo il 1945, «il coraggio dei padri fondatori di intraprendere la via del perdono e della fratellanza, di costruire una nuova, migliore, pacifica e comune Europa».

I valori europei, ha poi sottolineato, «poggiano sostanzialmente sulla dignità dell'uomo» e ciò ha conseguenze molto concrete per la nostra politica. Pertanto, si è detto favorevole a un partenariato «con una Russia democratica e capace di agire», attendendosi però dalle autorità russe sforzi tangibili per punire gli assassini di Ana Politkovskaya. Senza gli Stati Uniti d'America, ha aggiunto, «non si sarebbero potuti piegare né il nazionalsocialismo né il comunismo sovietico», ma con i principi dell'ordinamento giuridico europeo una Guantanamo «non è compatibile». Occorre anche affrontare con fermezza chi nega l'Olocausto, «il peggiore di tutti i crimini». Le persone in Israele e Palestina sono «accomunate dalla stessa dignità, ha quindi affermato, dicendosi favorevole sia al diritto all'esistenza di Israele sia al diritto del popolo palestinese a vivere in un proprio Stato. Ha poi espresso il sostegno del Parlamento a coloro i quali combattono pacificamente per la libertà e la democrazia e, in proposito ha ricordato taluni vincitori del premio Sacharov, come Alexander Milinkievich, "Las Damas de Blanco" e Aung San Suu Kyi. Ribadendo l'impegno nella difesa dei valori, ha riaffermato la contrarietà del Parlamento alla pena di morte, chiedendo all'UE di operare a favore dell'abolizione della pena di morte nel quadro delle Nazioni Unite.

Se vogliamo raggiungere i nostri obiettivi, ha pertanto ammonito «è essenziale continuare a costruire un'Unione europea in grado di agire». Oggi, ha aggiunto, l'Europa trova riconoscimento ed impulso nella ricerca di sicurezza dei suoi cittadini e, per tale motivo, occorrono soluzioni ai problemi che più stanno a cuore ai nostri cittadini. E' quindi necessario impegnarsi per creare lavoro e protezione sociale in un mondo in rapida mutazione, rafforzando la competitività e salvaguardando nel contempo il modello sociale europeo. In materia di cambiamento climatico, occorre adottare le necessarie misure ed applicarle con fermezza «prima che sia troppo tardi». E' necessario garantire un approvvigionamento energetico comune e dotarsi di una politica comune dell'immigrazione «che rispetti tanto i diritti dell'uomo quanto la necessità di integrazione nella nostra società» e impegnarsi come partner per la sicurezza nel mondo in tutti i suoi aspetti.

Per il Presidente «senza soluzioni da parte dell'Europa, non si potranno superare gran parte delle sfide di fronte alle quali si trovano il nostro continente e il nostro mondo». L'Unione europea ha quindi bisogno «di un nuovo slancio, di un rinnovamento», per una Europa migliore, per una Europa più forte rivolta al futuro. Ma abbiamo bisogno soprattutto di un'Europa «che creda in se stessa, attinga la sua forza dai propri valori e che voglia e possa essere un buon partner nel mondo». Sottolineando poi che dai politici si attende capacità di guida, ha affermato che occorre giustificare meglio i motivi per i quali l'Europa «è un bene per tutti», che tipo di valore aggiunto comporta l'unificazione europea e quali sono gli obiettivi, facendo in modo che sia superata l'impressione che la politica europea «abbia solo funzione tecnica, senza lungimiranza e nesso logico». Insomma, «dobbiamo convincere attraverso le nostre azioni, concentrandoci sull'essenziale».

Il Presidente ha quindi rivolto un appello ai media nazionali, soprattutto alle aziende televisive, affinché apportino il loro contributo all'opinione pubblica europea, invitandole ad  aprire i loro studi alle tematiche europee e ad ospitare i deputati al Parlamento europeo. Abbiamo bisogno di un nuovo patto tra le cittadine e i cittadini europei e le loro istituzioni politiche nell'Unione europea, ha proseguito. In proposito, ha sottolineato che il programma di lavoro "Legiferare meglio" potrà fornire un contributo «se apporterà un maggior controllo democratico, trasparenza in seno al Consiglio, una trasposizione certa nel diritto nazionale, una valutazione delle conseguenze sociali, ecologiche, economiche e amministrative e la semplificazione degli atti giuridici stessi».

Ha quindi proposto di istituire un'onorificenza del Parlamento europeo da attribuire a cittadini europei che, con il loro lavoro, aumentano il prestigio dell'Europa nel mondo nonché dei riconoscimenti ai giovani europei che si impegnano per l'Europa «in modo davvero esemplare». Ha inoltre proposto la costruzione di una "Casa della storia europea", come luogo che alimenti il nostro ricordo della storia europea e dell'opera di unificazione europea e, allo stesso tempo, sia aperto all'ulteriore formazione dell'identità dell'Europa.

Per il Presidente, l'Unione europea «non può più essere guidata con gli inadeguati strumenti dell'attuale sistema giuridico dei trattati». Se la nostra comunità di valori «vuole durare», ha spiegato, «dovremo sottoporla ad una fondamentale riforma». In proposito, ha sottolineato che il trattato costituzionale «rafforza sia il Parlamento europeo che i parlamenti nazionali, è un valore aggiunto di parlamentarismo e democrazia». Viene infatti riconosciuta, per la prima volta, l'autonomia amministrativa comunale quale fondamento del nostro ordinamento democratico europeo e sono definite le competenze europee. Ha quindi confessato di non capire coloro che da un lato criticano "Bruxelles" e, nel contempo, respingono il trattato costituzionale, che costituisce «proprio lo strumento in grado di contribuire a eliminare e correggere le carenze riconosciute».

«Non dobbiamo far nascere alcun dubbio», ha aggiunto, «il Parlamento europeo appoggia il trattato costituzionale», ed è necessario continuare a fare in modo che la sostanza del trattato costituzionale, insieme al capitolo sui valori, «diventi realtà giuridica e politica». La "Dichiarazione sul futuro dell'Europa" del 25 marzo 2007 a Berlino, ha quindi sottolineato, «può costituire un'ulteriore importante pietra miliare su questo cammino». Il suo nucleo dovrebbe essere il riconoscimento dei nostri valori e delle riforme necessarie, l'impegno a superare in comune le sfide del futuro, il riconoscimento della solidarietà tra i nostri popoli e il valore del diritto come fondamento della nostra azione. Ha quindi esclamato che «nessun paese, nessun popolo dell'Unione europea può essere lasciato solo con i propri problemi». Chi pensa solo agli interessi del proprio paese, ha spiegato, «alla fine non li servirà, perché distrugge la solidarietà che è necessaria a difendere i propri interessi».

Il Parlamento deve quindi contribuire a fare in modo che, sotto la Presidenza tedesca del Consiglio nel corso del Vertice del 21 e 22 giugno a Bruxelles, vengano concordati una tabella di marcia e un mandato al cui termine si realizzi integralmente il nucleo sostanziale della Costituzione europea prima delle prossime elezioni al Parlamento europeo del giugno 2009. In proposito ha ricordato che il trattato costituzionale è stato firmato da tutti i 27 governi e, pur sostenendo che occorre rispettare l'esito dei referendum, ha posto l'accento sulla necessità di rispettare gli accordi e gli impegni assunti in sede europea. La volontà di realizzare queste necessarie riforme deve quindi essere «ferma e decisa», «in modo che i popoli dell'Unione europea non vengano divisi, ma uniti». Ha poi annunciato che presenterà presto una riforma globale dei lavori del Parlamento europeo.

Il futuro dell'Europa, secondo il Presidente, «dipende in grande misura dal modo in cui riusciremo a far convivere le culture e le religioni nell'Unione europea e riusciremo a convivere con i nostri vicini, soprattutto del mondo arabo e islamico». E' quindi necessario cooperare affinché il dialogo tra culture e religioni «costituisca il segno distintivo dell'Europa». Il Parlamento europeo deve pertanto incoraggiare e appoggiare esempi di società civile europea che siano improntati al dialogo tra culture, sostenendo attivamente tutti gli esempi di convivenza europea fra cristiani, musulmani ed ebrei. Si tratta, ha spiegato, di un investimento decisivo nel nostro sviluppo intellettuale e, al tempo stesso, il migliore contributo che possiamo dare al dialogo tra culture al di là del Mediterraneo, in Medio Oriente e nel Nordafrica. «Noi non vogliamo lo scontro tra culture, ma desideriamo la pace in libertà e giustizia fra tutti i popoli e le fedi», per questo motivo occorre gettare «un ponte intellettuale e culturale sul Mediterraneo».

Questo dialogo, ha aggiunto, «deve fondarsi sulla tolleranza e la verità». Tolleranza, ha spiegato, non significa qualunquismo, ma «rispettare le convinzioni degli altri, salvaguardando le proprie, e quindi convivere senza violenza». In proposito, ha ricordato che, interrogato da un alto dignitario islamico, aveva risposto che, spesso, i musulmani in Europa non sono sufficientemente integrati, ma che possono praticare la propria fede e che dispongono di propri luoghi di culto e moschee. Ha poi definito «eloquente», il silenzio del suo interlocutore alla domanda se fosse vero che nel suo paese una musulmana o un musulmano potessero essere puniti con la morte nel caso intendessero convertirsi alla fede cristiana. Sottolineando poi l'importanza dell'Assemblea euromediterranea, ha annunciato che, non appena le circostanze lo consentiranno, visiterà Israele, Palestina e Libano.

Ricordando, infine, che al termine del suo mandato sarà eletto un nuovo Parlamento europeo, ha affermato che «se il nostro lavoro sarà convincente e se anche nelle capitali nazionali si parlerà dell'Europa in termini positivi, aumenterà nuovamente la partecipazione alle elezioni al Parlamento europeo». E la «nostra ambizione dovrebbe essere raggiungere questo obiettivo».

Dichiarazione della Presidenza

Ricordando la lunga esperienza di deputato europeo del Presidente, Angela MERKEL ha sottolineato che egli, dal 1979, ha potuto constatare e partecipare allo «sviluppo straordinario» del Parlamento, senza il quale molto di quanto è stato realizzato a favore dei cittadini non sarebbe stato possibile. Nel 2009, ha proseguito, «ci presenteremo di fronte ai cittadini per rendere conto del perché e del come agiamo» per la pace e la solidarietà e per il benessere. La Costituzione, ha aggiunto, «è una questione fondamentale» per essere vicini ai cittadini e permettere all'UE a 27 di lavorare. Ha quindi affermato che occorre fare del nostro meglio per realizzare questo progetto e far sì che i cittadini sappiano per quale Europa voteranno.

La Cancelliera ha poi voluto rammentare che il Consiglio europeo di primavera tratterà del problema energetico e, in proposito, si è detta favorevole alla proposta di riduzione delle emissioni di CO2 da parte dei veicoli, sempre che l'obiettivo sia condiviso a livello internazionale, «visto che buona parte delle emissioni è prodotta al di fuori dell'UE». Le riduzioni che andranno decise, ha anche precisato, non dovranno essere «insopportabili». E' anche necessario sviluppare le fonti rinnovabili e definire una politica estera energetica. A quest'ultimo proposito, la Cancelliera ha espresso l'augurio che i negoziati con la Russia progrediscano entro il prossimo mese di maggio.

Dopo aver auspicato il contributo del Parlamento europeo nel miglioramento della legislazione e nella riduzione della burocrazia (tema all'ordine del giorno del Vertice di Primavera), la Cancelliera ha sottolineato che il 25 marzo sarà adottata la Dichiarazione sl futuro dell'Europa. Dicendosi d'accordo con il Presidente sull'accento che deve essere posto sulla difesa dei diritti umani e sul dialogo tra le culture, ha sottolineato che il mondo ha molte aspettative nei confronti dell'Europa e che questa ha quindi una grande responsabilità nel sostegno al processo di pace. La fine della guerra fredda, ha aggiunto, ha posto 27 paesi in un comune processo democratico che può influire sulla pace universale e il «miracolo» europeo può ripetersi anche in altri paesi, come in Israele e Palestina.

Dichiarazione della Commissione

Dopo aver elogiato il discorso del Presidente, José Manuel BARROSO ha affermato che i valori europei sottolineano l'importanza «dell'Europa che vogliamo». Solo con impegni comuni, ha aggiunto, è possibile dare le risposte che si attendono i cittadini. Ha quindi condiviso il risalto posto sul dialogo tra le culture e le religioni, affermando che la diversità arricchisce ed è fonte della forza europea. Occorre quindi coltivare questo dialogo in modo adeguato. Soffermandosi sulla Dichiarazione del 25 marzo, il Presidente della Commissione ha sostenuto che essa sarà l'occasione per celebrare i successi ottenuti e i valori dell'Europa. Dovrà costituire un punto di riferimento, una conferma di cosa è l'UE e un impegno su cosa si intende realizzare nel XXI secolo. 

Si è quindi detto convinto che se l'Unione dimostrerà ai cittadini che affronta la globalizzazione, promuove la crescita e l'occupazione, è solidale, lotta contro i cambiamenti climatici e garantisce la loro sicurezza, difendendo i suoi valori nel mondo, questi potranno avere fiducia nella riforma dell'UE volta ad affrontare le future sfide con successo. Per ottenere tali risultati, ha anche sottolineato, occorre un solido partenariato tra le istituzioni, fondato sulla separazione delle competenze ma anche sull'interdipendenza. Ha inoltre ribadito che «non è possibile costruire l'Europa di domani con gli strumenti del passato» e, pertanto, «Nizza non basta».

Il Presidente ha pertanto esortato gli Stati membri a trovare una soluzione al problema costituzionale e, anche se è impossibile riproporre lo stesso testo, ha ricordato che tutti loro lo hanno firmato. Ciò, a suo parere, implica un riconoscimento che l'Unione ha ancora bisogno di risolvere i problemi e le sfide comuni non ancora risolti ma anche una responsabilità nei confronti degli altri partner, delle istituzioni europee e dei cittadini. Ha quindi concluso auspicando una maggiore coerenza da parte degli Stati membri per poter garantire la credibilità.

Interventi in nome di gruppi politici

Joseph DAUL (PPE/DE, FR) ha anzitutto accolto con favore la «visione sul futuro dell'Unione» illustrata dal Presidente. Un'Europa unita e integrata, ma anche aperta al mondo e cosciente delle sue responsabilità internazionali, che resta però vicina ai cittadini.  La costruzione europea è stata un successo, ha aggiunto, e i benefici che ha apportato «sono onnipresenti». Occorre quindi valorizzarli meglio e bisogna avere fiducia nel nostro futuro in seno all'Unione europea. Ha quindi condiviso le priorità del Presidente, che rispondono sia alle grandi sfide del mondo attuali sia alle preoccupazioni dei cittadini. Questi, ha proseguito, vogliono più libertà e sicurezza e maggiore protezione dalle minacce, vogliono poter lavorare e beneficiare del frutto del loro lavoro, vogliono che l'Europa difenda i suoi valori e la sua cultura.

In merito al dialogo tra le culture e le religioni, il leader dei popolari ha affermato che si tratta del lato positivo della lotta contro il razzismo e l'intolleranza, contro l'esclusione e la xenofobia. Non basta denunciare questi mali, ha aggiunto, ma occorre «dimostrare i vantaggi della conoscenza reciproca, la nobiltà dell'ospitalità, la grandezza dell'intolleranza e il mutuo arricchimento del confronto tra le culture». D'altra parte, ha proseguito, è necessario che l'Unione si pronunci sui suoi limiti geografici, sulle sue frontiere e su una politica dell'immigrazione comune. Questa strategia, ha spiegato, non deve fondarsi sulla legge del più forte, bensì su un mix di competitività, alti livelli occupazionali e protezione sociale: insomma, «una mondializzazione controllata». La dichiarazione del 25 marzo, ha aggiunto, rappresenta l'occasione per proporre «una rinascita dell'ambizione politica dell'Europa» che passa necessariamente da un rilancio istituzionale.

Martin SCHULZ (PSE, DE) ha affermato che il discorso del Presidente dovrebbe essere accettato da tutto il Parlamento. Se falliscono le riforme, ha proseguito, «fallisce un'idea dell'Europa» come area di pace, di cooperazione interculturale e di integrazione sociale. Il leader socialdemocratico ha quindi esortato a risolvere i problemi concreti, oltrepassando i conflitti quotidiani e dimostrando unità d'azione. Occorre anche agire meglio, ha aggiunto, «e non solo reagire» e la questione sociale deve essere al centro dell'azione dell'Unione. Ha poi voluto precisare che, a suo parere, non sono gli USA ad aver vinto il comunismo, bensì i popoli dell'Est. Per concludere ha augurato al Presidente di riuscire a convincere i Capi di Stato e di governo a trovare un accordo sulla riforma istituzionale.

Graham WATSON (ALDE/ADLE, UK) ha sottolineato come il Presidente sia stato testimone diretto dell'evoluzione dell'UE che, ora, non ha solo il compito di garantire la sicurezza dell'approvvigionamento alimentare bensì affrontare nuove sfide. Ha quindi sottolineato che il Presidente ha preso il timone del Parlamento in un momento in cui questo è «il fulcro dell'integrazione». Lamentando il fatto che il Parlamento non abbia ancora il potere di iniziativa legislativa, ha sottolineato che la sua attività dovrebbe concentrarsi sulle importanti scelte politiche e che la procedura di codecisione dovrebbe essere estesa a tutti i settori se si vuole che la democrazia funzioni a livello europeo.

Brian CROWLEY (UEN, IE) ha sottolineato la politica ambiziosa che il Presidente ha delineato per i prossimi due anni e mezzo, osservando che il suo intervento rappresenta «una sintesi del passato e apre la strada al futuro». Il deputato ha rivolto un appello a favore di una maggiore attenzione alle richieste dei cittadini, in particolare di quelli più deboli. Sostenendo poi che l'UE «non è una minaccia» ha rilevato che i cittadini «sono stanchi di sentirci parlare e vogliono risposte concrete ai problemi».

Confermando il sostanziale accordo del suo gruppo alle priorità definite dal Presidente del Parlamento, Monica FRASSONI (Verdi/ALE, IT), ha ricordato che siamo di fronte a «scelte molto concrete che non possono rimanere vaghe e sulle quali il nostro Parlamento dovrà decidere se rimanere zitto e disciplinato o essere il luogo dove si agisce in nome di un interesse e di un valore europeo, oggi quasi perso dietro ai balletti diplomatici e alle ragioni di Stato». Citando l'impasse costituzionale ha ribadito che è responsabilità del Parlamento, in quanto «luogo del dibattito europeo», non accontentarsi «di salvare la sostanza della Costituzione in modo declamatorio». Occorre quindi innanzitutto «metterci d'accordo su una proposta autonoma e su che cosa fare esattamente» e, ancora più importante, «batterci perché il Parlamento europeo mantenga il suo ruolo costituzionale». Se .ci sarà da discutere di un calendario o di una proposta, ha aggiunto, «noi vogliamo esserci come codecisori e non come osservatori».

Condividendo le parole del Presidente riguardo ai valori dell'Unione, ha affermato che il termine "tolleranza" a volte le desta preoccupazione perché, proprio in suo nome, sono stati commessi e tollerati crimini indimenticabili. Sarebbe meglio quindi parlare di «diritti comuni a tutti gli uomini e a tutte le donne» e tali diritti devono essere uguali per tutti. Pertanto, nelle relazioni con la Russia, occorre aprire un dibattito sulla diminuzione della dipendenza energetica «sapendo criticare duramente quei paesi che corrono in ordine sparso alla corte dello zar Putin» e deve essere anche introdotto il tema della Cecenia. Nel dialogo con gli Stati Uniti «non si potranno dimenticare la pena di morte, i voli della CIA, la questione dei dati dei passeggeri, la guerra preventiva e la difesa dei diritti delle persone». Per quanto riguarda, infine, la sicurezza, non si possono fare passare in secondo piano «le risoluzioni approvate a favore del disarmo e di un codice di condotta sugli armamenti».

Passando poi alla riforma interna, la co-presidente dei Verdi ha invitato Poettering a riaprire il dibattito sulla sede del Parlamento e a renderlo più sostenibile dal punto di vista ecologico, evitando lo spreco di risorse quali acqua, luce o utilizzo di automobili per «essere fedeli ai nostri impegni sui cambiamenti climatici». Infine, rivolgendosi alla Cancelliera tedesca ha sottolineato che le idee del Consiglio sulla «better regulation» lasciano «freddini e preoccupati», in quanto il problema della burocrazia è più nazionale che europeo. «Quanti sono venuti con lei oggi qui? Sicuramente molti di più di quelli che accompagnano il Presidente Barroso». Chi si lamenta delle troppe regole, ha poi aggiunto, sono le multinazionali, sono le industrie, non i cittadini che vogliono più leggi per proteggerli.

Francis WURTZ (GUE/NGL, FR), non nascondendo che il suo gruppo non condivide le opzioni politiche della maggioranza, ha insistito sulle aspirazioni degli europei e dell'Europa per quanto attiene il modello sociale europeo. In proposito, ha ricordato la necessità che l'azione dell'UE eluda la convinzione secondo cui troppo spesso l'Unione contribuisce alla «precarizzazione sempre più spinta dell'esistenza dei singoli» invece di proteggere i cittadini dagli effetti della mondializzazione. Al riguardo, ha invitato il Parlamento, il Consiglio e la Commissione a rinunciare al progetto di direttiva che prevede entro il 1° gennaio 2009 la liberalizzazione dei servizi postali. Riguardo alla Costituzione, ha ricordato che se la riforma dell'Unione è un'esigenza condivisa, vi sono divergenze sulla sostanza. Ha quindi auspicato che tale processo sarà l'occasione per un vero dibattito pubblico su scala europea «basato sulla finalità della nostra politica comune e sugli impegni che siamo pronti ad assumerci insieme nel futuro». A proposito del dialogo tra le culture, ha invitato il Presidente a «chiedere formalmente all'Unione di togliere l'embargo imposto al governo palestinese» per dare una speranza di pace giusta «in una regione martoriata dall'occupazione e dalla guerra».

Jens-Peter BONDE (IND/DEM, DK) ha criticato il fatto che l'Unione adotti una grande massa legislativa senza che vi sia un controllo democratico su di essa, mentre la Corte di giustizia annulla spesso leggi approvate dai parlamenti nazionali eletti dai cittadini.

Bruno GOLLNISCH (ITS, FR) ha sottolineato che se la Costituzione fosse stata sottoposta a referendum in altri paesi non sarebbe stata bocciata solo in Francia e in Olanda. Ha quindi criticato il fatto di voler «servire ai cittadini un piatto che hanno già rifiutato di mangiare». Concentrandosi sulle radici comuni evocate dal Presidente, si è chiesto come queste tradizioni siano oggi presenti nell'UE. Ha quindi contrapposto la democrazia diretta dei greci al sistema «centralizzato» europeo, il diritto romano al alle migliaia di testi legislativi «oscuri», il retaggio guideo-cristiano all'edonismo.

Link utili

Testo integrale del discorso del Presidente (in italiano)
Comunicato stampa sull'elezione del Presidente
Sito del Presidente del Parlamento europeo

Riferimenti

Allocuzione inaugurale del Presidente del Parlamento europeo
13.2.2007

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GIUSTIZIA E AFFARI INTERNI

 

Attività segrete della CIA in Europa: adottata la relazione finale

Il Parlamento ha adottato la relazione conclusiva della sua commissione temporanea sulle presunte attività illegali della CIA in Europa. Condannando con fermezza il rapimento e la detenzione di sospetti terroristi sul suolo dell'UE, deplora la mancanza di collaborazione da parte di taluni governi e del Consiglio. Per i deputati, il terrorismo va combattuto nel rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Riguardo all'Italia la relazione si concentra essenzialmente sul caso Abu Omar.

Con 382 voti favorevoli, 256 contrari e 74 astensioni e dopo aver esaminato ben 270 emendamenti, il Parlamento ha adottato la relazione di Claudio FAVA (PSE, IT) «sul presunto uso dei paesi europei da parte della CIA per il trasporto e la detenzione illegali di prigionieri». Con "paesi europei" si intendono gli Stati membri, i paesi candidati e i paesi associati.

Lottare contro la minaccia terrorista nel rispetto dei diritti umani

Il Parlamento ricorda anzitutto che, nel novembre 1990, adottando una risoluzione sul caso Gladio, il Parlamento aveva già messo in evidenza «l'esistenza di attività clandestine che coinvolgevano i servizi segreti e organizzazioni militari sottratti a qualsiasi adeguato controllo democratico». Pur ribadendo che il terrorismo rappresenta una delle principali minacce alla sicurezza dell'Unione europea, i deputati sottolineano che esso «deve essere combattuto con iniziative legittime e coordinate da tutti i governi europei, in stretta collaborazione con partner internazionali e segnatamente con gli Stati Uniti, seguendo le linee della strategia definita a livello delle Nazioni Unite».

La lotta contro il terrorismo, in particolare, «va condotta sulla base dei nostri valori comuni di democrazia, Stato di diritto, diritti umani e libertà fondamentali e a tutela degli stessi». In proposito, il Parlamento ritiene che dopo gli eventi dell’11 settembre 2001, la cosiddetta “guerra al terrore”, «con i suoi eccessi», abbia prodotto «una grave e pericolosa erosione dei diritti umani e delle libertà fondamentali». E' pertanto necessario che, nel contemperare l'esigenza di sicurezza con i diritti dei singoli individui, «siano sempre pienamente rispettati i diritti umani, garantendo quindi che i sospetti terroristi siano sottoposti a processo e condannati nel rispetto delle regole di diritto».

Nel prendere atto della dichiarazione del Presidente Bush e di altre testimonianze che hanno confermato le attività della CIA al di fuori degli USA, il Parlamento chiede al Consiglio e agli Stati membri di mettere a punto una dichiarazione per sollecitare il governo degli USA «in modo chiaro ed energico» a porre fine alla prassi delle detenzioni e consegne straordinarie. I deputati chiedono inoltre al Consiglio di esercitare pressioni su tutti i governi interessati affinché forniscano informazioni complete e esaurienti nonché di aprire senza indugio, ove necessario, un'indagine indipendente.

Poca collaborazione da Stati membri e Consiglio. Ringraziamenti a Frattini.

Il Parlamento denuncia la mancanza di cooperazione da parte di molti Stati membri, nonché del Consiglio UE, nei confronti della commissione temporanea, sottolineando che tale atteggiamento «si è dimostrato di gran lunga inferiore alle legittime aspettative del Parlamento». D'altra parte, sottolinea la serietà e il rigore del lavoro svolto dalle autorità giudiziarie di Italia, Germania, Spagna e Portogallo e incoraggia i parlamenti nazionali dei paesi europei a proseguire o ad avviare approfondite indagini, «anche attraverso l'istituzione di commissioni parlamentari d'inchiesta».

Più in particolare, i deputati deplorano che il Consiglio e la sua Presidenza siano venuti meno al loro obbligo di tenere il Parlamento pienamente informato sui principali aspetti e sulle scelte fondamentali della politica estera e di sicurezza comune (PESC) e sui lavori svolti nel settore della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale. In tale contesto, inoltre, ritengono «totalmente inaccettabile» che il Consiglio abbia inizialmente nascosto e in seguito fornito soltanto informazioni frammentarie sulle discussioni svolte con alti funzionari del governo americano. Si dicono poi «indignati» per la proposta che sarebbe stata avanzata dall’allora Presidenza del Consiglio di istituire un “quadro” comune con gli USA sulle norme relative alla consegna di sospetti terroristi.

Prendendo nota del fatto che Javier Solana ha riaffermato che gli Stati membri devono garantire il rispetto del diritto internazionale nella lotta al terrorismo, i deputati si dichiarano preoccupati per le omissioni contenute nelle sue dichiarazioni e in quelle del Consiglio rese alla commissione temporanea in merito alle discussioni del Consiglio e alla consapevolezza dei metodi utilizzati dagli Stati Uniti nella lotta al terrorismo. Gli chiedono quindi di rendere noti tutti i fatti e le discussioni tenute su temi che rientrano fra le competenze della commissione temporanea e di promuovere una PESC e una strategia internazionale contro il terrorismo che rispetti i diritti umani e le libertà fondamentali.

Il Parlamento, peraltro, mette in dubbio «la concretezza effettiva» del posto di Coordinatore UE per la lotta al terrorismo, visto che «non è stato in grado di dare risposte soddisfacenti alle domande della commissione temporanea». Auspica quindi una revisione e un rafforzamento delle sue competenze e del suo mandato, nonché una maggiore trasparenza e controllo delle sue attività da parte del Parlamento. Inoltre, i deputati deplorano il rifiuto del Direttore dell'Ufficio europeo di polizia (Europol) di comparire di fronte alla commissione temporanea ed esprimono «profonda preoccupazione» per l'analogo rifiuto del precedente e dall'attuale Segretario generale della NATO.

D'altra parte, i deputati ringraziano il Vicepresidente della Commissione, Franco Frattini, per la cooperazione prestata ai lavori della commissione temporanea, apprezzando in modo particolare «l'impegno manifestato ... per rilanciare un quadro di cooperazione euro-atlantica nella lotta contro il terrorismo internazionale, con regole armonizzate sul piano della tutela dei diritti umani e delle libertà fondamentali».

Incoraggiano quindi la Commissione a intensificare la sua azione nel contesto del proseguimento della ricerca delle verità e dei mezzi miranti ad «impedire che si riproducano i fatti analizzati». La relazione ringrazia poi Eurocontrol per la sua eccellente cooperazione e si compiace della stretta collaborazione con il Consiglio d'Europa.

Consegne straordinarie: i governi sapevano

Il programma di consegne straordinarie, ricorda il Parlamento, è una prassi extragiudiziale che contrasta con le norme internazionali vigenti in materia di diritti umani, e secondo la quale un individuo sospetto di coinvolgimento in attività terroristiche viene illegalmente rapito, arrestato e/o posto sotto la custodia di funzionari statunitensi e/o trasportato in un altro paese per essere sottoposto a interrogatori, il che, nella maggior parte dei casi, comporta torture e detenzione in "incommunicado". Tra la fine del 2001 e la fine del 2005, i voli effettuati dalla CIA nello spazio aereo europeo o che hanno fatto scalo in aeroporti europei sono stati almeno 1.245. Ad essi va aggiunto un imprecisato numero di voli militari utilizzati per lo stesso scopo.

I deputati condannano le consegne straordinarie quale «strumento illegale» utilizzato dagli Stati Uniti nella lotta al terrorismo, così come il fatto che, in diverse occasioni, «questa prassi sia stata accettata e tenuta nascosta dai servizi segreti e dalle autorità governative di taluni paesi europei». Nel condannare anche «chiunque abbia partecipato all'interrogatorio di individui che sono vittime di consegne straordinarie», il Parlamento ritiene che tale prassi abbia inoltre dimostrato «di esser controproducente nella lotta al terrorismo», visto che danneggia e indebolisce le normali procedure giudiziarie e di polizia contro i sospetti terroristi.

Condanna inoltre il fatto che paesi europei «abbiano rinunciato al controllo sul proprio spazio aereo e sui propri aeroporti chiudendo gli occhi nei confronti dei voli operati dalla CIA o autorizzando detti voli, che in talune occasioni sono stati usati per consegne straordinarie o per il trasporto illegale di detenuti». Nel sottolineare poi che la CIA ha utilizzato norme dell'aviazione civile per aggirare gli obblighi giuridici degli aeroplani di Stato, i deputati confermano che «non sembra possibile che taluni governi europei non fossero a conoscenza delle attività connesse con le consegne straordinarie che hanno avuto luogo sul loro territorio».

Il Parlamento peraltro invita gli Stati membri a adottare adeguate misure per garantire che le autorizzazioni di sorvolo siano concesse ad aerei militari e/o della polizia «soltanto a condizione che siano accompagnate da garanzie in materia di rispetto e di controllo dei diritti umani». Nel prendere atto che, nella sentenza della Corte suprema degli Stati Uniti in cui si chiede la chiusura della prigione di Guantanamo, si afferma che la maggioranza dei detenuti nella base cubana è proveniente dall'Afghanistan ed è pertanto certamente transitata negli spazi aerei europei, i deputati ritengono dunque «probabile» che «molti dei voli della CIA provenienti dall'Afghanistan che hanno fatto scalo in aeroporti europei avessero prigionieri a bordo».

Le consegne straordinarie in Italia: il caso Abu Omar e il ruolo del SISMI

In merito alle consegne straordinarie e ai voli segreti, il Parlamento commenta dettagliatamente i vari casi esaminati che riguardano ben 14 paesi: Italia, Regno Unito, Germania, Svezia, Austria, Spagna, Portogallo, Grecia, Cipro, Danimarca, Belgio, Turchia, Macedonia e Bosnia-Erzegovina. Sulle attività della CIA in Italia, i deputati deplorano anzitutto che i rappresentanti dell'attuale e del precedente governo italiano che sono, o sono stati, responsabili dei servizi segreti (Enrico Micheli, Enzo Bianco e Gianni Letta) abbiano declinato l'invito a comparire di fronte alla commissione temporanea. La relazione prende poi atto dei 46 scali effettuati negli aeroporti italiani da aerei della CIA ed esprime profonda preoccupazione quanto alla finalità di tali voli, che provenivano da paesi collegati con i circuiti delle consegne straordinarie e col trasferimento di prigionieri o che vi erano diretti.

In proposito, i deputati condannano la consegna straordinaria da parte della CIA del funzionario egiziano Abu Omar, rapito a Milano nel febbraio 2003 e trasportato in aereo verso l'Egitto, «dove da allora viene tenuto in "incommunicado" e torturato». Al riguardo, la relazione condanna «il ruolo attivo svolto da un maresciallo dei carabinieri e da taluni funzionari dei servizi segreti e di sicurezza militari italiani (SISMI) nel rapimento». Peraltro, i deputati ritengono «molto probabile», visto il coinvolgimento dei suoi servizi segreti, «che il governo italiano allora in carica fosse al corrente della consegna straordinaria di Abu Omar avvenuta sul suo territorio».

D'altra parte, ringraziano il Pubblico Ministero Spataro per la testimonianza resa davanti alla commissione temporanea e plaudono alle indagini «efficienti e indipendenti» svolte, sostenendo «pienamente» le sue conclusioni e «la decisione del GUP di rinviare a giudizio 26 cittadini statunitensi, agenti della CIA, 7 alti funzionari del SISMI, un carabiniere del ROS e il vicedirettore del quotidiano Libero». Invitano quindi il Ministro della giustizia italiano a procedere «quanto prima» alle richieste di estradizione dei 26 cittadini USA, «affinché possano essere processati in Italia».

Il Parlamento si rammarica poi che il rapimento di Abu Omar abbia messo in pericolo l'indagine del Pubblico Ministero Spataro sulla rete terroristica alla quale era collegato Abu Omar e ricorda che se questo non fosse stato illegalmente rapito e trasportato in un altro paese «sarebbe stato sottoposto ad un processo equo e regolare in Italia». Si rammarica inoltre profondamente del fatto che i dirigenti del SISMI abbiano «sistematicamente fuorviato» la procura di Milano «al fine di compromettere l'indagine». I deputati si dichiarano anche estremamente preoccupati per il fatto che i dirigenti del SISMI «pare perseguissero obiettivi paralleli», ma anche per la mancanza di adeguati controlli interni e governativi. Chiedono pertanto al governo italiano «di porre urgentemente rimedio alla situazione istituendo controlli parlamentari e governativi rafforzati».

Più precisamente, i deputati deplorano il fatto che il generale Nicolò Pollari, già direttore del SISMI, «abbia nascosto la verità» quando è comparso di fronte alla commissione temporanea». Egli, è spiegato, aveva infatti affermato che gli agenti italiani non avevano partecipato a nessun rapimento perpetrato dalla CIA e che i servizi segreti italiani non erano a conoscenza del piano per il rapimento di Abu Omar. Notano inoltre che la testimonianza fornita dal generale Pollari «non concorda con diversi documenti trovati nei locali del SISMI e confiscati dalla procura milanese» e che dimostrano come il SISMI venisse regolarmente informato dalla CIA sulla detenzione in Egitto di Abu Omar.

Il Parlamento critica poi il governo italiano «per la lentezza con cui ha deciso di destituire il generale Pollari dalla sua carica e di sostituirlo» e si rammarica che i documenti sulla cooperazione USA-Italia nella lotta al terrorismo, «che avrebbe favorito l'indagine», siano stati secretati dal precedente governo italiano e che l'attuale governo ne abbia confermato la secretazione. Condanna inoltre «i pedinamenti illegali» dei giornalisti italiani che indagavano sulla consegna straordinaria di Abu Omar, le intercettazioni delle loro conversazioni telefoniche e il sequestro dei loro personal computer, sottolineando che le testimonianze di questi giornalisti «sono state del massimo aiuto ai lavori della commissione temporanea».

I deputati, infine, condannano la consegna straordinaria del cittadino italiano Abou Elkassim Britel, sottolineando che le indagini penali in Italia contro di lui erano state chiuse senza che egli fosse incriminato e invitano il governo italiano a prendere misure concrete per ottenere il suo immediato rilascio. Si rammaricano inoltre che l'allora Ministero degli Interni italiano «fosse in "costante cooperazione" con servizi segreti stranieri». Deplorano poi «profondamente» che il territorio italiano sia stato usato dalla CIA per uno scalo del volo utilizzato per effettuare la consegna straordinaria di Maher Arar, il quale ha testimoniato di fronte alla commissione.

Centri di detenzione segreta

Compiacendosi delle indagini svolte da Human Rights Watch, dal Washington Post e dall'ABC News sull'esistenza di centri di detenzione segreta in Europa, i deputati si dicono profondamente preoccupati per il fatto che, in alcuni casi, questi centri possano essere stati situati presso basi militari statunitensi. Al riguardo, sottolineano che, secondo la Commissione di Venezia, il regime giuridico delle basi militari straniere nel territorio degli Stati membri del Consiglio d'Europa deve consentire agli Stati di esercitare competenze sufficienti per adempiere ai propri obblighi in materia dei diritti umani. La relazione illustra poi il risultato delle indagini realizzate in Romania, Polonia e Kossovo.

Ritorno e risarcimento delle vittime e valutazione della legislazione antiterrorismo

Il Parlamento ritiene necessario che i paesi europei che hanno avviato inchieste e indagini a livello governativo, parlamentare e/o giudiziario su materie di competenza della commissione temporanea attuino i loro lavori il più celermente possibile e pubblichino i risultati di tali indagini. Nel sollecitare poi la chiusura di Guantanamo ed esortando i paesi europei ad attivarsi immediatamente per ottenere il ritorno dei rispettivi cittadini e residenti «detenuti illegalmente dalle autorità statunitensi», chiede ai paesi europei di «risarcire le proprie vittime innocenti delle consegne straordinarie e di assicurare che abbiano accesso a una compensazione effettiva e rapida».

Alla Commissione è poi chiesto di effettuare una valutazione di tutta la legislazione antiterrorismo negli Stati membri nonché degli accordi, formali o informali, tra questi e i servizi segreti di paesi terzi, «nella prospettiva dei diritti dell'uomo». Per i deputati, inoltre, occorre riesaminare le eccezioni derivanti dalla nozione di "segreto di Stato", limitandole e definendole in modo restrittivo. E' anche necessario che le istituzioni UE adottino dei principi comuni per il trattamento delle informazioni riservate, al fine di evitare abusi «sempre più inaccettabili nel contesto degli Stati democratici moderni».

Il Parlamento esorta poi i paesi europei, quando conducono operazioni militari in paesi terzi, a, garantire che qualunque centro detentivo istituito dalle loro forze militari sia soggetto al controllo politico e giudiziario, vietando la detenzione in incommunicado, e adottare misure positive volte ad impedire a qualunque altra autorità di gestire centri detentivi che non sono soggetti al controllo politico e giudiziario o in cui è consentita la detenzione in incommunicado.

Rafforzamento del controllo parlamentare e definizione comune di terrorismo

I deputati ritengono che i poteri della commissione temporanea di inchiesta del Parlamento debbano essere rafforzati e che il Parlamento debba essere adeguatamente associato ogni qualvolta la Comunità o l'Unione europea adottino misure vincolanti aventi un'influenza sui diritti e le libertà civili. Chiedono inoltre la creazione di un sistema di cooperazione adeguato e strutturato tra il Parlamento e gli organismi competenti delle Nazioni Unite e del Consiglio d'Europa per le questioni attinenti alla sicurezza interna dell'UE ed esortano una cooperazione rafforzata con i parlamenti nazionali «al fine di condividere tutte le informazioni di dominio pubblico relative alla lotta contro il terrorismo internazionale». Sottolineano poi l'importanza di una definizione comune del concetto di "terrorismo" da realizzarsi a livello di Nazioni Unite e chiedono che vengano creati, nel diritto internazionale, strumenti giuridici efficienti per lottare contro di esso.

Servizi segreti più controllati e rispettosi dei diritti umani

Il Parlamento condivide pienamente le conclusioni del Segretario generale del Consiglio d'Europa sulla mancanza di meccanismi di controllo e di controllo giudiziario nei confronti dei servizi di sicurezza. Invita quindi gli Stati membri a esercitare un controllo parlamentare adeguato ed efficace (creando commissioni di controllo dotate di adeguati poteri di accesso ai documenti e a informazioni di bilancio) e di scrutinio giuridico sui rispettivi servizi segreti e di controspionaggio e le reti formali e informali di cui essi sono parte. Inoltre, tutti i paesi europei dovrebbero avere normative nazionali specifiche che disciplinino e controllino le attività dei servizi segreti di paesi terzi nel loro territorio nazionale, al fine di assicurare un miglior controllo e supervisione anche delle loro attività, nonché sanzionare gli atti o attività illegali, in particolare per quanto riguarda le violazioni di diritti dell'uomo.

E' poi auspicato un rafforzamento della cooperazione tra i servizi segreti e di sicurezza degli Stati membri, su base sia multilaterale – preferibilmente nel quadro dell'UE – sia bilaterale. A condizione, però, che sia creata a tal fine una base giuridica che garantisca il pieno controllo democratico parlamentare e giudiziario e che i diritti umani siano sempre rispettati e tutelati. Consiglio e Stati membri sono a loro volta invitati a introdurre in via prioritaria un sistema di sorveglianza e controllo democratico delle attività comuni e coordinate di intelligence a livello europeo, attribuendo «un ruolo importante» al Parlamento europeo. Il Parlamento, infine, si dice fermamente convinto che sia necessario promuovere, nel quadro delle Nazioni Unite, codici di condotta per tutti i servizi militari e di sicurezza, «che siano basati sul rispetto dei diritti umani, del diritto umanitario e del controllo politico democratico».

DIBATTITO

Intervento del relatore

Aprendo il dibattito in Aula, Claudio FAVA (PSE, IT) ha sottolineato che dopo un anno di lavoro e più di 200 audizioni, sette missioni all'estero, migliaia di pagine e documenti analizzati, la relazione conclusiva dei lavori della commissione, «è l'analisi rigorosa su cinque anni di eccessi e di abusi spesso tollerati in nome della lotta contro il terrorismo internazionale». La lotta contro il terrorismo, ha aggiunto, «è una sfida che ci vede tutti impegnati senza alcuna defezione, ma senza nemmeno accettare che in nome di questa sfida i principi fondativi dei nostri trattati vengano ridotti a carta straccia». Si è quindi detto certo che molti governi erano a conoscenza delle extraordinary renditions.

Sostenendo che, attorno a queste vicende, esiste «una responsabilità ampia, un concorso di colpe che ha risparmiato pochi paesi europei», ha affermano che ciò è dimostrato dai fatti raccolti, «fatti non opinioni né pregiudizi, fatti circostanziati, concreti, gravi, fatti provati, verificati». I fatti, ha aggiunto, «sono anche le domande senza risposta, le contraddizioni e le omissioni», ma «se davanti all'evidenza di questi fatti qualcuno decidesse di voltarsi dall'altra parte sarà solo la sua mancanza di coraggio civile, la sua mancanza di onestà intellettuale».

Facendo riferimento alle richieste inoltrategli dal collega Jas Gawronski, il relatore ha affermato che la commissione temporanea ha scoperto che dietro i 21 casi di rendition «ci sono molti altri detenuti senza volto, senza nome, senza nessuno che reclami per la loro sorte, perché senza passaporti occidentali in tasca». Si è scoperto «che un uomo innocente può restare a Guantanamo privato dei più elementari diritti per quasi cinque anni solo perché nessun governo vuole farsi carico della sua scarcerazione». Si è scoperto, ha insistito «che la tortura non serve a nulla nella lotta contro il terrorismo», come ha spiegato Mae Harar, «vittima innocente di una rendition, detenuto e torturato per dodici mesi in Siria».

«Certo qualcuno preferirebbe parole più accomandanti, più prudenti, magari pensando che gli abusi, le violazioni, gli eccessi siano il prezzo normale da pagare nella lotta contro il terrorismo», ha proseguito. Ma questo è falso, «la forza dei nostri principi sta nel rigore con cui sapremo applicarli». Questo Parlamento, ha aggiunto, «è chiamato a riaffermare la propria autonomia dal gioco delle convenienze e delle appartenenze politiche». Di fronte alla verità, «ciascuno di noi non rappresenta né un governo né un partito, rappresenta solo se stesso: la sua onestà morale, la sua integrità di uomo e di deputato». Ha quindi concluso chiedendo a Consiglio e Commissione lo stesso rigore e la stessa coerenza dimostrata dalla commissione temporanea che ha «aperto una porta che non permetteremo a nessuno di richiudere». È nostro dovere, infatti, «fare ogni sforzo anche oltre questa relazione affinché le cose accadute in questi cinque anni non debbano mai più accadere». 

Dichiarazione del Consiglio

Günter GLOSER, dopo aver ricordato che la commissione temporanea è stata istituita un anno fa, ha affermato che il Consiglio non può accettare nessun compromesso sui diritti umani e che, al riguardo, ha richiesto a più riprese la chiusura di Guantanamo Bay. Molti dei punti sollevati dalla relazione, ha proseguito, erano oggetto di indagini parlamentari e giudiziarie negli Stati membri, ed è importante che l'UE rispetti il principio della sussidiarietà in merito ad esse. Ha quindi concluso affermando che un uso più moderato delle parole sarebbe stato più appropriato, visto che il Consiglio e il Parlamento non sono così lontani su tali questioni.

Dichiarazione della Commissione

Per Franco FRATTINI, la sicurezza è diventata, dopo i tragici attentati terroristici nel mondo, «un diritto essenziale dei cittadini, perché tutti noi possiamo vivere in un mondo fatto di libertà e di diritti». Ma non bisogna mai dimenticare, ha aggiunto, «che la legalità è il presupposto per garantire il diritto alla sicurezza dei cittadini», ossia «la sicurezza non è e non può mai essere ad ogni costo».

Il Vicepresidente della Commissione ha poi affermato che non bisogna mai dimenticare «che la ricerca della verità nello Stato di diritto si fonda sull'individuazione di fatti precisi, sui quali sono chiamati a indagare giudici liberi e indipendenti». Sostenendo che di fronte a segnalazioni, denunce e fatti «è doveroso che le inchieste nazionali accertino la verità e ... assicurino la punizione dei responsabili», ha però sottolineato che, se è «innegabile» che vi siano stati dei responsabili, «non spetta alle istituzioni europee, a questo Parlamento o alla Commissione, emanare sentenze bensì chiedere l'accertamento della verità». E' perlatro evidente, ha precisato, che dalla verità che risulterà dallo svolgimento dei processi «potranno derivare delle conseguenze, tanto a livello istituzionale quanto a livello politico».

Plaudendo all'inchiesta del Parlamento che ha fornito degli elementi di fatto, utili alla prosecuzione delle indagini, ha quindi sostenuto che ora è «compito dei magistrati indagare ed è compito dei governi ... condurre inchieste amministrative e punire i funzionari infedeli». Ha poi aggiunto che è comunque dovere dei governi, una volta che i fatti saranno definitivamente chiariti, rivelare la verità, «anche se dovesse trattarsi di una verità scomoda e spiacevole». Il compito della Commissione europea, ha spiegato, è stato quello di contribuire ai lavori del Parlamento, fornendo elementi concreti, che si sono rivelati utili all'indagine del Parlamento. Ma il compito della Commissione consisterà anche, una volta che sarà emersa la verità certa e sicura, se emergerà, «nel trarre conclusioni dalle sentenze e, a quel punto, nel formulare delle proposte».

Ai parlamenti e alla politica, ha aggiunto, spetta «guardare al futuro e suggerire delle soluzioni affinché questi fatti non accadano mai più». Ha poi affermato che «la sicurezza non è un optional dopo l'11 settembre 2001», bensì «un diritto fondamentale», confidando nella volontà di tutti coloro che hanno lavorato su questo aspetto di continuare a farlo. Ecco perché, se «non vi può essere una legge europea sui servizi segreti», «si impongono delle riflessioni politiche sul ruolo di tali servizi che sono istituzioni essenziali per contrastare il terrorismo e che devono comunque operare sotto una responsabilità ed un mandato preciso e chiaro dei governi». Occorrono, ha quindi spiegato, delle regole a livello nazionale, tenendo presente che i servizi segreti dovrebbero essere soggetti a forme di controllo «più incisive dei parlamenti». Non già al fine di rivelare le attività segrete, che sono indispensabili per lottare contro il terrorismo, ma per rendere conto di quello che è stato fatto grazie alle informazioni raccolte.

Secondo il commissario, inoltre, è necessario anche riflettere sull'uso dello spazio aereo.  Come si classificano gli aeromobili di Stato, ovvero quelli adibiti a servizi di Stato? Come li distinguiamo dagli aeroplani civili? Questo, ha spiegato, «è un punto sul quale la Commissione europea può dare un contributo», perché «la nostra responsabilità sul traffico aereo può aiutare a definire criteri più sicuri, che permettano di accertare la possibilità di un uso legittimo e impediscano l'abuso della finalità di copertura di un aeroplano per servizi di Stato, quando non si tratta di servizi di Stato».

A suo avviso, d'altra parte, «sarebbe un errore politico dare l'impressione che siano gli Stati Uniti d'America sul banco degli imputati», precisando peraltro che questa non è l'intenzione dichiarata dal relatore. Anche perchè, in primo luogo, «sul banco degli imputati sono i terroristi, cioè coloro che hanno violato le leggi e che sono pronti ancora una volta a colpire le nostre istituzioni democratiche». In proposito ha poi ricordato che «questa vicenda oscura, certamente piena di violazioni», «è nata proprio grazie alla grande democrazia americana, grazie alla stampa libera che negli Stati Uniti ha permesso di cominciare a rivelare fatti su cui il Parlamento europeo ed altre istituzioni anche giudiziarie hanno indagato». Ha anche sottolineato che il Congresso degli Stati Uniti si sta ancora occupando della vicenda e che durante il semestre di Presidenza tedesca si dovrà procedere al rilancio della collaborazione euroatlantica fondata su due pilastri: sicurezza e diritti, che sono inscindibili l'uno dall'altro.

Interventi in nome dei gruppi

Jas GAWRONSKI (PPE/DE, IT) ha sottolineato che il suo gruppo, fin dall'inizio dei lavori della commissione temporanea, ha cercato «di migliorare la relazione in esame e di renderla più equilibrata, più utile, più condivisa». Oggi, si è rammaricato, «dobbiamo ammettere di non esserci riusciti». Il deputato ha quindi sottolineato che si era cominciato subito «con il piede sbagliato», spiegando che nella prima missione a Washington, la commissione si è presentata al dipartimento di Stato «come un tribunale accusatore ... rendendo sin dall'inizio arduo un dialogo, che sarebbe stato utile per raggiungere il nostro obiettivo». Dopo il passaggio a Londra, inoltre, il ministro britannico per gli Affari europei ha inviato una lettera ai suoi colleghi europei, «sconsigliandoli dall'incontrarci».

«Pur avendo perso la speranza di migliorare la relazione», ha evidenziato che il suo gruppo aveva fatto ancora un ultimo tentativo indicando alcuni punti chiave sui suoi emendamenti che, se non accolti, avrebbero imposto il voto contrario. Il relatore, ha quindi notato, ha già indicato di non approvarli. Ammettendo che anche se questi emendamenti fossero approvati, «molti nel nostro gruppo voterebbero contro la relazione», ha spiegato che, a titolo personale, potrebbe dare il proprio assenso alla relazione se venissero approvati due suoi emendamenti «molto semplici, lineari e accettabili». Il primo, ha spiegato, «afferma che i servizi segreti si chiamano così perché sono segreti e devono avere la possibilità di agire in segreto, fintanto che non violano la legge». Il secondo «afferma che la CIA può volare quando e come vuole, fintanto che non viola la legge». Notando la posizione contraria del relatore al riguardo, ha quindi dedotto «che con questa relazione non si vuole soltanto individuare, denunciare e punire i colpevoli, ma anche condannare all'inefficienza i servizi segreti in quanto tali, esponendoci poi a tutte le responsabilità e a tutte le possibili minacce esterne».

E' per questo motivo, ha spiegato, «che la relazione non ci piace», anche «perché è inutile» visto «non c'è nulla di nuovo nella relazione». E così, ha insistito, lo pensa anche il senatore Dick Marty - «un suo grande alleato e fautore ... ricevuto nella nostra commissione come un eroe e protagonista» - che asserisce «che abbiamo copiato quello che lui ha fatto prima di noi». L'unica differenza evidenziata dal senatore, ha ricordato, è che la relazione del Parlamento è stata elaborata da quarantasei deputati e tredici funzionari a tempo pieno, mentre egli «ha raggiunto lo stesso risultato lavorando da solo». Il deputato ha quindi concluso dicendosi d'accordo con il Commissario Frattini sul fatto che «bisogna certamente cercare di difendere i diritti umani anche nell'ambito della lotta al terrorismo», ma, in questo caso, «non servono documenti come questo, in cui si è già stabilito a priori che c'è un indiscusso violatore dei diritti dell'uomo, ossia gli Stati Uniti d'America, e si conducono indagini soltanto a sostegno di questa tesi».

Per Wolfgang KREISSL-DÖRFLER (PSE, DE), «non possiamo suonare la canzone della libertà con uno strumento di violenza». Certamente, ha precisato, «il terrorismo internazionale è una minaccia e va combattuto con tutti i mezzi disponibili», ma, sulla base del diritto nazionale e internazionale, le violazioni dei diritti umani «devono essere scacciate». Non si tratta di un «peccato veniale», come qualcuno sembra suggerire, «è inumano, immorale e ingiusto». Ha quindi sottolineato che non è possibile consentire ai servizi segreti di avere propri metodi, mentre i governi non possono ricorrere a pratiche illegali sul territorio dell'UE. Occorre ricordare che la nostra comunità di valori si basa sullo Stato di diritto, la separazione dei poteri e la democrazia. Ha quindi concluso sostenendo che «nessun sentiero deve portare a Guantanamo».

Ignasi GUARDANS CAMBÓ (ALDE/ADLE, ES) ha sottolineato che la posta in gioco è la «credibilità dell'Europa». «Quando diamo il nostro sostegno a questa splendida relazione», ha spiegato, «diamo voce alle preoccupazioni di tutti per quanto riguarda la sicurezza». I servizi segreti possono lavorare, nei confini delle leggi, per proteggere la nostra libertà e le relazioni con i nostri più stretti alleati. Ma, ha aggiunto, «non possiamo appoggiare l'idea che l'unica via per proteggere la nostra libertà passa per una guerra sporca, perché ciò rappresenterebbe un attacco frontale ai nostri valori».

La relazione, ha ricordato, ha raccolto moltissime informazioni «che provano uno schema illegale e a volte criminale di lotta al terrorismo e la collaborazione passiva se non addirittura attiva, di alcuni Stati membri, dei loro governi o di personale sotto il loro controllo e del Consiglio». Sottolineando che il Parlamento non è un tribunale ma un organo politico, ha quindi affermato che quella votata «sarà una dichiarazione politica basata sui fatti, fatti controllati e veritieri». Concludendo, ha voluto ammonire i governi europei e gli Stati membri a non combattere il terrorismo attraverso «una sporca guerra» in nome di milioni di cittadini europei in quanto «non li rappresentiamo quando combattiamo il terrorismo con tali mezzi».

Konrad SZYMAŃSKI (UEN, PL) ha sostenuto che la lettura della relazione non fa che confermare i suoi timori riguardo al carattere parziale del lavoro della commissione temporanea. Ha inoltre espresso dubbi sul fatto che molte delle accuse formulate, in particolare quelle rivolte alla Polonia, poggino su delle prove, rimettendo in questione il valore stesso della relazione nella sua totalità.

Cem ÖZDEMIR (Verdi/ALE, DE) si è innanzitutto congratulato con la commissione temporanea, in particolare per la sua collaborazione con il Consiglio d'Europa, le commissioni d'inchieste nazionali e le ONG. Ha quindi espresso il suo stupore riguardo al comportamento del governo polacco che ha considerato gli inquirenti come «emissari del Patto di Varsavia» e, in proposito, ha ricordato che l'adesione all'UE «non comporta solo diritti, ma anche doveri».

A suo parere, evocando il ruolo del governo tedesco in diversi rapimenti, la relazione fornisce l'occasione per interrogarsi sul rispetto dei diritti dell'uomo all'interno dell'Unione. Ha quindi concluso sottolineando che non si tratta «né di antiamericanismo, né di ingenuità» di fronte al terrorismo, ma del «rispetto dei valori transatlantici comuni, che includono la democrazia e i diritti dell'uomo» 

Giusto CATANIA (GUE/NGL, IT) ha esordito affermando che «oggi stiamo consumando un passaggio storico», in quanto il Parlamento ha ricostruito, «con grande rigore», gli ultimi anni «della perversa strategia americana della guerra al terrorismo, la quale è stata imperniata su metodi criminali e sulla violazione dei diritti umani». Tale strategia, ha aggiunto, «si è potuta attuare grazie alla complicità dei governi e dei servizi di sicurezza europei», come ha confermato Condoleeza Rice affermando che non vi era stata nessuna violazione della sovranità nazionale. Ha quindi sottolineato che vi sono anche delle responsabilità da imputare alle istituzioni europee, «a partire dalle omissioni di Javier Solana e di Gijs De Vries». Ha inoltre posto l'accento «sull'imbarazzante silenzio del Presidente della Commissione, il quale, mentre era Primo Ministro portoghese, conosceva perfettamente la strategia americana, tanto che organizzò cinque giorni prima dell'inizio della guerra in Iraq, il famoso Vertice delle Azzorre».

Il deputato ha poi voluto sottolineare che il Vicepresidente della Commissione aveva affermato in Aula di non sapere nulla del rapimento di Abu Omar, avvenuto ricopriva la carica di ministro degli Esteri in Italia. In proposito, sostenendo di avergli creduto e di voler continuare a credergli, ha però ricordato l'ammiraglio Battelli, ex capo del Sismi, il quale ha ammesso di aver ricevuto dalla CIA un elenco di tredici presunti terroristi da pedinare, tra cui anche Abu Omar. Il capo del Sismi, ha spiegato, «deve riferire al governo» e, a quel tempo, «il Commissario Frattini aveva la delega ai servizi segreti nel governo italiano». Ha quindi concluso sostenendo che i lavori svolti «hanno permesso di portare alla luce molte cose, anche se ne restano altre da approfondire» e si è detto fiducioso che la votazione della relazione servirà per il futuro, «non solo per dire "Mai più" ma anche per scoprire ulteriori responsabilità».

Gerard BATTEN (IND/DEM, UK) ha sottolineato che l'essenza della relazione è l'espressione di due temi molto in voga tra i membri del Parlamento e cioè «l'antiamercianismo ed il loro desidero mai sopito di utilizzare qualsiasi pretesto per chiedere più potere per l'Unione europea». Il rapimento, i maltrattamenti e la carcerazione senza processo di sospettati, ha sostenuto, «sono un errore» ed è per questo «che ci siamo opposti al mandato di arresto europeo». Ha quindi proseguito affermando che la relazione è «speculatativa» e manca di prove evidenti. A suo parere il mondo democratico libero «non è impegnato in una guerra contro il terrorismo» ma bensì in «una guerra ideologica di un Islam fondamentalista ed estremista, che non abbiamo iniziato noi». In conclusione si è rallegrato del fatto che «fortunatamente gli Stati Uniti d'America stanno opponendo resistenza contro tutto ciò».

Luca ROMAGNOLI (ITS, IT) ha anzitutto ricordato di aver partecipato alla commissione con l'intenzione di tentare di comprendere «la verosimiglianza delle accuse agli Stati membri di collusione e complicità, in materia di violazione dei diritti umani». Contrariamente a tanti membri della commissione, al collega relatore e al partito italiano che egli rappresenta, ha poi ricordato che nel programma del suo partito, la Fiamma tricolore, e nelle sue convinzioni personali, «l'Europa dovrebbe giocare un ruolo diverso nel quadro geopolitico». Inoltre, ha affermato di ritenere l'Alleanza atlantica «uno strumento superato», perchè «assegna all'Europa un ruolo subordinato». Con queste premesse, ha spiegato, avrebbe quindi «titolo ideologico a censurare l'attività svolta, in generale ogni tipo di attività, dalla CIA e da ogni altra organizzazione che operi per gli USA e la NATO nell'ambito dell'Unione».

Si è poi definito «oggettivamente equilibrato» nel respingere decisamente le conclusioni della relazione, perché essa, «oltre che viziata dall'ipocrisia di fondo» mettendo in discussione l'operato di uno Stato che si riconosce e si accetta come alleato, «è tendenziosa e nulla apporta di nuovo a quanto già scritto da molti giornali». Certo, ha precisato, ogni violazione dei diritti umani «è esecrabile e va respinta e non può essere tollerata», «ma pretendere la presunzione di innocenza in materia di servizi segreti è risibile e anche pericoloso se lo scopo è la protezione di popoli e Stati». Ha quindi annunciato il suo voto contrario alla relazione se non sono approvati molti degli emendamenti presentati, in particolare da Pirilli e Gawronski.

Interventi dei deputati italiani

Umberto PIRILLI (UEN, IT) ha anzitutto ricordato che il diritto alla sacralità della vita e alla dignità dell'uomo «è un valore assoluto al quale tutti noi crediamo e per il quale siamo disposti a batterci», precisando che «a questo tende la parte nobile della relazione». Tuttavia ha rimproverato al relatore di andare oltre, diventando «inquisitore di parte» e «riconoscendo tale diritto ai terroristi», «ma non agli agenti segreti incriminati e arrestati a Milano da un magistrato che nega al capo dei servizi italiani, il generale Pollari, il diritto alla difesa, rigettando la sua istanza di ascoltare come testi il capo del governo precedente, Berlusconi, e quello attuale, Prodi». Il relatore, ha aggiunto, «censura, condanna e deplora tutti i governi europei oltre a quello americano» e non si preoccupa «che un'operazione protetta di intelligence e la compressione del diritto alla dignità dell'uomo, ancorché terrorista, abbia potuto evitare il ripetersi della tragedia delle Torri gemelle». La relazione, ha insistito, «censura, deplora e condanna tutti i governi europei di destra e di sinistra e lo stesso Consiglio d'Europa, rei tutti di complicità e sudditanza nei confronti dell'odiato nemico Bush».

Si è quindi chiesto se sia possibile che solo il relatore «abbia ragione e che solo i magistrati di tre paesi risultino gli eroi di questa relazione». Eppure, ha ricordato, il governo italiano di centrosinistra, guidato da Romano Prodi, ha impugnato gli atti prodotti dal Pubblico ministero di Milano dinanzi alla Corte costituzionale a difesa del segreto di Stato. Per il relatore, ha ribadito, «il diritto di difesa è solo quello dei terroristi», mentre Pollari, il capo dei servizi segreti italiani, non deve difendersi: è colpevole». Ha quindi sostenuto che quest'ultimo «non può rivelare che Abu Omar, sospetto agente della CIA, è stato prelevato per essere sottratto a sicura morte, tant'è che non è stato portato a Guantanamo ma restituito al suo paese e oggi è in libertà». Abu Omar, ha insistito, «è una spia della CIA» e Pollari ha ragione. Ha quindi concluso che è stata violata la legge sui diritti umani e ciò «non è possibile neppure se la violazione è stata finalizzata alla salvezza di vite umane e alla sicurezza degli Stati».

Link utili

Sito web della commissione temporanea

Riferimenti

Claudio FAVA (PSE, IT)
Relazione sul presunto uso dei paesi europei da parte della CIA per il trasporto e la detenzione illegali di prigionieri
Procedura: Iniziativa
Dibattito: 14.2.2007
Votazione: 14.2.2007

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PNR e SWIFT: nuovi accordi che garantiscano la privacy

Stati Uniti e Europa sono alleati fondamentali nella lotta al terrorismo, ma occorre un quadro legale ben preciso che garantisca la tutela della privacy dei cittadini europei. E' quanto afferma una risoluzione adottata dal Parlamento, suggerendo i principi cui dovranno attenersi i prossimi accordi sul trasferimento dei dati dei passeggeri e delle transazioni finanziarie. I deputati insistono inoltre sul loro coinvolgimento nei relativi negoziati e auspicano di collaborare con il Congresso USA.

Adottando una risoluzione sostenuta da PPE/DE, PSE, ALDE/ADLE, UEN, Verdi/ALE e GUE/NGL su SWIFT, l'accordo PNR e il dialogo transatlantico su tali tematiche, il Parlamento afferma anzitutto che la lotta contro il terrorismo e la criminalità «deve poggiare su una vera legittimità democratica», sottoponendo i programmi di condivisione dei dati al controllo democratico ed all'esame giudiziario. In proposito, sottolinea poi che, negli ultimi anni, numerosi accordi «scaturiti da esigenze statunitensi e adottati senza alcuna partecipazione del Parlamento europeo» - come appunto l’accordo PNR e il memorandum SWIFT - «hanno determinato una situazione di incertezza giuridica per quanto riguarda le necessarie garanzie in materia di protezione dei dati per la condivisione e il trasferimento dei dati tra l’Unione europea e gli Stati Uniti».

I deputati ribadiscono poi che le soluzioni finora previste dal Consiglio e dalla Commissione, nonché dalle imprese private, «non proteggono in modo adeguato i dati personali dei cittadini dell’Unione europea» e ciò «potrebbe costituire una violazione del diritto comunitario e nazionale», come nel caso di SWIFT. Confermano inoltre le proprie riserve, recentemente condivise dal Congresso, per quanto riguarda il metodo di analisi e di estrapolazione dei dati. In proposito, accolgono favorevolmente l'annuncio dell'amministrazione statunitense di voler migliorare la situazione. Tuttavia, il Parlamento ritiene che tali miglioramenti «siano insufficienti per quanto riguarda la protezione dei dati dei cittadini dell’Unione europea. E' poi sottolineata la necessità di adottare una decisione quadro sulla protezione dei dati personali nel terzo pilastro. 

I deputati ritengono poi opportuno definire con gli Stati Uniti «un quadro comune e condiviso» per tutelare le necessarie garanzie indispensabili nel partenariato speciale UE/USA per quanto riguarda la lotta contro il terrorismo. Quadro, è precisato, che potrebbe anche riguardare tutti gli aspetti relativi alla libera circolazione delle persone tra l’UE e gli Stati Uniti. Chiedono inoltre che ai relatori del Parlamento europeo sia consentito di partecipare ad un'audizione, nel Congresso statunitense, su temi di interesse reciproco (l'accordo UE/USA sulla cooperazione giudiziaria in materia penale e l’estradizione, ATS, SWIFT). Auspicano, infine, che le presidenze delle commissioni competenti del Congresso siano invitate in vista del prossimo dialogo transatlantico (Bruxelles-Berlino a metà aprile 2007) e, in ogni caso, prima del prossimo vertice di primavera tra l’Unione europea e gli Stati Uniti.

Accordo PNR a lungo termine

Per il Parlamento, il futuro accordo PNR a lungo termine dovrebbe essere frutto di un processo decisionale «che tenga conto della realtà». Occorre quindi una valutazione preliminare approfondita anche per affrontare la questione dell'efficacia dell'accordo in vigore (e del precedente), così come la questione dei costi e della competitività delle compagnie aeree europee. Il trasferimento dei PNR, inoltre, deve essere basato su un chiaro principio di limitazione dell'obiettivo. L'accordo poi dovrà poggiare su un accertamento di adeguatezza per quanto riguarda la protezione dei dati personali, mentre soluzioni alternative, come le autorizzazioni elettroniche di viaggio nel quadro di un programma "Viaggio senza visto", in sostituzione del trasferimento di dati PNR da parte delle compagnie aeree, «devono anch’esse ottemperare alle disposizioni europee in materia di protezione dei dati».

I deputati, in seguito, ritengono che le condizioni attualmente previste negli impegni statunitensi debbano diventare parte integrante dell'accordo ed essere giuridicamente vincolanti. Il futuro accordo deve quindi poggiare su una maggiore legittimità democratica, «con la piena partecipazione del Parlamento europeo e/o la ratifica dei parlamenti nazionali». In ogni caso, dovrà essere basato sul sistema PUSH non accettando più quello PULL, mentre i passeggeri dovrebbero essere informati quanto al trasferimento dei dati PNR ed aver accesso ai propri dati, eventualmente per rettificarli e modificarli, nonché poter presentare ricorso ad un meccanismo legale o ad una autorità indipendente di protezione dei dati. Infine, si attendono che le autorità USA siano obbligate ad avvertire quelle dell'Unione in caso sospettino minacce terroristiche.

Accesso ai dati SWIFT

Il Parlamento ribadisce anzitutto la propria preoccupazione per il fatto che, per quattro anni, SWIFT abbia trasferito all'amministrazione statunitense un sottoinsieme di dati trattati nel suo sistema USA, compresi dati che non riguardavano cittadini statunitensi e dati non generati sul territorio USA, «in violazione della legislazione europea e nazionale in materia di protezione dei dati». Invita quindi il Consiglio e la BCE a riflettere sulle modalità di miglioramento del sistema di supervisione di SWIFT, in modo da garantire un adeguato funzionamento del processo di allarme con tutte le conseguenze in termini di azioni da adottare. Ritiene molto preoccupante che tale situazione «non sia stata oggetto di pesanti critiche, in una fase precedente, dalla BCE» o dal Gruppo delle 10 Banche centrali che controllano le attività SWIFT e che solo recentemente le banche europee e i loro clienti siano stati messi al corrente della situazione attraverso la stampa.

Inoltre, deplora fortemente il fatto che, diversi mesi dopo tali rivelazioni, il Consiglio non abbia ancora preso una posizione «su una questione che riguarda così tanti cittadini, consumatori ed imprese» e che solo sette dei 27 Stati membri abbiano risposto al questionario trasmesso dalla Commissione europea al fine di ottenere chiarimenti sul rispetto delle legislazioni nazionali e comunitarie in materia di protezione dei dati. Invita poi la BCE a garantire che i sistemi di pagamento europei, compreso il sistema aggiornato per i pagamenti di importo elevato “TARGET2”, «siano pienamente conformi alla legislazione europea in materia di protezione dei dati».

Ritenendo che l’Unione europea e gli Stati Uniti siano alleati fondamentali e leali nella lotta contro il terrorismo, il Parlamento sostiene che il vigente quadro normativo in questa materia dovrebbe essere la base per il negoziato di un eventuale accordo internazionale. Viene però precisato che SWIFT, come società belga, è soggetto al diritto belga e, di conseguenza, è responsabile del trattamento dei dati in conformità alla legislazione comunitaria. La naturale conseguenza sarebbe quindi l'obbligo per SWIFT «di bloccare la sua prassi attuale di trasmettere tutti i dati relativi ai cittadini e alle imprese comunitarie al suo sito USA o di trasferire la sua banca dati alternativa al di fuori della giurisdizione degli Stati Uniti». I deputati chiedono inoltre che tale accordo internazionale preveda le necessarie garanzie «contro l'abuso dei dati per finalità economiche e commerciali».

Il Parlamento, infine, invita la Commissione ad analizzare il potenziale di spionaggio economico e commerciale che può essere originato dall’attuale struttura dei sistemi di pagamento nel senso più ampio della definizione, comprendendo, così, in particolare, i fornitori di servizi di messaggeria, e a riferire sulle modalità per affrontare il problema. Esprime inoltre preoccupazione per il fatto che le imprese e i settori europei che operano negli Stati Uniti e che non sono coperti da tale accordo - come le filiali americane di banche, le compagnie di assicurazione, le istituzioni di sicurezza sociale e i fornitori di servizi di telecomunicazioni - «possano attualmente essere costretti a mettere dati personali a disposizione di autorità statunitensi».

Link utili

Risoluzione del Parlamento europeo sul caso SWIFT (6/7/2006)
Direttiva 95/46/CE relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati (testo consolidato)
Resoconto integrale del dibattito (31.1.2007)

Riferimenti

Risoluzione su SWIFT, l'accordo PNR e il dialogo transatlantico su tali questioni
Procedura: Risoluzione
Dibattito: 31.1.2007
Votazione: 14.2.2007

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RELAZIONI ESTERNE

 

Non demonizzare l'Islam ma vietare l'apologia del terrorismo

Il Parlamento chiede una politica di prevenzione, protezione e repressione proattiva contro il terrorismo, nel rispetto dei diritti fondamentali. A tal fine occorre favorire il dialogo interculturale e eliminare i motivi del reclutamento, ma anche vietare l'incitamento a commettere atti terroristici. E' anche necessario migliorare il coordinamento tra gli Stati membri dell'UE e tra questa e i partner e le organizzazioni internazionali, nonché tra i servizi di intelligence.

La lotta al terrorismo costituisce una priorità per l'Unione europea. E' quanto sostiene il Parlamento che, adottando con 500 voti favoreli, 53 contrari e 51 astensioni la relazione di Luis YAÑEZ-BARNUEVO GARCÍA (PSE, ES), sottolinea come l'Europa, da piattaforma per il sostegno logistico, sia diventata «uno dei maggiori obiettivi di attacchi pianificati». Il terrorismo internazionale, inoltre, costituisce attualmente una delle principali minacce per la sicurezza, la pace, la stabilità e i valori democratici della comunità internazionale.

Il Parlamento condivide il punto di vista del Consiglio secondo il quale, senza trascurare altre forme di terrorismo, la minaccia più grave per l'Europa in questo momento proviene dai gruppi radicali violenti che pretendono di difendere l'Islam, come la rete criminale Al Qaeda e i gruppi ad essa affiliati o ispirati alla sua ideologia. Parallelamente, i deputati si dicono convinti che del fatto che demonizzare qualsiasi cultura, civiltà o religione in nome della lotta contro il terrorismo «costituisce un errore che può avere effetti controproducenti». E, in proposito, notano «che gli stessi musulmani sono tra le vittime del terrorismo islamico», il quale a sua volta «è il risultato dei conflitti interni al mondo musulmano e delle lotte per il potere e le risorse naturali, tra cui il petrolio».

Nel sostenere senza riserve la necessità di un obiettivo strategico di lotta contro il terrorismo a livello globale, nel rispetto dei diritti dell'uomo, il Parlamento sottolinea l'esigenza che l'UE e i suoi Stati membri, così come i paesi partner, fondino la loro strategia globale contro il terrorismo «su un dialogo costruttivo e serio tra popoli e nazioni nonché tra culture, religioni e civiltà, che tenga conto delle rispettive concezioni e preoccupazioni». Ritiene anche fondamentale studiare i fattori che contribuiscono alla radicalizzazione e al reclutamento di musulmani in Europa e al di fuori di essa ed eliminare tutte le condizioni che possono essere sfruttate dai terroristi, come lo scoppio e la persistenza di conflitti violenti, il malgoverno, la violazione dei diritti umani, la discriminazione e l'emarginazione socioeconomica». E' poi chiesto di non stigmatizzare gruppi di persone appartenenti «a varie diaspore» che vivono nell'UE, sostenendo politiche di lotta alla xenofobia e contro ogni violazione dei diritti umani nei confronti di migranti e rifugiati e sostenendo le loro associazioni.

D'altra parte, il Parlamento ribadisce l'esigenza di trasmettere in ogni occasione il messaggio che il terrorismo «è inaccettabile e ingiustificabile ... in ogni situazione e in ogni cultura, quali che siano le considerazioni di natura politica, filosofica, ideologica, razziale, etnica, religiosa». Rivolge quindi un appello a tutti gli Stati della comunità internazionale affinché «vietino per legge l'incitamento a commettere atti terroristici». «Le misure di lotta al terrorismo, tuttavia, non devono tradursi nella restrizione della capacità dei mezzi d'informazione dei paesi del Sud».

I deputati insistono inoltre sull'urgenza di applicare nella pratica, «in modo corretto ed esaustivo», l'insieme di misure politiche adottate al più alto livello politico nel quadro della Strategia dell'Unione europea di lotta contro il terrorismo, del Piano d'azione e della Strategia per la lotta contro la radicalizzazione e il reclutamento di terroristi, al fine di adottare quanto prima misure concrete ed efficaci.

Ritengono poi «fondamentale» che l'azione esterna dell'Unione in materia di lotta contro il terrorismo internazionale miri ad impedire ai terroristi di accedere alle risorse necessarie per effettuare i loro attentati. Occorre quindi privarli della possibilità di viaggiare, di accedere alla comunicazione e di fare proselitismo, di utilizzare Internet per i loro fini, di ricevere aiuti finanziari, di riciclare denaro sporco, di accedere alle armi tanto convenzionali quanto nucleari, biologiche, chimiche o radiologiche».

Il Parlamento sottolinea quindi l'importanza di promuovere un consenso globale sulla necessità di porre termine alle attività bancarie off-shore e ad altri tipi di paradisi fiscali opachi «utilizzati dai terroristi per occultare le loro transazioni finanziarie». Nel ribadire la necessità di combattere contro i flussi di capitale illecito e il riciclaggio di denaro sporco nell'Unione, chiede anche di esercitare «un effettivo controllo sui diversi istituti di beneficenza islamici».

Appoggia poi «senza riserve» lo sviluppo della capacità degli Stati di prevenire le azioni terroristiche e ribadisce «che gli unici strumenti efficaci impiegati nella lotta contro il terrorismo internazionale siano i mezzi legali». Nel sottolineare quindi l'esigenza di giungere ad una definizione del terrorismo internazionale che sia globalmente accettata, ritiene che il diritto internazionale dovrebbe vietare tutte le attività che si sottraggono ad un controllo internazionale indipendente, quali le consegne straordinarie o le prigioni che operano al di fuori del quadro giuridico internazionale.

Il Parlamento enumera in seguito una serie di misure volte a conferire maggiore coerenza ed efficacia alla politica antiterrorismo dell'Unione nelle sue relazioni con i paesi terzi. Propone quindi il rafforzamento del dialogo politico su tale materia con i paesi con cui l'UE ha concluso o negozia accordi di associazione, il sostegno politico, commerciale e allo sviluppo a favore dei paesi islamici moderati e l'intensificazione del dialogo e della cooperazione con i grandi partner dell'Unione (Israele, Giappone, Australia, Canada, Russia ecc.) e in particolar modo gli Stati Uniti, che sono «in prima linea nella lotta contro il terrorismo», ma «senza diminuire in alcun caso il livello di tutela dei diritti umani».

Ma occorre anche promuovere il consenso in vista dell'adozione della Convenzione globale sul terrorismo internazionale e dello sviluppo della Strategia di lotta contro il terrorismo approvata in sede ONU, applicare rigorosamente la clausola contro il terrorismo e la clausola relativa ai diritti umani inserite negli accordi con paesi terzi e sospendere i rapporti politici e commerciali con gli Stati che persistono nel non adempiere il loro obbligo di informare il Comitato ONU contro il terrorismo. Andrebbe poi rafforzata la cooperazione con le organizzazioni internazionali e regionali fondamentali e intensificata la cooperazione in materia di scambi di informazioni e della cooperazione all'interno dei servizi di sicurezza e di intelligence, compresi quelli di intelligence militare, nonché tra le autorità di polizia, giudiziarie e doganali degli Stati membri e le varie autorità competenti a livello europeo.

E' poi necessario rafforzare le unità militari antiterrorismo e di aumentare i poteri di Europol per rendere il suo operato più efficace. Rileva anche la necessità di accrescere le competenze e le risorse di cui dispone il Coordinatore dell'Unione europea per la lotta contro il terrorismo e chiede alla Commissione e al di insistere nelle loro relazioni esterne affinché lo Statuto di Roma venga firmato e ratificato e, pertanto, che tutti i paesi terzi riconoscano la natura vincolante della giurisdizione del Tribunale penale internazionale (TPI).

Infine, Il Parlamento ritiene indispensabile incoraggiare una maggiore stabilità al di fuori dell'Unione utilizzando tutti gli strumenti, i programmi e le risorse disponibili nell'ambito dell'azione esterna. Raccomanda inoltre il ricorso risoluto a tutti gli strumenti di cui dispone l'Unione per costringere a desistere gli Stati dal prestare aiuto ai gruppi terroristi, «se necessario attraverso l'imposizione di misure punitive o coercitive».

D'altra parte, il Parlamento insiste sul fatto che nulla può giustificare il dirottamento degli aiuti attribuiti ai paesi che si dedicano alla lotta contro la povertà a favore di quelli impegnati direttamente nella guerra al terrorismo. Parimenti, considera che includere nell'APS aiuti finanziari a favore di una serie di attività connesse alla prevenzione e alla lotta contro il terrorismo «equivarrebbe a compromettere ulteriormente la nozione di aiuto pubblico allo sviluppo e la sua finalità principale: l'eliminazione della povertà».

Da ultimo, i deputati rivendicano un ruolo maggiore del Parlamento europeo in merito agli aspetti principali e alle opzioni basilari in materia di lotta al terrorismo, anche attraverso una revisione delle norme sull'accesso alle informazioni sensibili.

Link utili

Strategia antiterrorismo dell'Unione europea
Attuazione del piano d'azione per la lotta al terrorismo
Commissione europea: sito web tematico (in inglese)
ONU: sito web tematico
Sito web dei Servizi di informazione e sicurezza italiani

Riferimenti

Luis YAÑEZ-BARNUEVO GARCÍA (PSE, ES)
Relazione sulla dimensione esterna della lotta contro il terrorismo
Procedura: Iniziativa
Dibattito: 14.2.2007
Votazione: 15.2.2007

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AMBIENTE

 

Frenare la produzione di rifiuti in Europa

Nella gestione dei rifiuti l'accento deve essere posto maggiormente sulla prevenzione. E' quanto chiede il Parlamento sollecitando una modifica dei modelli di consumo e la progettazione ecologica dei prodotti. Lo scopo è di stabilizzare la produzione di rifiuti entro il 2012 sui livelli del 2008. Nel fissare anche un obiettivo di riciclaggio dei rifiuti urbani al 50% entro il 2020, auspica responsabilizzare maggiormente i produttori, imponendo loro la ripresa degli articoli usati.

Con 651 voti favorevoli, 19 contrari e 16 astensioni, il Parlamento ha adottato la relazione di Caroline JACKSON (PPE/DE, UK) che presenta una serie di emendamenti alla proposta legislativa volta ad attualizzare e semplificare le disposizioni vigenti in materia di rifiuti, dotare la direttiva di un obiettivo ambientale e chiarire alcune definizioni che danno luogo a divergenze e incertezze nell’interpretazione delle sue disposizioni principali da uno Stato membro all’altro. Spetta ora al Consiglio pronunciarsi su tale proposta, proponendo al Parlamento una posizione comune, ma il processo legislativo si annuncia difficile, anche a causa dall'elevato livello di ambizione dei deputati su questa materia.

Prevenzione anzitutto, ma anche riutilizzo e riciclaggio. No alle discariche "selvagge"

L'approccio della Commissione europea fondato sul "ciclo di vita" dei prodotti è apparso troppo teorico ai deputati. Preferiscono infatti mantenere, «in linea di principio», una politica di gerarchizzazione dei rifiuti che pone proprio in cima alle priorità la prevenzione. Pertanto, un emendamento chiede agli Stati membri di adottare le misure appropriate, in ordine decrescente di importanza, per promuovere: la prevenzione e la riduzione della produzione dei rifiuti, il riutilizzo dei rifiuti, il riciclaggio dei rifiuti, altre operazioni di recupero e lo smaltimento sicuro ed ecologico dei rifiuti.

Tuttavia, è prevista la possibilità per gli Stati membri di discostarsi da queste priorità, qualora le valutazioni del ciclo di vita e le analisi costi/benefici indichino chiaramente che un'opzione di trattamento alternativo «dà risultati migliori per uno specifico flusso di rifiuti». Tali valutazioni ed analisi, è precisato, devono essere rese pubbliche e riesaminate da organi scientifici indipendenti. Inoltre, se necessario, dopo aver consultato le parti interessate, la Commissione può elaborare orientamenti per la loro applicazione.

Per il Parlamento, comunque, l'obiettivo principale deve essere quello di «modificare i consumi in direzione della sostenibilità e di rendere quanto più possibile compatibili i processi di estrazione delle materie prime, di produzione e progettazione dei prodotti con i processi e i disegni naturali». Un emendamento, peraltro, definisce la "prevenzione" come «qualsiasi azione adottata prima che i prodotti o le sostanze siano divenuti rifiuti e mirante a ridurre la produzione di rifiuti o la nocività di questi ultimi».

E' quindi chiesto agli Stati membri di adottare le misure necessarie per stabilizzare la produzione globale di rifiuti, ossia non aumentare, entro il 2012 rispetto alla propria produzione annuale di rifiuti del 2008. A tal fine, la Commissione dovrà presentare, entro il 2008, una serie di indicatori che consentiranno agli Stati membri di monitorare, valutare e riferire sui progressi compiuti nel quadro dei propri programmi e misure di prevenzione dei rifiuti. Entro il 2010, invece, andrà definita una politica di progettazione ecologica dei prodotti che riduca al contempo la produzione di rifiuti e la presenza di sostanze nocive in essi, «favorendo tecnologie incentrate su prodotti sostenibili, riutilizzabili e riciclabili». A quella stessa data dovrà poi proporre la definizione di ulteriori obiettivi qualitativi e quantitativi di riduzione dei rifiuti per il 2020 e formulare un piano d'azione per ulteriori misure di sostegno a livello europeo volte, in particolare, a modificare gli attuali modelli di consumo.

Il Parlamento, d'altra parte, chiede agli Stati membri di giungere, entro il 2020, a un livello di riutilizzazione e riciclaggio globale di almeno il 50% per i rifiuti solidi urbani e del 70% per i residui di costruzione, demolizione, industriali e di produzione. Dovranno inoltre, prendere le misure per promuovere il riciclaggio di alta qualità e, a tal fine, approvare regimi separati di raccolta, entro il 2005, per carta, metallo, plastica, vetro, tessili, altri rifiuti biodegradabili, oli e residui pericolosi. Alla Commissione è poi chiesto di presentare una proposta legislativa, entro il 30 giugno 2008, volta a promuovere il riciclaggio di biorifiuti, per i quali, peraltro, il Parlamento chiede di realizzare un sistema di raccolta differenziata entro tre anni dall'entrata in vigore della direttiva. Un nuovo articolo, peraltro, vieta il recupero di rifiuti di cucina e ristorazione non trattati per l'alimentazione animale.

Un emendamento precisa poi che, se non si ricorre a prevenzione, riutilizzo e riciclaggio o ad altre modalità di recupero, «tutti i rifiuti devono essere sottoposti a operazioni di smaltimento in sicurezza. Gli Stati membri dovranno quindi vietare l'abbandono, lo scarico e lo smaltimento in controllato di rifiuti. Inoltre, dovranno prendere delle misure affinché la gestione dei rifiuti, dalla raccolta al recupero o allo smaltimento, sia realizzata mediante l'impiego di attrezzature e infrastrutture che assicurino un elevato grado di protezione per la salute umana, l'ambiente, l'acqua, l'aria, il suolo, la flora e la fauna, «senza causare inconvenienti da rumori od odori o danneggiare il paesaggio o i siti di particolare interesse».

Incenerimento meno facile

Per il Parlamento, pertanto, conta soprattutto ridurre le consegne in discarica e l'incenerimento, entrambi fonti di inquinamento. Nel dibattito che ha preceduto il voto, i deputati si sono però divisi riguardo all'opportunità di considerare l'incenerimento come una forma di eliminazione o come un'operazione di valorizzazione. Se la Commissione proponeva di considerarlo una valorizzazione se avesse rispettato una certa soglia di efficacia energetica, la maggioranza dell'Aula non ha ammesso questa eventualità. Se così dovesse restare fino alla fine della procedura di codecisione, l'insieme degli attori che operano nella gestione dei rifiuti non potrà più optare con la facilità di oggi per l'incenerimento.

Rafforzare la responsabilità dei produttori e sanzioni

Un emendamento chiede agli Stati membri e alla Comunità di adottare delle misure tese a potenziare la responsabilità dei produttori, considerando i produttori e gli importatori «responsabili dei rifiuti derivanti dall'immissione sul mercato dei loro prodotti». A tal fine è anche specificato che ai produttori/importatori potrebbe essere imposto l'obbligo di ripresa, di mettere a disposizione del pubblico informazioni relative al tasso di riciclaggio del prodotto e di utilizzare materiali e progettazione del prodotto che contribuiscano a prevenire o ridurre la produzione di rifiuti e a rendere tali rifiuti meno nocivi.

Inoltre, potrebbe essere ipotizzata la creazione di attrezzature che rendano possibile la riparazione e il riutilizzo nonché la raccolta differenziata, la ripresa e lo smaltimento in modo responsabile dei prodotti in disuso. E' poi chiesto alla Commissione di esaminare l'opportunità di introdurre regimi di responsabilità estesa del produttore per determinati flussi di rifiuti a livello di Unione europea, in base alle esperienze acquisite dagli Stati membri.

I deputati, inoltre, propongono che, in conformità con il principio "chi inquina paga", il costo della gestione dei rifiuti debba essere sostenuto dal detentore dei rifiuti raccolti o gestiti da un responsabile della raccolta o da un'impresa e/o dai detentori precedenti e/o dal produttore del prodotto che è all'origine del rifiuto. I deputati introducono poi un nuovo articolo che chiede agli Stati membri di emanare le disposizioni relative alle sanzioni da infliggere in caso di violazione delle disposizioni della direttiva, in particolare per quanto concerne i rifiuti pericolosi, adottando tutte le misure necessarie per assicurarne l'applicazione. Le sanzioni dovranno essere effettive, proporzionate e dissuasive.

Tracciabilità dei rifiuti pericolosi

Un emendamento chiede agli Stati membri di adottare le misure necessarie per garantire che la raccolta, la produzione e il trasporto dei rifiuti pericolosi, nonché il loro stoccaggio e trattamento, «vengano realizzati in condizioni di protezione ottimale dell'ambiente e della salute umana e di sicurezza degli operatori, degli impianti e delle persone». Suggeriscono quindi di prevedere, almeno, l’adozione di misure per garantire la tracciabilità e il controllo, dalla produzione alla destinazione finale, di tutti i rifiuti pericolosi ed un'adeguata valutazione del rischio durante la loro gestione.

Prodotto, sottoprodotto o rifiuto?

Con "rifiuto", si intende «qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l'intenzione di o l'obbligo di disfarsi». Tutte le categorie di rifiuti sono elencate in un catalogo europeo. Il Parlamento, d'altra parte, chiede alla Commissione di presentare una proposta legislativa per taluni prodotti di consumo, come le apparecchiature elettriche, volta a precisare i criteri funzionali, ambientali e di qualità che devono essere soddisfatti per stabilire quando si considera che il detentore abbia l'intenzione di disfarsi del prodotto.

Inoltre, introduce un nuovo articolo volto a distinguere meglio tra rifiuto e sottoprodotto, definendo le condizioni in forza alle quali una sostanza o un oggetto derivanti da un processo di produzione, il cui obiettivo primario non sia la loro produzione, possono essere classificati come sottoprodotti e non come rifiuti. Tra queste è necessario che l'ulteriore utilizzo della sostanza o dell'oggetto sia certo e che possano essere utilizzati direttamente senza ulteriore trattamento oltre alla consueta pratica industriale. Inoltre, occorre che l'ulteriore utilizzo formi parte integrale di un processo di produzione o che per essi esista un mercato come prodotti. Infine, il loro ulteriore utilizzo deve soddisfare tutti i requisiti pertinenti in materia di prodotti, ambiente e protezione della salute attinenti alla loro applicazione specifica.

Il Parlamento chiede anche che, entro due anni dall'entrata in vigore della direttiva, la Commissione presenti una proposta legislativa che specifichi i criteri ambientali e di qualità che la sostanza o l'oggetto devono soddisfare per essere classificati come sottoprodotti. La proposta dovrà anche comprendere un elenco delle sostanze e/o degli oggetti da classificare come sottoprodotti che, peraltro, dovrà essere reso facilmente accessibile agli operatori economici e al pubblico (ad esempio via Internet).

Migliore distinzione tra riciclaggio, recupero e riutilizzo

I deputati propongono la riformulazione o l'introduzione di nuove definizioni al fine di chiarire meglio il testo nel suo complesso.

I deputati, inoltre, propongono l'introduzione di una definizione delle operazioni di "recupero" per distinguerle più nettamente da quelle volte al "riutilizzo" e al "riciclaggio". Quest'ultimo consiste nel «ritrattamento di materiali o sostanze presenti nei rifiuti attraverso un processo produttivo mediante il quale essi producono o sono incorporati in nuovi prodotti, materiali o sostanze da utilizzare per la loro funzione originaria o per altri fini». E' anche precisato che ciò comprende il ritrattamento di materiale organico, ma non comprende il recupero di energia e la conversione per l'impiego come combustibile.

Per “recupero”, invece, i deputati intendono un'operazione di trattamento che permetta ai rifiuti di «svolgere un'utile funzione» nel sostituire altre risorse che sarebbero state impiegate per assolvere tale funzione o nel subire un trattamento in vista di tale utilizzo.

Tale operazione deve inoltre soddisfare taluni criteri di efficienza, diminuire l'impatto ambientale negativo generale, utilizzando rifiuti in sostituzione di altre risorse e minimizzare la formazione, il rilascio e la dispersione di sostanze pericolose durante il procedimento, riconoscendo un’elevata preferenza alla protezione della salute umana e dell’ambiente. Entro due anni dall'entrata in vigore della direttiva, peraltro, la Commissione dovrà proporre delle misure di esecuzione, da adottare in codecisione, volte a definire criteri di efficienza e ambientali per poter considerare che un trattamento abbia dato origine a un'operazione di recupero.

Il "riutilizzo" è invece definito come l'utilizzazione di prodotti o componenti per la stessa finalità per la quale erano stati concepiti, senza sottoporli ad altro trattamento che la pulizia o la riparazione. Infine, i deputati introducono le definizioni di "smaltimento", ossia tutte le operazioni che non soddisfano le condizioni del recupero o del riutilizzo, e di "raccolta differenziata", ossia la raccolta in cui il flusso dei rifiuti è tenuto separato in base al tipo e alla natura dei rifiuti ed è raccolto e trasportato separatamente.

Strategia tematica

Adottando con 662 voti favorevoli, 17 contrari e 3 astensioni la relazione d'iniziativa di Johannes BLOKLAND (IND/DEM, NL), i deputati formulano una serie di raccomandazioni sulla strategia tematica proposta dalla Commissione. Tra le altre cose, chiedono all'Esecutivo che il ricorso alla procedura di comitatologia nella politica in materia di rifiuti sia limitata in futuro alle sole decisioni tecniche  e scientifiche. Ribadiscono poi l'importanza della gerarchizzazione dei rifiuti in cinque categorie e chiedono di presentare diverse proposte in merito alla prevenzione dei rifiuti e a nuovi indicatori, delle direttive specifiche sui rifiuti biodegradabili, sui fanghi di epurazione e sui rifiuti nel settore delle costruzioni nonché di rivedere la direttiva sullo stoccaggio dei rifiuti.

Background

Nonostante i notevoli passi avanti realizzati, i volumi dei rifiuti sono globalmente in aumento e il quantitativo assoluto di rifiuti conferiti in discarica non sta calando. Tra il 1990 e il 1995 nei paesi dell’UE e dell’EFTA si è registrato un aumento della produzione totale pari al 10%, a fronte di una crescita del PIL del 6,5%. Se sono i rifiuti solidi urbani (RSU) che contribuiscono sensibilmente a tale aumento (+19% nell’UE a 25 tra il 1995 e il 2003), crescono anche flussi di rifiuti più ridotti, ma importanti, come quelli pericolosi (+13% tra il 1998 e il 2002).

Inoltre, se da un lato il riciclaggio e l’incenerimento sono in aumento, in termini assoluti i quantitativi di rifiuti smaltiti in discarica non sono in calo, perché ne vengono prodotti di più. Ad esempio, la quantità di rifiuti di plastica conferiti in discarica è aumentata del 21,7% tra il 1990 e il 2002, anche se la percentuale di plastica smaltita in discarica è scesa dal 77% al 62%. Attualmente nell’UE i rifiuti urbani vengono smaltiti in discarica nel 49% dei casi, inceneriti nel 18% e sottoposti a riciclaggio e compostaggio nel 33% dei casi. La situazione varia molto da uno Stato membro all’altro: si passa infatti da paesi in cui il riciclaggio è minimo (con 90% di conferimento in discarica e 10% di riciclaggio e recupero di energia) a paesi che seguono un approccio più compatibile con l’ambiente (con il 10% di smaltimento in discarica, 25% di recupero di energia e 65% di riciclaggio).

I rifiuti hanno avuto un ruolo centrale nello sviluppo della politica ambientale dell’Unione europea: la direttiva quadro sui rifiuti è infatti uno dei primi strumenti giuridici adottati per tutelare l’ambiente a livello comunitario. Dal 1975 ad oggi la legislazione sui rifiuti ha subito una notevole evoluzione. In un primo tempo è stato predisposto il quadro generale e sono stati affrontati alcuni problemi specifici (oli usati, biossido di titanio). In un secondo momento sono state formulate le norme relative alle discariche e agli inceneritori. Infine, in un terzo momento, le direttive sul riciclaggio hanno stabilito le modalità organizzative e i finanziamenti necessari per favorire il riciclaggio di alcuni flussi di rifiuti prioritari (imballaggi, veicoli fuori uso, rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche, pile e accumulatori).

Link utili

Proposta della Commissione
Comunicazione della Commissione - Strategia tematica sulla prevenzione e il riciclaggio dei rifiuti
Commissione europea: sito web tematico
Attuale direttiva sui rifiuti

Riferimenti

Caroline JACKSON (PPE/DE, UK)
Relazione sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai rifiuti
&
Johannes BLOKLAND (IND/DEM, NL)
Relazione su una strategia tematica per il riciclaggio dei rifiuti
Procedura: Raccomandazione per la prima lettura e iniziativa
Dibattito: 12.2.2007
Votazione: 13.2.2007

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Clima: ridurre le emissioni e sviluppare fonti rinnovabili

Per lottare contro i cambiamenti climatici occorre ridurre del 30% le emissioni di gas a effetto serra entro il 2020. E' quanto afferma il Parlamento sollecitando la promozione dell'efficienza energetica, anche attraverso prelievi fiscali, il riesame del sistema dello scambio di quote e un ricorso crescente alle fonti rinnovabili, soprattutto nel settore dei trasporti. I deputati sollecitano poi un nuovo impegno per l'introduzione di imposte sul cherosene a livello UE e mondiale.

In risposta alla comunicazione della Commissione del gennaio scorso e in vista del Consiglio europeo di Primavera, il Parlamento ha adottato una risoluzione che sottolinea l'urgenza di prendere iniziative concrete a livello mondiale per affrontare i cambiamenti climatici. In proposito, i deputati sottolineano che l'inazione rischia di portare a «enormi costi economici, sociali e sanitari», quantificabili nel 5-20% del PNL globale annuo. Compiacendosi quindi che tale tema sia stato posto al centro dell'agenda politica europea, il Parlamento sollecita l'UE a mantenere il proprio ruolo di guida nei negoziati in vista di un quadro internazionale post-2012 sui cambiamenti climatici, ribadendo il suo auspicio di raggiungere un accordo entro il 2008 o al massimo entro il 2009.

L'Unione europea, d'altra parte, è sollecitata a dimostrare la propria volontà di affrontare i cambiamenti climatici con misure quantificabili riducendo le proprie emissioni di gas serra (GHG) e rispettando i propri obiettivi nazionali e internazionali per la riduzione delle emissioni. In proposito, notando che «la quota UE è tra le più alte del mondo», il Parlamento ricorda che la strategia UE sui cambiamenti climatici dovrebbe mirare a limitare l'aumento della temperatura globale media a non più di 2° centigradi rispetto ai livelli di preindustrializzazione e prevedere l'impegno a raggiungere una riduzione delle emissioni per tutti paesi industrializzati del 30% entro il 2020 rispetto ai livelli di emissioni del 1990, per giungere entro il 2050 ad una riduzione del 60-80%. Al riguardo, insistendo sul fatto che l'UE debba basare tutte le politiche e le misure interne sull'obiettivo di riduzione del 30% entro il 2020, i deputati si rammaricano della mancanza di chiarezza del pacchetto "clima ed energia" della Commissione rispetto a tali obiettivi.

Inoltre, adottando un emendamento avanzato dal PPE/DE, il Parlamento ritiene che entro il 2050 «la stragrande maggioranza del fabbisogno energetico dell'UE dovrà essere coperta da fonti prive di carbonio o con tecnologie prive di emissioni di gas serra». Occorrerà quindi concentrare gli sforzi sul risparmio energetico, l'efficienza e le energie rinnovabili, e sarà necessario fissare una chiara tabella di marcia per la realizzazione di tale obiettivo. La Commissione è pertanto invitata a fissare obiettivi ambiziosi ma realistici per fare in modo che, entro il 2020, il 60% della domanda di elettricità nell'UE sia soddisfatto da tecnologie energetiche ad emissioni di CO2 bassissime o nulle o CO2 neutre.

Nell'invitare poi i paesi industrializzati che non abbiano ratificato il Protocollo di Kyoto a riconsiderare la propria posizione, il Parlamento ribadisce la sua proposta di riesaminare il sistema di scambio delle quote di emissione (ETS) al fine di armonizzare il metodo di assegnazione basato su un sistema di aggiudicazione all'asta e di valori di riferimento.  Propone, inoltre, di ridurre l'assegnazione gratuita di certificati di emissioni e suggerisce agli Stati membri «di restituire ai cittadini e alle imprese le somme derivanti ad esempio dalle aste». La riduzione delle emissioni globali, ammonisce tuttavia il Parlamento, non deve «portare ad altre minacce quale quella di proliferazione nucleare o di terrorismo». Il nucleare, pertanto, deve rimanere escluso dal CDM/JI o da altri meccanismi volti a compensare le riduzioni di emissioni nei paesi in via di sviluppo.

I deputati ritengono inoltre che esista «un ampio potenziale» di riduzione delle emissioni nel settore dell'efficienza energetica e, a tal fine, invitano la Commissione e gli Stati membri a prendere misure e a fissare obiettivi ambiziosi in questo settore «esplorando la possibilità di superare l'obiettivo di riduzione del 20% proposto dalla Commissione».

D'altra parte, sostengono che con sistemi nazionali bene equilibrati di imposizione e prelievi fiscali si possa aumentare l'efficienza energetica negli Stati membri «impedendo un inutile consumo di energia». Convinto che l'attuale inefficienza di molte centrali elettriche contribuisca ad aggravare notevolmente il problema del riscaldamento globale, il Parlamento invita la Commissione a presentare proposte volte ad obbligare tutti gli Stati membri a garantire che l'energia rilasciata quale sottoprodotto della generazione di elettricità sia sfruttata mediante la tecnologia della cogenerazione di elettricità e calore.

Nel sottolineare che nel settore dei trasporti si sta registrando il più elevato aumento dei consumi energetici e che il trasporto su strada contribuisce per circa il 25% alle emissioni comunitarie di CO2, il Parlamento chiede lo sviluppo di trasporti pubblici più integrati ed ecologici che rispettino l'ambiente e le risorse naturali e misure vincolanti per tale settore, incluso quello dell'aviazione, affinché consegua entro il 2020 riduzioni delle emissioni equivalenti a quelle degli altri settori. Facendo proprio un emendamento dei Verdi, inoltre, ribadisce che le emissioni del settore dell'aviazione e marittimo dovrebbero essere incluse negli impegni internazionali di riduzione dei gas ad effetto serra per il periodo post-2012 e chiede «un nuovo impegno per l'introduzione di imposte sul cherosene a livello dell'Unione europea e mondiale».

Prende poi atto della proposta di un obiettivo vincolante fino al 25% di aumento del livello dell'energia rinnovabile nel mix energetico UE al 20% entro il 2020, ritenendo che dovrebbe essere aumentato fino al 25%. Mettendo in rilievo che obiettivi vincolanti settoriali per le energie rinnovabili porterebbero un'effettiva riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, sollecita inoltre la Commissione a chiedere agli Stati membri la presentazione di obiettivi specifici settoriali, tenendo conto delle loro diverse situazioni. Il Parlamento, peraltro, prende nota della proposta di un obiettivo minimo vincolante per i biocarburanti pari al 10% dei carburanti per autovetture nel 2020, ma ritiene che sarebbe realistico e auspicabile un obiettivo del 12,5%.

D'altra parte, prendendo atto che la Commissione riconosce l'importanza a medio termine del ruolo dei combustibili fossili e la possibilità di intraprendere ulteriori studi per ridurre la loro intensità di carbonio, i deputati ritengono che tali sviluppi debbano comprendere il continuo ammodernamento e il miglioramento dell'efficienza di tali combustibili, lo sviluppo di una nuova generazione di impianti, l'ulteriore sviluppo di un metodo efficiente ed economico per la cattura del carbonio e il suo stoccaggio in relazione a carbone, gas e petrolio, nonché l'eliminazione delle barriere create dalla legislazione dell'UE.

Il Parlamento ritiene poi che importanti iniziative volte a ridurre le emissioni «possano andare di pari passo con lo sviluppo economico» e, anzi, «rappresentino un requisito di base per lo sviluppo economico sostenibile nei prossimi decenni». Ribadisce inoltre che le tecnologie ambientali possono dare all'Unione europea un maggiore grado di competitività contribuendo enormemente alla riduzione delle emissioni.

Infine, nel sostenere la proposta di un partenariato energetico con l'Africa, raccomanda vivamente di istituire un partenariato simile anche con la Cina e con l'India e propone di rafforzare la cooperazione energetica con la Russia, l'Ucraina, il Nordafrica e i paesi della regione del Mar Caspio. Invita anche l'Unione europea e i suoi Stati membri a adottare un'ambiziosa politica di partenariato tecnologico e di trasferimenti di tecnologie pulite nei confronti dei paesi in via di sviluppo, «aiutandoli a sviluppare la propria economia e ad aumentare il proprio benessere in un modo più sostenibile».

Link utili

Resoconto stenografico del dibattito in Aula (31/1/2007) (Prima parte) (Seconda parte)
Comunicazione della Commissione - Una politica energetica per l'Europa
Comunicazione della Commissione - Limitare il riscaldamento del pianeta a 2 gradi celsius
Sito web della Commissione sui cambiamenti climatici

Riferimenti

Risoluzione sui cambiamenti climatici
Procedura: Risoluzione
Dibattito: 31.1.2007
Votazione: 14.2.2007

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AFFARI ECONOMICI E MONETARI

 

Biocarburanti nei serbatoi contro i rincari del petrolio

L'aumento del prezzo del petrolio mina la crescita economica e riduce il potere d'acquisto delle famiglie. Il Parlamento chiede quindi maggiori sforzi sul fronte dell'efficienza, inclusa un'imposta armonizzata sui veicoli basato sul CO2, e l'aumento delle riserve minime di petrolio. Sollecita anche massicci investimenti nelle reti infrastrutturali e la loro separazione dai fornitori. Occorre poi promuovere fonti verdi e giungere all'eliminazione totale dei combustibili fossili nei trasporti.

Adottando la relazione di Manuel António dos SANTOS (PSE, PT), il Parlamento esprime anzitutto inquietudine per la grande fluttuazione e il fortissimo aumento del prezzo del petrolio, passato da 12 dollari al barile prima del 2000 a 79 dollari al barile l'8 agosto 2006. Paragonando le ultime impennate dei prezzi alle crisi degli anni '70 e '80, ritiene però che esse siano dovute più alla crescita della domanda (soprattutto in Cina) che alla scarsità dell'offerta. Inoltre, sostiene che il recente aumento del prezzo presenta una componente «essenzialmente permanente». Sottolinea poi che, se non si adottano adesso misure, la dipendenza dell'Europa dalle importazioni di energia passerà dal 50% odierno al 71% nel 2030 (le importazioni di petrolio incidono per il 94%), aggravando quindi le ripercussioni negative sull'economia europea.

I deputati temono che l'aumento del prezzo del petrolio possa pregiudicare la ripresa economica europea, attraverso il rallentamento della crescita del prodotto interno lordo (PIL), delll'occupazione e degli investimenti, «rafforzando le pressioni inflazionistiche e i tassi d'interesse». Al riguardo, rilevando che la BCE ha già aumentato i tassi d'interesse cinque volte dal dicembre 2005, esprimono preoccupazione per la crescente imprevedibilità del costo del credito per le PMI e per le ripercussioni negative sull'investimento e sull'occupazione nell'Unione europea. Deplorano inoltre che la pressione inflazionistica «rende inevitabile un certo rigore della politica monetaria» e sottolineano i rischi per la crescita di un aumento dei tassi d'interesse.

Attirano poi l'attenzione sui rischi connessi all'evoluzione del tasso di cambio dell'euro e al prezzo del petrolio «a causa del loro impatto sul potere d'acquisto delle famiglie». A questo proposito, esprimono preoccupazione riguardo agli effetti sociali di questi aumenti che, portando a una crescita dei prezzi al consumo, con i salari «che registrano aumenti moderati», causano una diminuzione del reddito disponibile. L'aumento del costo degli alloggi, del riscaldamento e dei trasporti, è poi sottolineato, colpisce in particolar modo, «i segmenti della popolazione a basso reddito, poveri e vulnerabili». Per tale motivo sollecitano gli Stati membri a prendere le opportune misure al fine di garantire ugualmente «la mobilità e scongiurare l'esclusione sociale e l'impoverimento».

Nel ricordare poi l'urgenza di far diminuire i prezzi dell'energia sui mercati nazionali dell'energia, Il Parlamento constata che questi restano essenzialmente nazionali e «sono dominati da una manciata di società sia private che pubbliche che spesso possiedono anche le infrastrutture». Invita pertanto la Commissione e le autorità garanti nazionali in materia di concorrenza «a sorvegliare con attenzione le società operanti nel settore dell'energia».

Sottolineando che la separazione delle infrastrutture dai fornitori «è essenziale per il corretto funzionamento dei mercati nazionali e del mercato interno nonché per incentivare l'investimento nelle infrastrutture», il Parlamento evidenzia anche la necessità nei prossimi anni di «massicci investimenti nelle infrastrutture e nell'approvvigionamento energetico». Rileva inoltre la necessità di orientare le infrastrutture energetiche verso la cogenerazione di elettricità e calore e la produzione di energia decentralizzata e ritengono che «il petrolio non andrebbe utilizzato per generare energia».

Chiedono anche il completamento del mercato interno dell'energia mediante l'adozione di misure «volte a superare le attuali divergenze relative alle competenze delle autorità, l'assenza di un'autorità europea in materia di energia competente delle questioni transfrontaliere, l'assenza di un piano prioritario di interconnessione, di norme di rete, di regimi di equilibrio e di stoccaggio del gas».

Ponendo poi l'accento «sui promettenti mercati per le tecnologie relative alle energie rinnovabili e all'aumento dell'efficienza energetica», il Parlamento invita la Commissione e il Consiglio a elaborare un piano dettagliato per ridurre la dipendenza dell'Unione europea dalle importazioni petrolifere e per passare all'energia pulita. Chiede inoltre l'immediata adozione di misure volte a migliorare l'efficienza energetica, ricordando che quest'ultima «è di gran lunga il metodo più economico per ridurre le emissioni di anidride carbonica e aumentare la sicurezza energetica». Ritiene pertanto che occorra inserire gli obiettivi relativi all'efficienza energetica in altre politiche settoriali, in particolare nelle politiche fiscali, dei trasporti e di coesione. Più precisamente, sostiene che i regimi fiscali dovrebbero adottare il principio "chi inquina paga".

Il Parlamento osservando che il settore dei trasporti assorbe il 56% del consumo totale del petrolio nell'Unione europea e sottolinea che il mutamento dei modi di trasporto «è un importante mezzo per ridurre il consumo di petrolio. Chiede pertanto una strategia completa UE per la progressiva eliminazione totale dei combustibili fossili in tale settore che, a suo parere, «porterebbe a una riduzione progressiva della dipendenza UE dal petrolio e all'impiego progressivo di energie pulite». In proposito, ritiene che «le forniture di combustibili destinati ai trasporti potrebbero essere potenziate agevolando la produzione di combustibili liquidi e oli non convenzionali a base di gas naturali o carbone», qualora ciò sia economicamente realizzabile. Si dice poi favorevole allo sviluppo e alla produzione di combustibili alternativi come biocarburanti, di veicoli a idrogeno/cellule di combustibile e di veicoli ibridi.

Il Parlamento chiede una direttiva quadro sull'efficacia energetica nei trasporti ed è favorevole all'armonizzazione delle legislazioni sulle automobili private, ivi compresa un'imposta dei veicoli in base al CO2 e armonizzata a livello dell'Unione europea con procedure di certificazione, di etichettatura e di incentivi fiscali per diversificare le fonti energetiche. Sollecita poi una strategia globale per favorire l'arrivo sul mercato di veicoli a bassa emissione di CO2, utilizzando biocombustibili di ultima generazione e/o bioidrogeno. I deputati sottolineano inoltre l'importanza di misure fiscali adeguate, anche nel settore degli alloggi, «come mezzo per ridurre la dipendenza economica dai combustibili fossili, affrontare il cambiamento climatico e stimolare gli investimenti nell'efficacia energetica, nelle energie rinnovabili e nei prodotti rispettosi dell'ambiente».

A loro parere, d'altra parte, la politica energetica, in particolare la sicurezza dell'approvvigionamento energetico, deve diventare parte integrante della politica esterna comune, nonché delle politiche commerciale e di sicurezza dell'Unione europea. Chiedono quindi una strategia comune per garantire e diversificare gli approvvigionamenti e le rotte di transito, assicurando la solidarietà nell'ambito dell'UE.

A tal fine, propongono di utilizzare gli accordi di partenariato e di cooperazione con regioni produttrici di petrolio per promuovere gli investimenti nelle infrastrutture di sfruttamento e di trasporto e per garantire gli approvvigionamenti a lungo termine. Nel chiedere poi che sia accordato un ruolo centrale alla costituzione di un vero e proprio mercato euromediterraneo dell'energia, sottolineano l'importanza di integrare nella nuova diplomazia dell'energia dell'Unione europea un dialogo costruttivo con i paesi esportatori di petrolio, i paesi che si trovano sulle rotte di trasporto e tutti i grandi consumatori di energia.

Il Parlamento, infine, invita la Commissione a esaminare eventuali misure volte a ridurre l'impatto del picco del petrolio sui cittadini dell'UE, compresa un'analisi di proposte programmatiche quali il protocollo sull'esaurimento mondiale degli idrocarburi che renderebbe meno drammatica l'eliminazione di carburanti fossili.

In proposito, peraltro, chiede la creazione di un meccanismo d'urgenza integrato dell'Unione europea per la sicurezza dell'approvvigionamento con un aumento delle riserve minime di petrolio nell'Unione europea, passando dai 90 ai 120 giorni di consumo e la costituzione di riserve di gas minime per almeno 90 giorni di consumo. A tale riguardo deplora che la Commissione non abbia proposto l'aumento e la ripartizione delle riserve di emergenza di petrolio e di gas nel contesto del suo pacchetto integrato sull'energia e il cambiamento climatico.

Riferimenti

Manuel António dos SANTOS (PSE, PT)
Relazione sulle recenti ripercussioni economiche dell'aumento del prezzo del petrolio
Procedura: Iniziativa
Dibattito: 15.2.2007
Votazione: 15.2.2007

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INDUSTRIA

 

Rivedere il sistema di gestione delle frequenze Radio TV

L'uso efficiente dello spettro radio è un fattore chiave per la crescita, la produttività e lo sviluppo dell'industria. Dovrebbe inoltre contribuire alla diversità culturale e linguistica e al pluralismo dei media. E' quanto afferma il Parlamento sollecitando quindi l'adozione di un approccio sostenibile in Europa che promuova la concorrenza e lo sviluppo di nuove tecnologie, impedisca l'accumulo dei diritti relativi alle frequenze e la formazione di monopoli, portando vantaggi ai consumatori.

Approvando la relazione di Fiona HALL (ALDE/ADLE, UK), il Parlamento rileva anzitutto che nell'UE i sistemi per l'attribuzione dello spettro alle parti interessate «presentano disparità nei vari Stati membri» e che tale divergenza «può causare ulteriori ritardi e costi». Ritiene pertanto che l'UE «avrà bisogno di orientamenti per meccanismi decisionali comuni efficienti e reattivi», nonché di un registro europeo con il completamento, l'espansione e l'accessibilità della base dati EFIS. D'altra parte, respinge «il modello unilaterale di mercato per la gestione delle frequenze» e chiede alla Commissione di procedere alla revisione del sistema di gestione delle frequenze, «in modo da consentire la coesistenza di diversi modelli di concessione di licenze» (amministrazione tradizionale, utilizzo senza limiti quantitativi e nuovi approcci basati sul mercato).

I deputati rilevano poi che lo spettro deve «essere gestito in modo flessibile e trasparente», «contribuire alla diversità culturale e linguistica, alla libertà di parola e al pluralismo dei media» e tenere conto delle necessità tecniche, sociali, culturali e politiche di tutti gli Stati membri. Pertanto, l'approccio all'uso delle frequenze adottato sinora deve essere adeguato per far fronte alle esigenze di una società dell'informazione che si evolve rapidamente e deve anche fornire garanzie per la prestazione di un servizio di elevata qualità e la relativa tutela del consumatore. La gestione dello spettro non può quindi basarsi unicamente su criteri del mercato, ma deve tener conto anche di più ampie considerazioni di natura sociale, culturale e politica. Il ricorso a meccanismi di mercato, infatti, deve anche garantire la tutela degli interessi dei consumatori e incoraggiare l'utilizzazione di prodotti e servizi innovativi.

Il Parlamento, d'altra parte, si compiace della proposta della Commissione di adottare un approccio allo spettro basato sul mercato e riconosce che il modello tradizionale continuerà ad applicarsi, «soprattutto laddove sono in gioco importanti interessi pubblici». E' anche dell'avviso che l'introduzione di un approccio in materia di spettro basato sul mercato «sarà quanto più efficace se fondato su un accordo consensuale sostenuto da regolamentatori, operatori e altri attori». Chiede quindi che le proposte della Commissione europea sul meccanismo di gestione e di scambio delle frequenze siano esaminate attentamente e che venga raggiunto un accordo comune per la loro applicazione.

Accoglie con favore anche la proposta della Commissione di adottare modelli per una gestione differenziata dello spettro, compreso il modello senza licenza che offre una maggiore flessibilità consentendo il libero accesso entro determinati limiti tecnici. I deputati ritengono infatti che la messa a punto della giusta combinazione dei diversi tipi di modelli con licenza «contribuirà alla realizzazione degli obiettivi della politica UE». Sottolineano inoltre che la neutralità tecnologica unitamente alla neutralità del servizio «dovrebbero rappresentare i principi fondamentali per promuovere la concorrenza e l'innovazione». D'altra parte, ritengono che la politica audiovisiva, la promozione della diversità culturale e linguistica nonché il pluralismo dei media «possano giustificare eccezioni al principio di neutralità nel settore dei servizi».

D'altra parte, i deputati ritengono che, al di là dell'approccio basato sul mercato, si debba garantire a tutti anche l'accesso al mercato delle frequenze. In tale contesto, reputano che il metodo amministrativo di assegnazione dei diritti di utilizzo dello spettro «potrebbe essere integrato», a livello degli Stati membri, dall'attribuzione di maggiori frequenze a usi non soggetti a licenze e, pertanto, eventualmente comuni. Ma anche dalla possibilità dello scambio di frequenze, a condizione che tale assegnazione «non pregiudichi la continuità e la qualità dei servizi connessi alla sicurezza e all'informazione pubblica». Il fenomeno e le regole di base per lo scambio di frequenze, poi, «andrebbero chiariti».

Il Parlamento sottolinea peraltro che la liberalizzazione dell'utilizzo dello spettro radio «pone vari problemi agli utenti attuali» e sollecita pertanto un chiaro quadro giuridico che offra soluzioni basate sulla concorrenza e definisca, tra l'altro, condizioni di entrata e uscita, il mantenimento dei diritti di utilizzo dello spettro, le responsabilità per quanto riguarda le interferenze nonché i meccanismi per la soluzione delle controversie. D'altra parte, rileva che, «data la rarità della risorsa», dovrebbero essere assegnate adeguate quantità di spettro per far fronte ai bisogni dei consumatori e dei servizi di interesse pubblico e sottolinea la necessità di introdurre una clausola di riassegnazione delle frequenze in caso di mancato rispetto degli impegni assunti all'atto della loro attribuzione.

I deputati, esortano poi gli Stati membri ad appoggiare misure di cooperazione rafforzata tra le autorità responsabili della gestione dello spettro al fine di esaminare i settori in cui l'attribuzione comune dello spettro consentirebbe l'introduzione di nuove tecnologie e servizi e il rafforzamento dei loro scambi di informazioni. Nell'invitare gli Stati membri ad abolire vincoli regolamentari eccessivamente prescrittivi, rilevano inoltre la necessità di prevedere un tempo sufficiente per la transizione e sollecitano pertanto un approccio graduale in questo campo. In tale contesto, sono del parere che occorra tenere presenti le conseguenze per le reti di dimensioni minori – in particolare le reti radio locali – per le quali attualmente non è richiesta alcuna licenza, e che occorra promuovere l'accesso universale alla banda larga, soprattutto nelle zone rurali.

Pur insistendo sulla necessità di garantire la stabilità e la continuità dei servizi di media forniti dalle emittenti, sottolineano però l'importanza di condizioni omogenee per i nuovi soggetti e le nuove tecnologie. Ritengono peraltro che occorra garantire spazio all'innovazione, nell'interesse dei consumatori, delle imprese e, in generale, dell'occupazione.

Il Parlamento sottolinea anche il valore potenziale dello spettro liberato a seguito del passaggio al digitale (dividendo digitale) che potrebbe aumentare la disponibilità diffusa della banda larga accessibile mobile/senza fili, e l'importanza della separazione tra fornitori di infrastrutture e fornitori di servizi di comunicazioni elettroniche, nonché l'importanza di evitare la formazione di monopoli. Concorda poi con la Commissione sul fatto che una parte del dividendo digitale dovrebbe essere destinata all'armonizzazione tecnica a livello europeo.

Al riguardo, propone che, al fine di realizzare un'armonizzazione tecnologica, dovrebbero essere messi a punto standard tecnici minimi comuni per assicurare la coesistenza tecnica ed evitare le interferenze, facendo in particolare attenzione a non pregiudicare l'uso delle bande di frequenza già assegnate e alla soluzione delle dispute transfrontaliere.

Link utili

Comunicazione della Commissione: Un approccio basato sul mercato in materia di gestione dello spettro radioelettronico nell'Unione europea
Comunicazione della Commissione: Spettro radio, una politica strategica per l'Unione europea – seconda relazione annuale
Comunicazione della Commissione: Priorità della politica dell'UE in materia di spettro radio per il passaggio al digitale nel contesto della prossima conferenza regionale delle radiocomunicazioni dell'UIT del 2006 (RRC-06)
Decisione n. 676/2002/CE relativa a un quadro normativo per la politica in materia di spettro radio nella Comunità europea (decisione spettro radio)
Comunicazione della Commissione sul riesame del quadro normativo comunitario per le reti e i servizi di comunicazione elettronica

Riferimenti

Fiona HALL (ALDE/ADLE, UK)
Relazione: Verso una politica europea in materia di spettro radio
Procedura: Iniziativa
Dibattito: 13.2.2007
Votazione: 14.2.2007

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AGRICOLTURA

 

Vino: preparare il settore alla globalizzazione

Il Parlamento detta la linea per una riforma del settore vitivinicolo europeo che premi la qualità e permetta di far fronte alla crescente concorrenza internazionale. Contrario a una politica di espianti, propone una parziale liberalizzazione degli impianti e un nuovo meccanismo di crisi. Si dice favorevole allo zuccheraggio ma anche agli aiuti per il mosto concentrato. Chiede poi una migliore difesa delle indicazioni geografiche e un'incisiva politica di promozione all'estero.

Adottando la relazione di Katerina BATZELI (PSE, EL) con 484 voti favorevoli, 129 contrari e 24 astensioni, il Parlamento afferma anzitutto che la riforma dell'Organizzazione Comune di Mercato (OCM) del vino debba rafforzare il carattere coerente delle politiche, delle misure di equilibrio del mercato, degli interventi strutturali e delle regole di etichettatura e di classificazione dei vini, definendo gli obiettivi dell'OCM e le politiche che possono essere attuate per pervenirvi. Precisa peraltro che questa coerenza globale deve tuttavia basarsi sul principio di sussidiarietà, al fine di «rispettare le specificità esistenti a livello nazionale e regionale». Ma è contraria al trasferimento di stanziamenti dal primo al secondo pilastro della PAC, con un cofinanziamento, attraverso programmi di sviluppo rurale.

Più in particolare, per i deputati è indispensabile promuovere una riforma dell'OCM che si basi sulla semplificazione e l'armonizzazione delle misure legislative, riconoscendo le specificità del settore, sul rafforzamento e il miglioramento della competitività del settore vitivinicolo europeo, sul mantenimento del bilancio comunitario destinato all'OCM e sulla compatibilità del settore vitivinicolo con le politiche della PAC. Inoltre, la riforma dovrebbe assoggettare i viticoltori alle norme di condizionalità ambientale e prevedere un programma di sostegno strutturale per rafforzare la competitività e la sostenibilità del settore, garantendo la sussidiarietà grazie a programmi nazionali di sostegno e di sviluppo attraverso il primo pilastro della PAC.

Occorre poi che siano rafforzati il ruolo e la corresponsabilità delle organizzazioni di produttori e delle altre organizzazioni professionali del settore, e che sia adeguato lo schedario viticolo. Infine, sono necessarie campagne specifiche di promozione per il recupero dei vecchi e l'apertura di nuovi mercati dentro e fuori dall'Unione europea e campagne di informazione dei consumatori per un consumo responsabile e moderato del vino in Europa. La riforma, d'altra parte, dovrà prendere in considerazione il contesto internazionale sempre più competitivo, l'impatto degli accordi e dei negoziati commerciali dell'Unione europea e le prospettive della PAC, e in particolare il suo futuro finanziamento, sul quale prenderanno il via i negoziati nel 2009.

Per conseguire i suoi obiettivi, inoltre, la riforma deve essere attuata progressivamente in due fasi. Nella prima fase (2008-2011), l'obiettivo dovrà essere l'equilibrio, il risanamento e la trasparenza del mercato come pure il sostegno ai produttori e alle regioni viticole. Occorrerà quindi adottare progressivamente misure che abbiano soprattutto un carattere comunitario unitario e preparino il settore vitivinicolo europeo ad un'apertura più aggressiva dei mercati, spostando progressivamente le risorse recuperate dalla distillazione al sostegno, alla competitività e allo sviluppo.

Sì allo zuccheraggio e agli aiuti al mosto concentrato

Secondo i deputati, la questione del mantenimento o soppressione degli aiuti al mosto concentrato e al mosto concentrato rettificato «è strettamente e indissolubilmente collegata alla soppressione o mantenimento della capitalizzazione con saccarosio». Al riguardo, adottando con 466 voti favorevoli, 154 contrari e 6 astensioni un emendamento proposto dal PSE, il Parlamento evidenzia la necessità di fornire aiuti per il mosto e il mosto concentrato rettificato utilizzato per l'arricchimento, ritenendolo necessario «per preservare una pratica enologica tradizionale». Sottolinea anche la necessità di mantenere gli aiuti per il mosto destinato alla produzione di succo d'uva, per non far scomparire un prodotto «importante per il settore e che contribuisce a mantenere l'equilibrio del mercato».

Riguardo allo zuccheraggio, il Parlamento ritiene che esso debba essere autorizzato in tutte le regioni viticole dove è tradizionalmente praticato e in cui non esistono eccedenze strutturali. Sostiene infatti che un divieto di tale pratica porterebbe a una discriminazione nei confronti degli Stati membri «situati in regioni dell'UE in cui la coltivazione della vite è più difficile a causa di condizioni climatiche meno favorevoli». D'altra parte, l'ammissibilità dell'arricchimento potrebbe essere subordinata a determinate condizioni dagli Stati membri, come il controllo delle misure per il miglioramento della qualità (ad esempio il rispetto dei limiti massimi di resa) e alle circostanze climatiche. In caso di arricchimento mediante aggiunta di mosto concentrato, questo dovrebbe provenire dallo stesso bacino di produzione.

Espianto dei vigneti, anche temporaneo

Il Parlamento non concorda con l'approccio della Commissione in materia di espianto. Tale misura, infatti, sarebbe volta a ridurre la produzione e la manodopera utilizzata nel settore «anziché puntare sul controllo della produzione attraverso misure di regolamentazione dell'offerta e della domanda». Teme quindi che «impedirà il rafforzamento auspicato della competitività del settore vitivinicolo». La decisione di abbandonare definitivamente la produzione dovrebbe invece spettare al produttore, mentre ogni Stato membro o regione dovrebbe poter fissare un massimale autorizzato flessibile per l'espianto in ogni regione e scegliere le categorie di vino che avranno la priorità.

D'altra parte, ritiene necessari dei criteri comunitari obiettivi che limitino la possibilità di abbandono definitivo. Tra questi, il Parlamento cita i vigneti situati in zone montane, costiere ed insulari che producono principalmente vini ad indicazione geografica, oppure quelli situati in zone in cui occorre arginare l'erosione dei suoli e la scomparsa della biodiversità o in regioni tradizionali d'importanza storica. Ma anche quelli la cui riduzione eccessiva «pregiudicherebbe l'esistenza di un intero territorio viticolo o di una denominazione di origine controllata (DOC)».

I deputati raccomandano poi che, oltre al regime di abbandono definitivo, possa essere scelto l'espianto temporaneo, lasciando alla discrezionalità di ogni Stato membro la scelta delle modalità. A loro parere, infatti, ciò permetterebbe di assegnare un aiuto finanziario al viticoltore, in quanto il diritto di nuovi impianti viene congelato per diversi anni, al termine dei quali il viticoltore potrà procedere a nuovi impianti, cedere i suoi diritti di impianto o richiedere la trasformazione in abbandono definitivo, se il regime in questione è previsto dallo Stato membro.

Liberalizzazione progressiva dei nuovi impianti

Il Parlamento ritiene che si dovrà seguire una procedura prudente e trasparente di cessione graduale dei nuovi diritti di impianto, «in modo da evitare ripercussioni negative sul mercato derivanti da uno sviluppo incontrollato del potenziale vitivinicolo». I nuovi diritti, è anche precisato, dovrebbero essere destinati principalmente ai giovani agricoltori, alla produzione di vini di qualità e alle aziende che hanno avviato programmi di qualità e di commercializzazione. D'altra parte, prima di avviare la cessione di nuovi diritti di impianto, andrà valutata la situazione degli impianti non legalizzati e/o illegali.

Secondo i deputati, inoltre, per quanto riguarda le zone di produzione con indicazione geografica, può essere utile che le decisioni circa la liberalizzazione vengano prese dalle competenti autorità regionali. Sarebbe così possibile salvaguardare il valore degli investimenti realizzati dai viticoltori nella zona a indicazione geografica, evitare di sminuire il prestigio dell'indicazione geografica in questione e mantenere il controllo della qualità della produzione.

Etichettatura semplice e trasparente

I deputati ritengono essenziale l'etichettatura dei vini dell'Unione europea, sottolineando tuttavia che essa «non dovrebbe essere più complicata dell'etichettatura dei vini provenienti dai paesi terzi». Inoltre, sostengono che le pratiche enologiche non consentite nell'UE dovrebbero figurare chiaramente sull'etichetta delle bevande importate «al fine di proteggere l'immagine del vino».

Protezione delle indicazioni geografiche: promuovere un registro internazionale

Il Parlamento sostiene che l'Unione europea debba perseguire il consolidamento, il riconoscimento e la protezione su scala mondiale dei vini di una determinata provenienza geografica. A tale proposito, chiede alla Commissione di fare «tutto il possibile» per rafforzare la protezione delle indicazioni geografiche, in particolare nel contesto dell'OMC e degli accordi sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (ADPIC), in vista della creazione di un registro multilaterale per i vini e i superalcolici che consentirebbe una più efficace lotta contro la contraffazione e contro ogni forma di abuso delle indicazioni geografiche europee e delle denominazioni tradizionali nei paesi terzi. E' anche sottolineata la necessità di concludere accordi bilaterali con i paesi terzi riguardo al commercio del vino, sulla base del riconoscimento reciproco e della protezione delle indicazioni geografiche.

Una politica europea di promozione più incisiva

Il Parlamento invita la Commissione a dimostrare la volontà di riformare il settore vitivinicolo, soprattutto attraverso «un'incisiva e concreta politica comunitaria di promozione del vino europeo, tramite la previsione di congrui impegni finanziari». Ritiene quindi opportuna la costituzione di un apposito fondo destinato alla promozione dei vini europei attraverso le organizzazioni e organismi professionali e interprofessionali di settore, i consorzi di tutela o le agenzie di sviluppo territoriale pubbliche.

La Commissione inoltre, dovrebbe stabilire linee generali d'azione per la promozione dei vini europei, basate su un consumo moderato e responsabile dei vini. E' poi indispensabile sostenere e finanziare l'informazione dei consumatori in merito alle caratteristiche qualitative del vino prodotto in Europa secondo metodi tradizionali e controllati di produzione vinicola, «in modo da difenderli dai prodotti d'importazione di dubbia qualità e da promuovere il suddetto prodotto europeo sul mercato interno e internazionale».

Politica commerciale esterna ambiziosa per i vini europei

I deputati sottolineano che, per rafforzare la competitività di questo settore sui mercati internazionali, è necessario definire, in stretta concertazione con le organizzazioni rappresentative degli operatori europei, una politica commerciale esterna per i vini europei che sia proattiva e ambiziosa e a cui si coniughino una ridistribuzione delle risorse di bilancio e di strumenti appropriati. Chiedono inoltre alla Commissione di attenuare le conseguenze della riduzione delle sovvenzioni migliorando la disponibilità delle risorse per una diversificazione dei redditi dei produttori di vino e introducendo un accesso qualificato al mercato per i prodotti vinicoli. Il Parlamento auspica poi che il vino sia inserito nell'elenco dei prodotti sensibili dell'OMC e ritiene che la legislazione comunitaria non dovrebbe permettere la vinificazione di mosti importati né la loro miscela con mosti comunitari.

Pratiche enologiche: una lista comunitaria positiva decisa dal Consiglio

In un periodo di negoziati difficili nel quadro dell'OMC come pure degli accordi bilaterali dell'Unione europea sulla protezione dei prodotti alimentari europei, dei prodotti a indicazione geografica, dei prodotti biologici, ecc, i deputati ritengono che spetti al Consiglio, previa consultazione del Parlamento europeo, essere l'organo competente per l'approvazione delle nuove pratiche enologiche.

Sostengono infatti che se tale competenza venisse trasferita alla Commissione, «si metterebbe in pericolo la definizione e la classificazione dei vini di qualità nell'Unione europea». Tali pratiche enologiche, è anche precisato, dovrebbero essere iscritte in una lista positiva comunitaria.

Il Parlamento, d'altra parte, sottolinea che le pratiche vinicole non devono provocare confusione tra i consumatori, dar luogo a adulterazioni e creare situazioni di concorrenza sleale. Ritiene inoltre che il fatto di affidare tutte queste pratiche enologiche all'OIV vada nella giusta direzione, «a condizione che si proceda alla valutazione e all'adozione di tali pratiche sulla base di indagini scientifiche e tecniche», e fermo restando l'obbligo di garantire la sicurezza alimentare e la salute pubblica.

Distillazione e nuovo meccanismo di gestione delle crisi

Il Parlamento ritiene che le proposte della Commissione volte a mantenere la distillazione o a ritirare i sottoprodotti senza finanziamento «non sono pertinenti», mentre le misure proposte relative al ritiro sotto controllo dei sottoprodotti della vinificazione «creerà gravi problemi ambientali nelle grandi regioni produttrici di vino». D'altra parte, i programmi di distillazione dovrebbero essere progressivamente estinti nel corso di un periodo transitorio ragionevole «che consenta ai viticoltori di consolidare o adottare metodi di produzione sostenibile e una produzione vinicola di qualità».

A suo parere è necessario creare un nuovo meccanismo di gestione delle crisi, al quale ricorrere «a fronte di specifiche, serie e reali situazioni di emergenza, individuate secondo rigorosi criteri obiettivi predefiniti a livello comunitario». Andrebbe inoltre soppresso lo stoccaggio pubblico di alcol e sostituita la vendita di alcol proveniente da una distillazione di crisi con l'organizzazione immediata di vendite dirette mediante bandi di gara. D'altra parte, sottolineano l'opportunità di mantenere l'aiuto ai mosti destinati alla trasformazione in succo d'uva.  

Una politica vitivinicola uniforme in tutta l'UE

Il Parlamento sottolinea la necessità di mantenere il bilancio della Comunità e di non trasferire stanziamenti dal primo al secondo pilastro della PAC, «in quanto potrebbe avere come conseguenza la diluizione delle risorse a scapito del settore viticolo». Ciò sarebbe «contrario a qualsiasi logica» e va quindi respinto al fine di poter dotare i pacchetti finanziari nazionali di mezzi finanziari e garantire lo sviluppo sostenibile del settore tramite misure del quadro finanziario nazionale notificate dalla Commissione.

I deputati inoltre esigono che siano accuratamente specificate le misure ammissibili al finanziamento, al fine di garantire che i fondi siano effettivamente destinati al settore e raccomandano la fissazione di condizioni quadro comunitarie che possano essere applicate  a livello nazionale/regionale, anche per quanto riguarda il loro finanziamento attraverso il primo pilastro della PAC. Tali politiche, è precisato, possono consistere fra l'altro in misure per la ristrutturazione delle vigne, in norme ambientali nel quadro di una gestione della qualità, in un meccanismo di gestione delle crisi, nella ricerca sulla produzione e il miglioramento della commercializzazione dei prodotti. Ma anche nella lotta contro le catastrofi naturali, nella promozione e nell'informazione dei consumatori come pure nell'espianto e, in una fase transitoria, nello stoccaggio privato, nelle misure di distillazione e in altri meccanismi di mercato.

Il Parlamento sottolinea poi che la ripartizione delle risorse comunitarie tra i diversi programmi nazionali di sostegno e sviluppo del settore vitivinicolo debba avvenire sulla base di criteri comuni evitando che si creino disparità tra gli Stati membri e le regioni. Suggerisce in proposito di procedere a una ripartizione a priori del bilancio delle dotazioni nazionali sulla base di una relazione percentuale fra produzione e superficie occupata dalla viticoltura in ogni Stato membro, per esempio durante il periodo 2001-2005. Senza però escludere altri metodi quali la ripartizione fondata sugli importi utilizzati da ciascuno Stato membro durante l'attuale OCM del settore vitivinicolo, ovvero l'elaborazione di una formula e/o criterio misto, che tenga conto del dato storico, dell'estensione del vigneto, delle quantità prodotte e commercializzate per ciascuno Stato membro.

Background - la vite e il vino in Europa e in Italia

La viticoltura europea è rappresentata da più di 1,6 milioni di aziende, che coprono 3,4 milioni di ettari, assicurando il 5,4% del valore della produzione agricola dell'Unione e assorbendo il 2,5% delle spese del Fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia (FEAOG). Secondo dati Eurostat, la produzione di vino, nel 2003-04, si aggirava intorno ai 160 milioni di ettolitri. L'Italia si colloca al terzo posto in Europa in termini di superficie (827 mila ettari), dietro la Spagna (1.175 mila ettari) e la Francia (864 mila ettari). Viste le rese all'ettaro, tuttavia, la produzione italiana sale al secondo posto (con circa 44 milioni di ettolitri), dietro alla Francia (46,3 milioni di ettolitri) e davanti alla Spagna (circa 41 milioni di ettolitri).

L'Europa, inoltre, concorre a più del 70% del commercio mondiale di vino. In tale ambito l'Italia si colloca sul più alto gradino del podio con un'incidenza pari al 20%, davanti a Francia e Spagna (rispettivamente 19,8 e 19,1%). Dal 1996 il volume delle importazioni di vino nell’UE-25 è aumentato al ritmo del 10% all'anno ed ha raggiunto quasi 11,8 milioni di ettolitri nel 2005. I vini del Nuovo Mondo si sono conquistati una quota ragguardevole di mercato a scapito dei vini europei. Il volume delle esportazioni di vino comunitario è in continuo aumento dal 1996, ma ad un ritmo ben più lento di quello delle importazioni dal resto del mondo: nel 2005 sono stati importati circa 13,2 milioni di ettolitri.

Nel 2006, secondo elaborazioni di dati Istat realizzati dalla Coldiretti, il vino Made in Italy ha realizzato un boom del 6,4% nel valore delle esportazioni e un successo rilevante negli Stati Uniti (+ 5,7 per cento, primo attore del mercato) e nei nuovi Paesi emergenti come India (+60,5%) e Cina (+141,7%). L'Italia, è il primo esportatore mondiale di vino con un valore di 2,8 miliardi di Euro (+250% rispetto al 1986, anno della frode del metanolo), che ha contribuito a portare il fatturato del settore nello scorso anno a 9 miliardi di Euro (+260% rispetto al 1986). Ciò, secondo la Coldiretti, anche grazie al raddoppio del numero di vini certificati come doc, docg e igt che nel 2006 sono 481 rispetto ai 228 dell'86.

Link utili

Comunicazione della Commissione - Verso un settore vitivinicolo europeo sostenibile

Riferimenti

Katerina BATZELI (PSE, EL)
Relazione sulla riforma dell'organizzazione comune del mercato del settore vitivinicolo
Procedura: Iniziativa
Dibattito: 13.2.2007
Votazione: 15.2.2007

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PAC: nuovo no alla modulazione volontaria

Il Parlamento ha di nuovo respinto la proposta di regolamento sulla modulazione volontaria dei pagamenti diretti. I deputati temono infatti che questa possibilità comporti il rischio di una rinazionalizzazione della politica agricola e possa discriminare gli agricoltori dei diversi Stati membri.

Nel suo accordo del dicembre 2005 sul quadro finanziario per il 2007–2013, il Consiglio europeo ha introdotto la possibilità per gli Stati membri di “modulare” o ridurre fino ad un massimo del 20% le spese di mercato ed i pagamenti diretti maturati nell’ambito del primo pilastro della PAC e di utilizzare gli importi così generati per i propri programmi di sviluppo rurale (secondo pilastro della PAC). Il Consiglio ha poi stabilito che il contributo supplementare della Comunità per lo sviluppo rurale non sarà soggetto né al cofinanziamento nazionale né alle disposizioni relative alla spesa minima per assi contenute nel regolamento sullo sviluppo rurale. La proposta della Commissione precisa in che modo gli Stati membri possono applicare la modulazione volontaria e in che modo le risorse finanziarie generate possano essere utilizzate per lo sviluppo rurale.

Nel corso della sessione plenaria dello scorso novembre, il Parlamento aveva respinto la proposta a grandissima maggioranza (559 voti favorevoli, 64 contrari e 16 astensioni), ma la Commissione non l'aveva ritirata. Durante questa sessione, seguendo il suggerimento della sua commissione per l'agricoltura, il Parlamento si è pronunciato nuovamente contro la proposta con 572 voti favorevoli alla reiezione, 65 contrari e 16 astensioni.

Il relatore, Lutz GOEPEL (PPE/DE, DE), nella motivazione, ha spiegato che i principali motivi per la reiezione della modulazione volontaria sono i seguenti:

-          l'assenza di qualunque valutazione d'impatto malgrado le forti ed evidenti ripercussioni dell'atto giuridico sugli agricoltori,
-          il rischio di discriminazione a carico degli agricoltori all'interno dell'UE, contro il quale la proposta non prevede alcuna disposizione,
-          la rinazionalizzazione surrettizia della politica agricola,
-          le discutibili particolarità della proposta sul piano del bilancio e della politica strutturale (in particolare la rinuncia all'obbligo di cofinanziamento),
-          la mancata associazione del Parlamento alla definizione di un progetto normativo di così vasta portata,
-          il fatto che la proposta sulla modulazione volontaria pregiudichi in larga parte i risultati del controllo dello stato di salute (health-check) del bilancio previsto per il 2008/2009 per il settore agricolo, senza che il Parlamento sia stato associato come partner paritario al processo deliberativo, come invece previsto nell'accordo interistituzionale sulle prospettive finanziarie.

«La palla è ora nel campo della Commissione e del Consiglio», ha commentato il presidente della commissione per l'agricoltura Neil PARISH (PPE/DE, UK) al termine del voto.

La vigilia, nel corso del dibattito in Aula, la commissaria Mariann FISCHER BOEL aveva ammesso di comprendere le preoccupazioni del Parlamento europeo, sostenendo che la Commissione «resta aperta ai suggerimenti realizzabili che potrebbero concludersi con un compromesso accettabile tra il Parlamento e il Consiglio». Il relatore, da parte sua, si era lamentato che il Consiglio «non prende sul serio» il Parlamento, ignorandolo. Ritenendo ciò «intollerabile», ha quindi affermato che il Parlamento continuerà ad insistere finché il Consiglio e la Commissione non faranno delle proposte concrete «che permettano di servire la causa degli agricoltori europei».

I deputati, durante il dibattito, hanno anche respinto l'accusa di Commissione e Consiglio secondo cui il Parlamento avrebbe preso in ostaggio i programmi nazionali degli Stati membri ponendo in riserva il 20% dei crediti per lo sviluppo rurale nel bilancio 2007. Hanno infatti ricordato che sono stati i Capi di Stato e di governo ad aver ridotto i fondi per il settore nel quadro dell'accordo sulle prospettive finanziarie.

Link utili

Proposta della Commissione

Riferimenti

Lutz GOEPEL (PPE/DE, DE)
Seconda relazione sulla proposta di regolamento del Consiglio recante norme per la modulazione volontaria dei pagamenti diretti, di cui al regolamento (CE) n. 1782/2003 che stabilisce norme comuni relative ai regimi di sostegno diretto nell’ambito della politica agricola comune e istituisce taluni regimi di sostegno a favore degli agricoltori, e recante modifica del regolamento (CE) n. 1290/2005
Procedura: Consultazione legislativa
Dibattito: 13.2.2007
Votazione: 14.2.2007

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DIRITTI DELLE DONNE/PARI OPPORTUNITÀ


Donne in Turchia: accelerare le riforme e più impegno contro la violenza

Malgrado i progressi compiuti, alla Turchia resta ancora molto da fare per garantire i diritti delle donne. E' quanto sostiene il Parlamento, ricordando che il rispetto di tali diritti è condizione essenziale per l'adesione all'UE. I deputati chiedono punizioni severe contro i delitti d'onore, i matrimoni forzati e la poligamia e sollecitano misure volte a sanare i problemi delle donne legati all'analfabetismo, alla scarsa presenza in politica e alla discriminazione sul mercato del lavoro.

Adottando la relazione di Emine BOZKURT (PSE, NL) con 522 voti favorevoli, 15 contrari e 53 astensioni, il Parlamento sottolinea anzitutto che il rispetto dei diritti umani, inclusi quelli delle donne, costituisce una conditio sine qua non per l'adesione all'Unione europea e invita la Commissione a porre il tema dei diritti della donna al centro dei negoziati con la Turchia. Pur compiacendosi del fatto che sia stata avviata la fase attiva dei negoziati di adesione, deplora tuttavia il rallentamento del processo di riforma registrato in Turchia nel corso dell'ultimo anno e il persistere di problemi riguardo ai diritti delle donne. Rileva, infatti, che il quadro giuridico in materia di diritti delle donne è stato in generale soddisfacente, ma i deputati ne ritengono «imperfetta» l'attuazione. Rinnova pertanto il proprio invito al governo turco ad accelerare l'attuazione della nuova legislazione sui diritti delle donne al fine di assicurare «che essa vada assolutamente di pari passo con quanto previsto dall'acquis comunitario e venga applicata in modo efficace nella realtà pratica».

Constatando poi che, a tutt'oggi, mancano dati accurati sulla situazione della donna in Turchia, i deputati invitano il governo turco a fornire dati specifici e affidabili sul tasso di analfabetismo tra le donne, sulla parità di accesso delle donne all'istruzione, sui problemi connessi alla partecipazione delle stesse alla forza lavoro, sulla violenza nei loro confronti, sui delitti d'onore e sui matrimoni forzati. Chiedono inoltre alla Commissione di elaborare, nelle sue relazioni sull'andamento delle riforme destinate al Consiglio europeo, chiari orientamenti e precisi obiettivi a breve, medio e lungo termine in materia di diritti delle donne.

Il Parlamento, d'altra parte, nell'accogliere con soddisfazione l'istituzione in Turchia di un Comitato consultivo sullo status delle donne, chiede la parità di trattamento di tutte le organizzazioni non governative (ONG), cioè anche delle organizzazioni femminili libere ed autonome, e sollecita una cooperazione più strutturata e un coordinamento più efficace tra il ministero competente e le ONG. Invita poi il governo turco a garantire che tutte le donne, «a prescindere della loro lingua, razza, appartenenza etnica, colore della pelle, opinione politica, credo o religione» partecipino programmi in materia di diritti delle donne;

Contemporaneamente, tuttavia, i deputati deplorano il fatto che in alcune zone sud-orientali della Turchia le bambine non vengano registrate alla nascita, il che «impedisce di contrastare i matrimoni coatti e i delitti d'onore». Esortano quindi le autorità turche a continuare a adottare tutte le misure necessarie a garantire la registrazione alla nascita di tutti i bambini turchi e rilevano che il governo turco dovrebbe mantenere e, ove necessario, istituire un'anagrafe nazionale dei matrimoni contratti legalmente. Inoltre, sottolineano con preoccupazione l'applicazione soltanto parziale della legge sulla protezione della famiglia e, di conseguenza, invitano le autorità turche a procedere senza ritardi alla sua messa in atto corretta ed efficace, al fine di contribuire a tutelare la posizione e i diritti della donna in seno alla famiglia.

Anche perché il Parlamento constata che la violenza contro le donne rappresenta a tutt'oggi un problema. Rileva quindi la necessità di indurre i giudici ad applicare la nuova legislazione per punire severamente la violenza in generale e i delitti "d'onore", i matrimoni coatti e la poligamia in particolare, come pure l'importanza di proteggere i testimoni. Occorre pertanto applicare e interpretare in modo corretto ed efficace le disposizioni legislative sui delitti d'onore, garantendo che i reati contro le donne «non possano usufruire di alcuna riduzione della pena o di attenuanti». La relazione, inoltre, evidenzia l'esigenza di indagini sistematiche e di sanzioni efficaci e, dunque, l'importanza di formare la polizia e le autorità giudiziarie alle tematiche dell'uguaglianza di genere e della lotta alla violenza.

Nel sottolineare poi l'importanza di proteggere i testimoni, sollecita le istituzioni pubbliche (magistratura, amministrazione, polizia, sistemi sanitari) a fornire alle donne vittime di violenza in Turchia tutta la protezione necessaria. In proposito, il Parlamento chiede che, in caso di mancata tutela delle vittime e di mancata prestazione di assistenza, «sia avviata un'indagine giudiziaria a cura delle istituzioni pubbliche e siano compiuti sforzi in vista dell'adozione di misure disciplinari nei confronti dei responsabili». Ma alle donne, oltre alla protezione, occorre garantire assistenza e consulenza psicologica. Il governo turco è quindi invitato a garantire l'efficienza, la sicurezza e la disponibilità di un sufficiente numero dei rifugi per le necessità delle donne ed a migliorarne il livello strutturale e di organico.

Il Parlamento rileva poi che il livello di partecipazione politica femminile in Turchia è «eccessivamente scarso» e sottolinea il fatto che, talvolta, il modo migliore per ovviare alla discriminazione nei confronti delle donne consiste «nell'introdurre misure temporanee di discriminazione positiva». Tuttavia - con 331 favorevoli, 308 contrari e 14 astensioni - ha respinto la proposta di adottare un sistema di quote obbligatorie, limitandosi a suggerire l'adozione di misure intese a garantire la rappresentanza femminile nelle liste elettorali. Invita inoltre i partiti politici turchi a dotarsi di regole interne che garantiscano la presenza delle donne nei loro organi dirigenti a tutti i livelli ed esprime «profondo rammarico» per il fatto che a tutt'oggi non sia stata istituita, in seno al parlamento turco, una commissione permanente sui diritti della donna e sull'uguaglianza di genere.

Esprimendo preoccupazione riguardo alla continua vulnerabilità delle donne alle prassi discriminatorie, i deputati invitano inoltre il governo turco a adoperarsi per garantire parità di accesso a uomini e donne all'istruzione e al mercato del lavoro. A tale proposito, chiedono l'adozione di misure nel settore dell'istruzione intese a mantenere un sistema di incentivi volto ad evitare che le ragazze abbandonino la scuola, o perché «non riescono a frequentare le lezioni o perché ostacolate dalle loro famiglie o per difficoltà logistiche».

La bassa scolarizzazione, per i deputati, comporta anche una percentuale ridotta di partecipazione delle donne al mercato del lavoro (al di sotto del 25%, contro una media UE del 55%), tant'è che il tasso di occupazione femminile è sceso a circa il 20%, a fronte di un aumento della partecipazione delle donne al settore dell'economia informale. A tale risultato contribuiscono anche «la mancanza di un sistema istituzionalizzato, generalizzato, accessibile e abbordabile di infrastrutture per la cura dell'infanzia, la necessità di occuparsi di familiari anziani e disabili e la divisione del lavoro in base al sesso nella società». Il Parlamento sottolinea quindi la necessità di conformarsi all'acquis comunitario nel settore delle pari opportunità, per quanto concerne il congedo parentale, la parità di retribuzione, la parità di accesso al lavoro e i regimi statali e professionali di previdenza sociale. Invita, infine, il governo turco a fornire dati accurati sulla discriminazione nei confronti delle donne, «tra cui la possibilità per le donne che indossano il copricapo di accedere al mercato del lavoro».

Link utili

Relazione sui progressi compiuti dalla Turchia in vista dell'adesione
Risoluzione del Parlamento europeo sui progressi compiuti dalla Turchia in vista dell'adesione (27 settembre 2006)

Riferimenti

Emine BOZKURT (PSE, NL)
Relazione sul ruolo delle donne nella vita sociale, economica e politica della Turchia
Procedura: Iniziativa
Dibattito: 12.2.2007
Votazione: 13.2.2007

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PESCA


Maglie più strette contro la pesca illegale

La pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata richiede una cooperazione a tutti i livelli per combattere il degrado ambientale ed il depauperamento delle risorse ittiche. E' quanto sostiene il Parlamento chiedendo una migliore attuazione delle norme comunitarie, il rafforzamento della dissuasione e la creazione di una lista nera UE delle navi "pirata". I deputati chiedono anche un sistema di etichettatura ecologica che migliori la tracciabilità del pesce "dalla rete al piatto".

Il Parlamento, con l'adozione della relazione di Marie-Hélène AUBERT (Verdi/ALE, FR), considera che la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata (INN) è un grave problema in tutto il mondo e causa notevole degrado ambientale. Invita pertanto la Commissione e gli Stati membri a moltiplicare i loro sforzi per attuare le 15 azioni comprese nel piano d'azione dell'UE sulla pesca INN concordato nel 2002. Ribadisce inoltre che tale pesca contribuisce al depauperamento delle risorse - commerciali e non commerciali - di pesce e di altre specie e crea difficoltà alle comunità che dipendono dalla pesca per il proprio sostentamento, nei paesi sviluppati come in quelli in via di sviluppo.

Il Parlamento esorta una piena ed efficace attuazione delle disposizioni della PCP (Politica comune della pesca) e delle altre normative comunitarie per ridurre la pesca illegale da parte di pescherecci comunitari e in acque comunitarie e chiede che vengano impediti lo sbarco e la commercializzazione di pesce catturato illegalmente all'esterno dell'Unione. I deputati ritengono anche necessario migliorare gli aiuti reciproci e la collaborazione tra gli Stati membri al fine di rafforzare i meccanismi dissuasivi - come la sorveglianza, i controlli e le sanzioni. Occorre poi che la Commissione proponga delle misure che consentano di prevenire infrazioni e di applicare meglio la regolamentazione esistente.

Poiché la scarsa tracciabilità del pesce comporta confusione sulla sua origine, rendendo difficile o impossibile distinguere tra catture legali e illegali, il Parlamento chiede la promozione di misure di regolamentazione commerciale che permettano di individuare l'origine del pesce. Invita inoltre la Commissione a presentare, entro il giugno 2007, una proposta sull'etichettatura ecologica che contribuirebbe in modo significativo ad escludere il frutto della pesca illegale dal mercato dell'Unione, migliorando la piena tracciabilità del pesce lungo tutta la catena di conservazione, «dalla rete al piatto». L'Esecutivo dovrebbe inoltre presentare uno studio sulle tariffe e le norme d'origine, contenente un esame dei modi in cui questi strumenti possono essere utilizzati per incoraggiare i paesi terzi a garantire che le loro imbarcazioni si attengano alle misure di gestione internazionali.

Tra le misure da adottare, la relazione invita la Commissione a creare un registro comunitario delle navi che praticano la pesca INN, in cui siano elencate le navi figuranti nelle liste nere delle ORP (Organizzazioni regionali di pesca). Dette liste nere dovranno essere pubblicate e incorporate direttamente nel diritto comunitario e alle imbarcazioni battenti bandiera di paesi non comunitari presenti in dette liste dovrà essere vietato entrare nei porti comunitari per qualunque scopo, eccetto in casi di forza maggiore o per ragioni umanitarie. Tale registro agevolerà lo scambio di informazioni tra gli Stati membri e renderà possibile seguire gli eventuali cambi di bandiera delle navi. Sanzioni minime comuni per le violazioni gravi devono essere applicabili in tutti gli Stati membri e devono essere sufficientemente dissuasive.

I deputati invitano inoltre la Commissione e gli Stati membri a vigilare affinché le persone fisiche e giuridiche coinvolte in attività di pesca illegale non ricevano alcun tipo di aiuto o sovvenzione proveniente sia dai Fondi comunitari sia da aiuti nazionali. L'Esecutivo, d'altra parte, dovrebbe realizzare e presentare uno studio sull'osservanza delle normative comunitarie in materia di lavoro, sanità e sicurezza nonché sul rispetto dei diritti sociali dei lavoratori di questo tipo di navi e sulle loro condizioni di vita e di lavoro a bordo.

Per i paesi in via di sviluppo viene sollecitato un aiuto volto a eradicare tali pratiche, contribuendo al potenziamento degli scarsi mezzi di cui dispongono mediante azioni concrete da includere nei nuovi accordi di partenariato. Il Parlamento, infine, approva l'istituzione di una nuova agenzia di controllo che possa svolgere un ruolo importante nella lotta contro la pesca illegale ed invita la Commissione a prendere in considerazione l'idea di istituire una guardia costiera UE.

Link utili

Comunicazione della Commissione - Piano d'azione comunitario volto a eradicare la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata
Comunicazione della Commissione - Verso la futura politica marittima dell’Unione: Oceani e mari nella visione europea
Sito tematico della Commissione - Combattere la pesca illegale
Sito tematico della Commissione - Politica comune della pesca
Risoluzione del Parlamento sull'avvio di un dibattito concernente un approccio comunitario in materia di marchio di qualità ecologica per i prodotti della pesca

Riferimenti

Marie-Hélène AUBERT (Verdi/ALE, FR)
Relazione sull'attuazione del piano d'azione dell'Unione europea contro la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata
Procedura: Iniziativa
Dibattito: 14.2.2007
Votazione: 15.2.2007

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ISTITUZIONI


Interventi di un minuto

Un deputato finlandese ha sollevato in Aula il problema delle violenze negli stadi in Italia e in Europa, chiedendo tolleranza zero. Una deputata slovena ha invece chiesto una migliore tutela della minoranza slovena in Italia, dopo l'incendio di un asilo a Trieste.

Dopo aver ricordato che, in Italia, dagli anni '60 vi sono stati circa 40 morti per incidenti legati al gioco del calcio, e facendo riferimento all'uccisione del poliziotto avvenuta a Catania la settimana scorsa, Lasse LEHTINEN (PSE, FI) ha sottolineato che il problema della violenza dentro e fuori gli stadi «non è solo italiano», bensì paneuropeo. Tutte le parti interessate, ha pertanto sostenuto, devono unirsi per contrastare questo fenomeno, attuando il principio della "tolleranza zero" contro la cultura della violenza. Per il deputato, inoltre, oltre alla repressione, occorre risalire alle radici del problema.

Ljudmila NOVAK (PPE/DE, SI), dopo aver sottolineato che un asilo sloveno di Trieste è stato incendiato a fine gennaio, ha ricordato che una scuola elementare aveva subito la stessa sorte sei anni orsono e che, da allora, non è ancora stata ricostruita. Auspicando che i responsabili siano portati al più presto di fronte alla giustizia, la deputata ha affermato che le autorità italiane, nonostante le promesse, «non hanno ancora attuato una reale difesa della minoranza slovena».

Altri documenti approvati

I testi di tutti i documenti approvati sono reperibili sul sito del Parlamento europeo.

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Codici delle procedure parlamentari

Serie A

Relazioni e raccomandazioni

Serie B

Risoluzioni e interrogazioni orali

Serie C

Documenti di altre Istituzioni

*

Procedura di consultazione

**I

Procedura di cooperazione, prima lettura

**II

Procedura di cooperazione, seconda lettura

***

Parere conforme

***I

Procedura di codecisione, prima lettura

***II

Procedura di codecisione, seconda lettura

***III

Procedura di codecisione, terza lettura

Abbreviazioni

BE

Belgio

IT

Italia

PL

Polonia

CZ

Repubblica ceca

CY

Cipro

PT

Portogallo

DK

Danimarca

LV

Lettonia

SI

Slovenia

DE

Germania

LT

Lituania

SK

Slovacchia

EE

Estonia

LU

Lussemburgo

FI

Finlandia

EL

Grecia

HU

Ungheria

SE

Svezia

ES

Spagna

MT

Malta

UK

Regno Unito

FR

Francia

NL

Olanda

BG

Bulgaria

IE

Irlanda

AT

Austria

RO

Romania

Gruppi politici

PPE/DE

Gruppo del Partito popolare europeo (Democratici-cristiani) e dei Democratici europei

PSE

Gruppo socialista al Parlamento europeo

ALDE/ADLE

Gruppo dell'Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l'Europa

Verdi/ALE

Gruppo Verde/Alleanza libera europea

GUE/NGL

Gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica

IND/DEM

Gruppo Indipendenza/Democrazia

UEN

Gruppo "Unione per l'Europa delle nazioni"

ITS

Gruppo Identità, Tradizione  Sovranità

NI

Non iscritti

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Deputati al Parlamento europeo

 Situazione al 15.2.2007
 

 

PPE/DE

PSE

ALDE/ADLE

UEN

Verdi/ALE

GUE/NGL

IND/DEM

ITS

NI

Totale

BG

4

6

7

 

 

 

 

1

 

18

BE

6

7

6

 

2

 

 

3

 

24

CZ

14

2

 

 

 

6

1

 

1

24

DK

1

5

4

1

1

1

1

 

 

14

DE

49

23

7

 

13

7

 

 

 

99

EE

1

3

2

 

 

 

 

 

 

6

EL

11

8

 

 

 

4

1

 

 

24

ES

24

24

2

 

3

1

 

 

 

54

FR

17

31

11

 

6

3

3

7

 

78

IE

5

1

1

4

 

1

1

 

 

13

IT

24

15

12

13

2

7

 

2

3

78

CY

3

 

1

 

 

2

 

 

 

6

LV

3

 

1

4

1

 

 

 

 

9

LT

2

2

7

2

 

 

 

 

 

13

LU

3

1

1

 

1

 

 

 

 

6

HU

13

9

2

 

 

 

 

 

 

24

MT

2

3

 

 

 

 

 

 

 

5

NL

7

7

5

 

4

2

2

 

 

27

AT

6

7

1

 

2

 

 

1

1

18

PL

15

9

5

20

 

 

2

 

3

54

PT

9

12

 

 

 

3

 

 

 

24

RO

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12

9

 

 

 

 

5

 

35

SI

4

1

2

 

 

 

 

 

 

7

SK

8

3

 

 

 

 

 

 

3

14

FI

4

3

5

 

1

1

 

 

 

14

SE

6

5

3

 

1

2

2

 

 

19

UK

27

19

12

 

5

1

10

1

3

78

Totale

277

218

106

44

42

41

23

20

14

785

 

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