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RESOCONTO

 

24 aprile 2009

Strasburgo

 

 

 


Un quadro giuridico chiaro per il profiling


Il Parlamento raccomanda al Consiglio di istituire un quadro giuridico che chiarisca in cosa consistono le pratiche di definizione di profili, limitandone il ricorso e introducendo salvaguardie per evitare discriminazioni. Chiede di vietare la raccolta di dati su individui solo in ragione della loro origine razziale o etnica, convinzione religiosa, orientamento sessuale o opinioni politiche, e di garantire mezzi di ricorso efficaci e accessibili contro eventuali violazioni.

 

Sempre più spesso gli Stati membri ricorrono alle nuove tecnologie utilizzando programmi e sistemi che comportano la raccolta, l'uso, la conservazione e lo scambio di informazioni relative ai singoli, per contrastare il terrorismo o affrontare altre minacce nella lotta alla criminalità. La pratica di definire profili è una tecnica investigativa, spesso utilizzata nel settore commerciale, ma sfruttata con sempre maggior frequenza per l'individuazione e la prevenzione dei reati e nel controllo delle frontiere. Tale prassi, raccoglie informazioni sulle persone come base per cercare di identificare, e possibilmente applicare misure restrittive nei confronti di chi potrebbe essere un criminale o un sospetto terrorista.

 

Approvando con 372 voti favorevoli, 12 contrari e 7 astensioni la relazione di Sarah LUDFORD (ALDE/ADLE, UK), il Parlamento nota che «la definizione di profili può costituire uno strumento d'indagine legittimo, laddove essi siano basati su informazioni specifiche, affidabili e puntuali piuttosto che su generalizzazioni non comprovate basate su stereotipi». Aggiunge tuttavia che in assenza di adeguate restrizioni giuridiche e garanzie sull'uso dei dati relativi a origine etnica, razza, religione, nazionalità e appartenenza politica, vi è il rischio che tale prassi dia luogo a pratiche discriminatorie. Merita inoltre un esame approfondito, dal momento che si discosta in modo controverso dalla regola generale per cui le decisioni relative all'applicazione della legge vanno adottate sulla base della condotta di una persona. Formula quindi una serie di raccomandazioni al Consiglio.

 

I deputati rilevano poi, che «a fronte della diffusione della pratica di definizione dei profili, viene rivolta un'attenzione insufficiente alla valutazione della sua efficacia e allo sviluppo e all'applicazione di tutele giuridiche, che assicurino il rispetto della vita privata ed evitino discriminazioni». Raccomandano quindi al Consiglio di istituire un quadro giuridico che stabilisca chiaramente in che cosa consistono le pratiche di definizione di profili, allo scopo di fissare norme sulla legittimità dell'utilizzo e su limitazioni dello stesso, nonché di introdurre salvaguardie per tutelare i diritti dei singoli e meccanismi di responsabilizzazione.
 

A tale proposito, sostengono che qualunque elaborazione di dati personali per finalità di applicazione della legge e di lotta al terrorismo «debba essere basata su norme giuridiche pubblicate e chiare, specifiche e vincolanti, nonché soggette a una vigilanza rigorosa ed efficace da parte di autorità indipendenti, oltre che a severe sanzioni in caso di violazione». In particolare, affermano che «la raccolta e la conservazione di tali dati e l'utilizzo di tecniche per la definizione di profili in merito a persone non sospettate di un reato o di una minaccia specifici, dovrebbero essere sottoposti a test di "necessità" e "proporzionalità" particolarmente rigorosi». La prassi in causa e l'estrapolazione dei dati, «rendono infatti più labile il confine tra le legittime attività di sorveglianza mirata e i problematici controlli di massa» dando così luogo a una potenziale violazione della privacy.

 

Il Parlamento suggerisce al Consiglio di vietare la raccolta di dati su individui esclusivamente sulla base del fatto che abbiano una particolare origine razziale o etnica, convinzione religiosa, orientamento sessuale, opinioni politiche o che siano membri di particolari movimenti o organizzazioni non proibite dalla legge. L'uso dell'etnia, dell'origine nazionale o della religione quali fattori nelle indagini di contrasto, notano infatti i deputati, «non è vietato finché tale ricorso è conforme agli standard in materia di non discriminazione», ma deve superare le verifiche di efficacia, necessità e proporzionalità, se si vuole realizzare una differenza di trattamento legittimo che non costituisca discriminazione. D'altro canto, pur ritenendo le statistiche basate sull'etnia uno strumento essenziale per identificare le azioni di contrasto, notano che «esiste il rischio di sottoporre persone innocenti a provvedimenti arbitrari quali fermi, interrogatori, restrizioni della libertà di movimento » a causa dell'aggiunta di determinate informazioni ai loro profili da parte dei funzionari di uno Stato.

 

Secondo i deputati, vi dovrebbero essere solide salvaguardie stabilite dalla legge, che assicurino un controllo giurisdizionale e parlamentare adeguato delle attività della polizia e dei servizi segreti, comprese le attività di controterrorismo. Inoltre, l'accesso ai fascicoli della polizia e dei servizi segreti andrebbe consentito soltanto caso per caso, per finalità specifiche, e dovrebbe essere soggetto a controllo giurisdizionale negli Stati membri. Allo stesso modo, il ricorso a computer, da parte di enti pubblici o privati, per prendere decisioni sui singoli senza una valutazione umana, andrebbe consentito soltanto in via eccezionale e associato a rigorose salvaguardie.

 

Giudicando inoltre che la conservazione di massa di dati per motivi precauzionali rappresenti «una misura sproporzionata» rispetto quanto strettamente necessario per un'efficace azione di contrasto del terrorismo, suggeriscono di fissare un limite di tempo per la conservazione delle informazioni personali. I deputati affermano poi la necessità di garantire forme di tutela e possibilità di ricorso contro l'utilizzo discriminatorio di strumenti di applicazione della legge, sostenendo che, «in considerazione delle possibili conseguenze per i singoli, i mezzi di ricorso dovrebbero essere efficaci e accessibili, con informazioni chiare circa le procedure applicabili».

 

Il Parlamento suggerisce poi di stabilire una serie di criteri che consentano di verificare l'efficacia, la legittimità e la coerenza con i valori dell'Unione europea di tutte le pratiche di definizione di profili. Afferma che le disposizioni di legge sull'uso della definizione dei profili, andrebbero riviste onde accertare che soddisfino i requisiti giuridici fissati dal diritto comunitario e dai trattati internazionali e nel caso sia necessario, procedere ad una riforma legislativa a livello comunitario, per introdurre norme vincolanti volte a evitare violazioni dei diritti fondamentali.

 

Esorta infine il Consiglio a commissionare uno studio, basato sul quadro normativo pertinente e sulle pratiche in vigore, da condursi sotto la responsabilità della Commissione, in collaborazione con l'Agenzia per i diritti fondamentali e, se del caso, con il Garante europeo della protezione dei dati, sull'applicazione reale e potenziale delle tecniche di definizione di profili, sulla loro efficacia nell'identificazione dei sospetti e sulla compatibilità di tali pratiche con le libertà civili, i diritti umani e le norme sulla privacy.

 

 

Riferimenti

 

Sarah LUDFORD (ALDE/ADLE, UK)

Relazione contenente una proposta di raccomandazione del Parlamento europeo destinata al Consiglio sul problema di definire un profilo, in particolare sulla base dell'origine etnica o della razza, nelle operazioni antiterrorismo, di applicazione della legge, di controllo dell'immigrazione, dei servizi doganali e dei controlli alle frontiere

Procedura: Iniziativa

Dibattito: 23.4.2009

Votazione: 24.4.2009

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Nanotecnologie: più sicurezza, ricerca e informazione


Occorre aumentare i fondi per la ricerca sullo sviluppo e l'utilizzo sicuri dei nanomateriali, nonché proporre una loro definizione scientifica. È quanto sostiene il Parlamento chiedendo un quadro comune che affronti le applicazioni esistenti e prevedibili di tali tecnologie e la natura dei rischi per l'ambiente e la salute (specie sul luogo di lavoro). Auspica poi un inventario dei nanomateriali presenti nell'UE e l'introduzione di una rete europea che vigili sulle nanotecnologie.

 

L’utilizzo dei nanomateriali e delle nanotecnologie promette importanti progressi con molteplici vantaggi in numerose applicazioni destinate ai consumatori, ai pazienti e all'ambiente. Tuttavia nonostante l'istituzione di una strategia europea precisa in materia di nanotecnologie e la conseguente assegnazione di circa 3,5 milioni di euro destinati alla ricerca, l'Unione europea è ancora in ritardo su questo campo.

 

Approvando con 362 voti favorevoli, 4 contrari e 5 astenuti, una risoluzione sostenuta da PPE/DE, PSE, ALDE, GUE/NGL e Verdi ALE (tra cui il relatore originario, Carl SCHLYTER), il Parlamento rileva che «l'attuale discussione sui nanomateriali è caratterizzata da una significativa mancanza di conoscenze e informazioni, che sono fonte di dissensi, a partire dal livello delle definizioni». Ad oggi, infatti, non esiste una serie completa di enunciazioni armonizzate, benché varie norme internazionali siano già disponibili o in fase di elaborazione. A questo proposito chiede l'introduzione nella legislazione europea, di una definizione scientifica esaustiva di nanomateriale.

 

I deputati lamentano poi una mancanza di chiarezza e di informazioni in merito all'attuale utilizzo dei nanomateriali. Riferiscono infatti che è in corso un importante dibattito in merito alla possibilità di valutare la sicurezza di tali tecnologie, e che i comitati scientifici e le agenzie dell'Unione europea rilevano gravi carenze, non soltanto in termini di dati cruciali, ma anche nei metodi per il loro ottenimento. Riportano a tale proposito le valutazioni del Comitato scientifico dei rischi sanitari emergenti e recentemente individuati che, avendo identificato per alcuni nanomateriali pericoli specifici per la salute ed effetti tossici su organismi ambientali, nonché una generale carenza di dati qualitativamente validi sull'esposizione, tanto per gli esseri umani che per l'ambiente, ritiene che occorre inoltre «approfondire, convalidare e standardizzare ulteriormente le conoscenze dei metodi di valutazione dell'esposizione e di identificazione dei pericoli».
 

Rilevando che gli attuali finanziamenti destinati agli aspetti ambientali, sanitari e della sicurezza dei nanomateriali sono decisamente insufficienti, e che i criteri di ammissibilità al finanziamento dei progetti di ricerca per misurarne la sicurezza, non promuovono adeguatamente lo sviluppo di metodi scientifici di valutazione, i deputati sostengono la necessità di incrementare le risorse a favore della ricerca sullo sviluppo e l'utilizzo sicuri dei nanomateriali.

 

Secondo il Parlamento, l'impiego di tali tecnologie dovrebbe rispondere alle reali esigenze dei cittadini e i loro benefici dovrebbero essere meglio realizzati nell'ambito di un quadro regolamentare e politico che «affronti espressamente le applicazioni esistenti e prevedibili dei nanomateriali», nonché la natura stessa dei potenziali problemi di sicurezza ad essi legati. Chiede quindi la messa a punto di protocolli di sperimentazione adeguati e di norme metrologiche per valutare il rischio di esposizione dei lavoratori, dei consumatori e dell'ambiente ai nanomateriali durante tutto il loro ciclo di vita. Ritenendo inoltre che il concetto di "approccio sicuro, responsabile e integrato" alle nanotecnologie sostenuto dall'UE «sia compromesso dalla mancanza di informazioni sull'impiego e sulla sicurezza dei nanomateriali già presenti sul mercato», il Parlamento invita la Commissione, a rivedere entro due anni l'intera normativa in materia, al fine di garantire la sicurezza, per tutte le applicazioni di tali tecnologie nei prodotti aventi un potenziale impatto sulla salute, l'ambiente o la sicurezza nel corso del loro ciclo di vita.

 

Per i deputati, i nanomateriali dovrebbero essere disciplinati da un quadro legislativo articolato, differenziato e flessibile basato sui principi della precauzione e della responsabilità del fabbricante e sul principio "chi inquina paga", al fine di garantire la produzione, l'impiego e lo smaltimento sicuri prima dell'immissione sul mercato.

 

Rilevano peraltro che tali tecnologie presentano sfide importanti per quanto concerne la salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro, dal momento che lungo la catena di produzione molti lavoratori sono esposti a tali materiali senza sapere se le procedure di sicurezza attuate e le misure di protezione adottate, siano adeguate ed efficaci. Invitano inoltre la Commissione a valutare la necessità di rivedere la legislazione in materia di protezione dei lavoratori e di valutare l'ipotesi che tali prodotti siano utilizzati esclusivamente in sistemi chiusi sino a quando non sarà possibile rilevare e controllare l'esposizione in modo affidabile. Sottolineano anche che occorre «una chiara attribuzione delle responsabilità derivanti dalle nanotecnologie e dall’uso dei nanomateriali a carico di produttori e datori di lavoro».

 

Ricordando inoltre l'importanza di garantire la conformità e il pieno rispetto della normativa comunitaria sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori, in sede di esame dei nanomateriali, i deputati chiedono alla Commissione di compilare entro il giugno 2011 un inventario dei diversi tipi e impieghi dei nanomateriali sul mercato europeo, e di renderlo poi pubblico. Reiterano poi la richiesta di fornire informazioni ai consumatori sull'uso di tali tecnologie nei prodotti di consumo, ritenendo che tutti gli ingredienti presenti sottoforma di nanomateriali nelle sostanze, miscele o articoli debbano essere chiaramente indicati nell'etichettatura del prodotto. Domandano inoltre agli Stati membri di proporre quanto prima l'introduzione di una rete europea permanente e indipendente, incaricata di vigilare sulle nanotecnologie e i nanomateriali, nonché un programma di ricerca di base e applicato relativo alla metodologia di detta vigilanza.

 

Auspicano infine, e in particolar modo per il settore della medicina, lo sviluppo di orientamenti etici rigorosi come il rispetto della vita privata, il consenso libero e informato, i limiti fissati agli interventi non terapeutici sul corpo umano, pur incoraggiando l'applicazione di tecnologie d'avanguardia (come la visualizzazione e la diagnostica molecolare), che possono avere «ricadute spettacolari» per la diagnosi precoce e il trattamento efficace di numerose patologie.

Riferimenti

 

Carl SCHLYTER (Verdi/ALE, SE)

Relazione sugli aspetti normativi in tema di nanomateriali

Procedura: Iniziativa

Relazione senza dibattito

Votazione: 24.4.2009

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Ecodesign per tutti i prodotti connessi all'energia


Il Parlamento ha adottato una direttiva che estende a tutti i prodotti connessi al risparmio d'energia la normativa sulla progettazione ecocompatibile (ecodesign). Oltre a televisioni e computer, anche finestre, materiali isolanti e rubinetti, ad esempio, dovranno rispettare prescrizioni minime per poter essere commercializzati. Con l'informazione dei consumatori s'intendono promuovere prodotti a basso impatto ambientale. Entro il 2012, si valuterà l'opportunità di includere altri prodotti.

 

Con 394 voti favorevoli, 13 contrari e 3 astensioni, il Parlamento ha approvato un maxiemendamento di compromesso negoziato con il Consiglio dal relatore Magor-Imre CSIBI (ALDE:ADLE, RO) in merito alla proposta di estendere il campo d'applicazione della direttiva quadro sulla progettazione ecocompatibile al fine di coprire altri prodotti connessi all'energia, diversi da quelli che consumano energia. Ciò consentirà di elaborare, attraverso misure di esecuzione, disposizioni armonizzate e vincolanti per la progettazione ecocompatibile di tali prodotti, per garantire che non siano pericolosi per l'ambiente. La direttiva, infatti, con la definizione di prescrizioni minime per l'immissione sul mercato dei prodotti, intende anche contribuire allo sviluppo sostenibile «accrescendo l'efficienza energetica e il livello di protezione ambientale» e, allo stesso tempo, migliorare la sicurezza dell'approvvigionamento energetico.

 

In pratica, l'attuale normativa che si applica a prodotti che consumano energia - quali scaldabagni, boiler, computer e televisioni - viene estesa a qualsiasi prodotto avente «un impatto sul consumo energetico durante l'utilizzo e che viene immesso sul mercato e/o messo in servizio nell'Unione europea ... e le cui prestazioni ambientali possono essere valutate in maniera indipendente». Anche perché, come sottolineato da un emendamento proposto dai deputati e accolto dal Consiglio, «molti prodotti connessi e non connessi all'energia presentano significative potenzialità di ridurre il loro impatto ambientale e attuare l'efficienza delle risorse e del materiale attraverso una migliore progettazione». Infatti, durante il loro uso, possono contribuire a significativi risparmi energetici anche prodotti che non consumano energia in quanto tale ma che hanno un impatto sul consumo energetico, come finestre e materiali isolanti nell'edilizia, o dispositivi che consumano acqua. A titolo d'esempio, la progettazione ecologica di docce e rubinetti può ridurre il consumo di acqua e, quindi, la domanda energetica complessiva per il suo riscaldamento.
 

La direttiva non si applica però ai mezzi di trasporto di passeggeri o merci (già soggetti a norme UE). D'altra parte, entro il 2012, la Commissione dovrà verificare l'efficacia della direttiva e delle relative misure di esecuzione, comprese la metodologia per l'identificazione e la copertura dei parametri ambientali significativi, come l'efficienza delle risorse, prendendo in considerazione l'intero ciclo di vita dei prodotti, la soglia di dette misure, i meccanismi di sorveglianza del mercato e le pertinenti misure di autoregolamentazione. Alle luce dei risultati della verifica, la Commissione dovrà valutare l'opportunità di estendere il campo d'applicazione della direttiva ai prodotti non connessi all'energia al fine di ottenere una riduzione significativa dell'impatto ambientale durante tutto il loro ciclo di vita.

 

Entro 21 ottobre 2011, la Commissione dovrà stabilire un piano di lavoro che fissi per i tre anni successivi un elenco indicativo di gruppi di prodotti da considerare prioritari per l'adozione di misure di esecuzione. Nella fase transitoria, tuttavia, in sede di elaborazione del primo piano di lavoro, la Commissione introdurrà, se del caso, misure di esecuzione cominciando dai prodotti che siano stati identificati dal programma europeo per il cambiamento climatico «in quanto presentano un potenziale elevato per una riduzione efficiente in termini di costi delle emissioni di gas ad effetto serra», quali impianti di riscaldamento e di produzione di acqua calda, sistemi a motore elettrico, illuminazione domestica e nel settore terziario, apparecchi domestici e per ufficio, elettronica di consumo, nonché sistemi commerciali di riscaldamento, ventilazione e condizionamento dell'aria. Potrà anche definire una misura di esecuzione distinta volta a ridurre le perdite in stand-by per un gruppo di prodotti.

 

Come previsto dall'attuale direttiva, nell'ambito dei programmi di cui possono beneficiare le PMI e le microimprese, la Commissione deve tenere conto delle iniziative che le possano aiutano ad integrare gli aspetti ambientali, tra cui l'efficienza energetica, in sede di progettazione dei propri prodotti. Linee guida che coprano le specificità delle PMI attive nel settore produttivo interessato potranno accompagnare una misura di attuazione. Se necessario, potrà essere prodotto ulteriore materiale specializzato da parte della Commissione per facilitare l’attuazione della presente direttiva da parte delle PMI. Infine, gli Stati membri dovranno garantire il loro incoraggiamento alle PMI e alle microimprese, soprattutto rafforzando le reti e le strutture di sostegno, affinché adottino un sano approccio ambientale sin dalla fase di progettazione del prodotto e si adeguino alla futura normativa europea.

 

 

Link utili

 

Maxiemendamento di compromesso
Attuale direttiva sull'ecodesign (
testo consolidato)
Sito della Commissione sull'ecodesign

 

 

Riferimenti

 

Magor-Imre CSIBI (ALDE:ADLE, RO)

Relazione sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all'istituzione di un quadro per l'elaborazione di specifiche per la progettazione ecocompatibile dei prodotti connessi all'energia (rifusione)

Procedura: Codecisione, prima lettura

Dibattito: 23.4.2009

Votazione: 24.4.2009

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Nuove regole per la moneta elettronica


Il Parlamento ha adottato una direttiva che aggiorna le regole sull'emissione di moneta elettronica e sulla vigilanza prudenziale di tale attività per sviluppare nuovi servizi e aprire il mercato a nuovi operatori. Stabilisce quindi i requisiti relativi al capitale iniziale, ai fondi propri e agli obblighi di tutela, nonché le norme sull'emissione e sulla rimborsabilità della moneta elettronica, sull'importo massimo memorizzabile sui dispositivi elettronici, nonché sui reclami e sui ricorsi.

 

Sulla base di un maxiemendamento di compromesso negoziato con il Consiglio dal relatore John PURVIS (PPE/DE, UK), il Parlamento ha adottato - con 364 voti favorevoli, 30 contrari e 1 astensioni - una nuova direttiva che mira a modernizzare le attuali disposizioni in materia di moneta elettronica, permettere lo sviluppo di nuovi servizi di questo tipo che siano innovativi e sicuri, aprire il mercato a nuovi operatori e promuovere una concorrenza reale ed efficace tra tutti i partecipanti al mercato. Gli Stati membri dovranno applicare le nuove misure entro 18 mesi e 20 giorni dalla pubblicazione della direttiva sulla Gazzetta Ufficiale dell'UE.

 

La direttiva fissa le condizioni per l'avvio, l'esercizio dell'attività di emissioni di moneta elettronica, nonché le norme in materia di vigilanza prudenziale. Stabilisce quindi i requisiti relativi al capitale iniziale, ai fondi propri, alle attività che è possibile svolgere parallelamente, agli obblighi di tutela e alle relazioni con i paesi terzi. Fissa inoltre norme sull'emissione e sulla rimborsabilità della moneta elettronica, nonché sulle procedure di reclamo e di ricorso extragiudiziale e sull'importo massimo memorizzabile ai fini della lotta al riciclaggio.

 

Una nuova definizione di e-money

 

Con "moneta elettronica", s'intende «qualsiasi valore monetario immagazzinato elettronicamente o magneticamente rappresentato da un credito nei confronti dell'emittente che sia emesso dietro ricevimento di fondi per effettuare operazioni di pagamento ... e accettato da persone fisiche o giuridiche diverse dall'emittente». Si tratta, ad esempio, dei sistemi Geldkarte in Germania, Proton in Belgio, Moneo in Francia e Mondex nel Regno Unito. Questa definizione copre sia la moneta elettronica detenuta su un dispositivo di pagamento sia quella memorizzata a distanza su un server e gestita tramite un conto specifico. Resta abbastanza generale per «non ostacolare l'innovazione tecnologica» e per includere anche i prodotti che verranno sviluppati in futuro.
 

In questa definizione, tuttavia, non rientra il valore monetario immagazzinato in strumenti che possono essere utilizzati per acquistare beni o servizi solo nella sede utilizzata dall’emittente o in base ad un accordo commerciale con l’emittente, all’interno di una rete limitata di prestatori di servizi o per una gamma limitata di beni o servizi. Ossia, ad esempio, le tessere dei punti vendita, di membro, per il carburante e per i mezzi di trasporto pubblici, i buoni pasto e i buoni per servizi di assistenza ai minori e per lavori domestici. La direttiva non si applica nemmeno alle operazioni di pagamento eseguite tramite qualsiasi dispositivo di telecomunicazione, digitale o informatico.

 

Gli emittenti e la vigilanza prudenziale

 

In forza alla direttiva, gli Stati membri dovranno distinguere le seguenti categorie di emittenti:

 

·         gli istituti creditizi, incluse, ai sensi del diritto nazionale, le succursali con sede nella Comunità degli istituti la cui sede principale si trova al di fuori della comunità;

·         gli istituti di moneta elettronica, incluse le succursali con sede nella Comunità degli istituti la cui sede principale si trova al di fuori della Comunità;

·         gli uffici postali autorizzati a emettere moneta elettronica a norma del diritto nazionale;

·         la Banca centrale europea e le banche centrali nazionali;

·         gli Stati membri o le rispettive autorità regionali e locali ove agiscano in quanto autorità pubbliche.

 

Agli istituti di moneta elettronica sono estese le norme in materia di vigilanza prudenziale applicate agli istituti di pagamento (direttiva 2007/64/CE). Dovranno quindi presentare una domanda di registrazione corredata di numerose informazioni riguardo, ad esempio, il programma di attività, un piano aziendale comprendente una stima provvisoria del bilancio per i primi tre esercizi finanziari, una descrizione dei dispositivi di governo societario e dei meccanismi di controllo interno, una descrizione dell’organizzazione strutturale e l’identità delle persone che detengono partecipazioni nel capitale, degli amministratori e delle persone responsabili della gestione.

 

Inoltre, qualsiasi persona fisica o giuridica dovrà notificare alle autorità competenti l'intenzione di variare la sua partecipazione qualificata in un istituto di moneta elettronica in modo tale che la sua quota di diritti di voti raggiunga, superi o scenda al di sotto del 20, 30 o 50% oppure che l'istituto diventi o cessi di essere una sua impresa figlia. Per i casi in cui la partecipazione sia acquisita nonostante l'opposizione delle autorità competenti, queste ultime, indipendentemente da altre sanzioni da adottare, dovranno prevedere la sospensione dell'esercizio dei relativi diritti di voto, oppure la nullità o l'annullabilità dei voti espressi.

 

Per agevolare l'accesso al mercato, la direttiva prevede una riduzione dell'importo del capitale iniziale da detenere al momento dell'autorizzazione da 1 milione di euro a 350.000 euro (la Commissione proponeva 125.000 euro e i deputati 200.000). I fondi propri, che non potranno essere inferiori al capitale iniziale, saranno calcolati sulla scorta di quanto previsto per gli istituti di pagamento. Per le attività di emissione di moneta elettronica, i fondi propri dovranno essere pari ad almeno il 2% della moneta elettronica media in circolazione. Se gli istituti svolgono attività diverse dall'emissione di moneta elettronica si applicano diversi metodi di calcolo, mutuati dalla direttiva citata. Fermo restando che spetta alle autorità competenti decidere quale metodo è adeguato secondo la normativa nazionale.

 

Gli Stati membri, inoltre, dovranno imporre agli istituti di moneta elettronica di tutelare i fondi ricevuti in cambio della moneta elettronica emessa. In proposito, la direttiva equilibra le caratteristiche meno complicate del regime di vigilanza prudenziale applicabile attualmente agli istituti di moneta elettronica con disposizioni più severe di quelle applicabili agli istituti di credito. Lo scopo è di mantenere parità di condizioni tra gli istituti di moneta elettronica e gli enti creditizi nell'emissione di moneta elettronica «al fine di garantire una concorrenza leale per lo stesso servizio nell'ambito di una più vasta gamma di istituti, a vantaggio dei detentori di moneta elettronica».

 

Per gli istituti che emettono soltanto un volume limitato di moneta elettronica, d'altro canto, gli Stati membri potranno derogare all'applicazione di tutte o parte delle procedure e delle condizioni sulla vigilanza prudenziale per quanto riguarda le disposizioni generali, il capitale iniziale, i fondi propri e gli obblighi di tutela dei fondi. A condizione però che siano soddisfatte precise condizioni fissate dalla direttiva stessa.

 

La relazione che la Commissione dovrà presentare entro il 1° novembre 2012 sull'applicazione e l'impatto della direttiva, dovrà esaminare in particolare l'applicazione dei requisiti prudenziali e, se del caso, avanzare una proposta di revisione.

 

Attività supplementari degli istituti di emissione di moneta elettronica

 

Attualmente gli istituti di moneta elettronica non possono svolgere attività diverse dall’emissione di moneta elettronica, mentre gli altri istituti di pagamento possono essere autorizzati a prestare attività commerciali diverse dalla prestazione di servizi di pagamento. Per garantire la parità di trattamento, oltre all'emissione di moneta elettronica, gli istituti di moneta elettronica saranno autorizzati a esercitare taluni servizi contemplati dalla direttiva sui servizi di pagamento. Non potranno però effettuare la raccolta di depositi o altri fondi rimborsabili dal pubblico.

 

Accordi con i paesi terzi per le imprese con sede extra UE

 

Il regime applicato alle succursali degli istituti di moneta elettronica aventi la loro sede fuori della Comunità sarà analogo in tutti gli Stati membri, ma non dovrà essere più favorevole di quello delle succursali degli istituti originari di uno Stato membro. La Comunità dovrà poter concludere accordi con paesi terzi che prevedano l'applicazione di disposizioni che accordino a tali succursali un trattamento identico in tutto il suo territorio. Le succursali degli istituti di moneta elettronica aventi la loro sede fuori della Comunità non potranno però beneficiare della libera prestazione di servizi né della libertà di stabilimento in Stati membri diversi da quello in cui sono stabilite.

 

Emissione e rimborsabilità della moneta elettronica

 

Fatte salve le misure transitorie relative agli istituti che hanno abbiano avviato la loro attività entro una certa data, gli Stati membri dovranno vietare l'emissione di e-money alle persone fisiche e giuridiche che non sono emittenti di moneta elettronica. Dovranno poi garantire che gli istituti emettano moneta elettronica «al valore nominale dietro ricevimento di fondi» e vietare la concessione di interessi o di qualsiasi altro beneficio legato alla durata di detenzione di moneta elettronica da parte del detentore della stessa.

 

Gli istituti dovranno rimborsare, su richiesta del detentore, in qualsiasi momento e al valore nominale, il valore monetario della moneta elettronica detenuta. Il contratto tra l'emittente e il detentore di moneta elettronica dovrà inoltre indicare «chiaramente ed esplicitamente» le condizioni del rimborso, «comprese le relative spese», e il detentore dovrà essere informato di tali condizioni prima della sottoscrizione di qualsiasi contratto od offerta.
 

Più in particolare, il rimborso potrà essere soggetto al pagamento di una commissione «soltanto se previsto dal contratto» e se il rimborso richiesto prima della scadenza del contratto, o se il contratto prevede una data di scadenza e il detentore di moneta elettronica rescinde il contratto prima di tale scadenza, oppure se è richiesto più di un anno dopo la data di scadenza del contratto. Tale commissione, in ogni caso, dovrà essere proporzionata e «commisurata ai costi reali sostenuti dall'emittente». Inoltre, qualora il rimborso sia richiesto prima della data di scadenza del contratto, il detentore di moneta elettronica potrà richiedere una parte o la totalità del valore monetario della moneta elettronica. Se invece il rimborso è richiesto alla data di scadenza del contratto o fino a un anno dopo tale data, dovrà essere restituito il valore monetario totale della moneta elettronica detenuta.

 

Ai fini della lotta contro il riciclaggio, è modificata la pertinente direttiva introducendo gli importi massimi di moneta elettronica memorizzabili entro i quali gli Stati membri possono autorizzare a non applicare gli obblighi di adeguata verifica della clientela. Se il dispositivo non è ricaricabile l'importo non dovrà eccedere 250 euro (contro gli attuali 150 euro). Altrimenti, come accade oggi, vige un limite di 2.500 euro sull'importo totale trattato in un anno civile, salvo il caso in cui un importo pari o superiore a 1.000 euro sia rimborsato al detentore di moneta elettronica nello stesso anno.

 

Infine, la direttiva introduce le procedure di reclamo e di ricorso extragiudiziali per la risoluzione delle controversie tra detentori e emittenti di moneta elettronica. Queste procedure saranno identiche, mutatis mutandis, a quelle previste dalla direttiva sugli istituti di pagamento.

 

 

Link utili

 

Maxiemendamento di compromesso
Direttiva 2000/46/CE riguardante l'avvio, l'esercizio e la vigilanza prudenziale dell'attività degli istituti di moneta elettronica
Direttiva 2007/64/CE relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno
Direttiva 2006/48/CE relativa all'accesso all'attività degli enti creditizi ed al suo esercizio (testo cosolidato)
Direttiva 2005/60/CE relativa alla prevenzione dell'uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo (testo consolidato)
ABI - I sistemi di pagamento in Italia (marzo 2009)

 

 

Riferimenti

 

John PURVIS (PPE/DE, UK)

Relazione sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio riguardante l'avvio, l'esercizio e la vigilanza prudenziale dell'attività degli istituti di moneta elettronica, che modifica le direttive 2005/60/CE e 2006/48/CE e che abroga la direttiva 2000/46/CE

Procedura: Codecisione, prima lettura

Relazione senza dibattito

Votazione: 24.4.2009

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Parità di costi per i pagamenti transfrontalieri nell'UE


Anche agli addebiti diretti transfrontalieri, come agli altri pagamenti intra-UE fino a 50.000 euro trattati elettronicamente (esclusi gli assegni), dovranno essere applicate commissioni uguali a quelle previste per le operazioni nazionali. E' quanto prevede un regolamento adottato dal Parlamento volto a adeguare l'attuale normativa all'emergere dell'area unica dei pagamenti in euro. Intende anche migliorare i diritti dei consumatori, mediante un quadro per i reclami e i ricorsi extragiudiziale.

 

Sulla base di un maxiemendamento di compromesso negoziato con il Consiglio dalla relatrice Margarita STARKEVIČIŪTĖ (ALDE/ADLE, LT), il Parlamento ha adottato - con 396 voti favorevoli, 2 contrari e 8 astensioni - un regolamento che intende sostituire le attuali disposizioni sui pagamenti transfrontalieri per adattarsi alle trasformazioni del mercato (emergere dell'area unica dei pagamenti in euro, SEPA), migliorare la protezione dei diritti dei consumatori e creare un quadro giuridico adeguato per lo sviluppo di un sistema di pagamenti moderno ed efficiente nell'UE.

 

Il regolamento, che si applicherà a partire dal 1° novembre 2009, detta norme sui pagamenti transfrontalieri nella Comunità, assicurando che le commissioni applicate a tali pagamenti siano uguali a quelle applicate ai pagamenti nella stessa moneta effettuati all'interno di uno Stato membro. In altre parole, le commissioni sulle operazioni transfrontaliere non potranno superare quelle applicate alle operazioni nazionali. Con "pagamento transfrontaliero" si intende «un'operazione di pagamento elaborata elettronicamente disposta dal pagatore oppure dal beneficiario, o per il suo tramite, quando i prestatori di servizi di pagamento del pagatore e del beneficiario sono situati in Stati membri diversi».

 

In pratica, se fino ad ora le disposizioni sull'importo delle commissioni si applicano ai bonifici e ai pagamenti intra-UE per mezzo carte, tra qualche mese saranno inclusi anche gli addebiti diretti transfrontalieri. Così, ad esempio, un cittadino italiano potrà farsi addebitare sul suo conto italiano le bollette della sua casa in Spagna o la retta universitaria del figlio che studia in Francia, pagando le stesse commissioni che sarebbero praticate se la casa o il figlio fossero in Italia. Questa è una diretta conseguenza di quanto previsto dalla SEPA, la quale prevede l'inizio dell'offerta generalizzata del SEPA Direct Debit entro il 1° novembre 2009, in coincidenza con il recepimento della direttiva sui Servizi di Pagamento (2007/64) che armonizza per tutta la UE le norme relative ai diritti e agli obblighi della prestazione dei servizi di pagamento.
 

Il regolamento riguarda i pagamenti transfrontalieri denominati in euro o nelle monete nazionali degli Stati membri che hanno notificato l'intenzione di estenderne l'applicazione alla loro moneta nazionale. Non si applica, tuttavia, ai pagamenti effettuati da prestatori di servizi di pagamento per loro proprio conto o per conto di altri prestatori di servizi di pagamento.

 

Commissioni per i pagamenti transfrontalieri e i pagamenti nazionali corrispondenti

 

Le commissioni applicate da un prestatore di servizi di pagamento (banca) a un utente per pagamenti transfrontalieri (cliente) fino a 50.000 euro dovranno essere uguali a quelle applicate agli utenti di per pagamenti nazionali corrispondenti dello stesso valore e nella stessa moneta. Più in particolare, il principio delle commissioni uniformi dovrebbe essere applicato ai pagamenti iniziati o terminati su supporto cartaceo o in contanti, che sono trattati elettronicamente lungo la catena di esecuzione, ad esclusione degli assegni, nonché a tutte le commissioni connesse direttamente o indirettamente a un'operazione di pagamento, incluse le commissioni connesse a un contratto, ad esclusione delle commissioni di cambio. Le commissioni indirette includono le commissioni di costituzione di un ordine di pagamento permanente o le commissioni connesse all'uso di una carta di pagamento, di debito o di credito, che dovrebbero essere le stesse per le operazioni di pagamento sia nazionali che transfrontaliere nella Comunità. Nel valutare il livello delle commissioni per un pagamento transfrontaliero, il prestatore di servizi di pagamento dovrà individuare il pagamento nazionale corrispondente, sulla base di orientamenti definiti dalle autorità competenti.

 

Il prestatore di servizi di pagamento, d'altro canto, potrà applicare commissioni supplementari all'utente che non gli comunica i codici IBAN (numerazione internazionale dei conti bancari - "International Bank Account Number") e BIC (codice di identificazione bancario - "Bank Identifier Code") nel chiedergli di eseguire l'operazione di pagamento. Tali commissioni, è precisato, dovranno essere «adeguate, corrispondenti ai costi e concordate tra il prestatore di servizi di pagamento e l'utente di servizi di pagamento». Il regolamento prevede però che il prestatore di servizi debba fornire agli utenti sufficienti informazioni sui codici IBAN o BIC.

 

Procedure per i reclami e di ricorso extragiudiziale

 

Gli Stati membri dovranno istituire procedure che consentano agli utenti dei servizi di pagamento e ad altre parti interessate di presentare reclami alle autorità competenti in relazione a presunte violazioni del regolamento da parte di prestatori di servizi. Dovranno anche istituire procedure di reclamo e di ricorso extragiudiziale adeguate ed efficaci per la risoluzione delle controversie tra gli utenti e i loro prestatori di servizi di pagamento, aventi come oggetto diritti e obblighi derivanti dal regolamento. Per tali procedure potranno ricorrere, se del caso, a organismi esistenti che, comunque, dovranno essere comunicati alla Commissione entro sei mesi dall’entrata in vigore del regolamento.

 

Commissioni d'interscambio per gli addebiti diretti

 

Il regolamento dà inoltre  certezza giuridica  circa la possibilità di prevedere per un periodo di tre anni una commissione interbancaria multilaterale (MIF) che la banca del creditore paga alla banca del debitore per le operazioni di addebito. Per gli addebiti diretti transfrontalieri ciò è possibile istituendo in via eccezionale un importo massimo di 0,088 euro per un periodo transitorio (fino al 1° novembre 2012). Tuttavia le parti partecipanti all'accordo multilaterale sono libere di stabilire un importo inferiore o di accordarsi su una commissione di interscambio multilaterale pari a zero.
 

Obbligo di dichiarazione relativo alla bilancia dei pagamenti

 

A decorrere dal 1° gennaio 2010, gli Stati membri dovranno sopprimere gli obblighi nazionali di dichiarazione dei regolamenti di un massimo di 50.000 euro imposti ai prestatori di servizi di pagamento ai fini delle statistiche della bilancia dei pagamenti in ordine alle operazioni di pagamento dei loro acquirenti. Entro il 31 ottobre 2011, la Commissione dovrà presentare una relazione sull’opportunità di sopprimere gli obblighi di dichiarazione relativi alla bilancia dei pagamenti dei regolamenti, accompagnata eventualmente da proposte adeguate.

 

Riesame

 

Entro il 31 ottobre 2012, la Commissione dovrà presentare al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e alla Banca centrale europea una relazione sull'applicazione del regolamento, accompagnata eventualmente da una proposta. Tale relazione dovrà coprire in particolare l'uso dei codici IBAN e BIC in relazione all'automazione dei pagamenti, l’opportunità del massimale di 50.000 euro cui si applica il principio della parità delle commissioni e gli sviluppi del mercato in relazione all'applicazione degli articoli relativi alle commissioni d'interscambio.

 

 

Link utili

 

Maxiemendamento di compromesso
Proposta della Commissione
Regolamento (CE) n. 2560/2001 relativo ai pagamenti transfrontalieri in euro
Direttiva 2007/64/CE relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno

 

Riferimenti

 

Margarita STARKEVIČIŪTĖ (ALDE/ADLE, LT)

Relazione sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai pagamenti transfrontalieri nella Comunità

Procedura: Codecisione, prima lettura

Dibattito: 24.4.2009

Votazione: 24.4.2009

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L'Afghanistan riveda la legge che discrimina le donne


Il progetto di legge sullo status delle donne sciite non è conforme ai principi di uguaglianza sanciti dalle convenzioni internazionali e incoraggia la discriminazione e l'ingiustizia. E' quanto afferma il Parlamento chiedendo al governo afghano di rivedere la legge e di abrogare tutte le norme che discriminano le donne, nonché di prendere tutte le misure possibili per proteggerle dalla violenza, specie sessuale. Condanna inoltre l'uccisione dei difensori dell'emancipazione delle donne afghane.

 

Con 388 voti favorevoli, 4 contrari e 7 astensioni, il Parlamento ha adottato una risoluzione sostenuta da tutti i gruppi politici (eccetto l'IND/DEM) con la quale chiede la «la revisione del progetto di legge concernente la popolazione sciita in Afghanistan, il cui tenore chiaramente non è conforme al principio di uguaglianza tra uomini e donne quale figura nella Costituzione e nelle convenzioni internazionali». Sottolinea infatti  i rischi che comporta l'adozione di una legislazione la cui applicazione è limitata a talune categorie della popolazione e che, per definizione, «incoraggia la discriminazione e l'ingiustizia». Raccomanda quindi al ministero della Giustizia afghano «di abrogare tutte le leggi che introducono una discriminazione nei confronti delle donne e che sono contrarie ai trattati internazionali di cui l'Afghanistan è parte».

 

In proposito, ricorda che il nuovo progetto di legge sullo status personale delle donne sciite - che interesserebbe dal 15% al 20% della popolazione - «limita fortemente la libertà di movimento delle donne, negando loro il diritto di lasciare le loro case tranne che per "scopi legittimi" ed esigendo da esse che si sottomettano ai desideri sessuali del marito, legittimando in tal modo lo "stupro coniugale"». La legge, inoltre, incoraggia «la discriminazione delle donne nel settore del matrimonio, del divorzio, della successione e dell'accesso all'istruzione».

 

Il Parlamento invita inoltre le autorità afghane, comprese le autorità locali, «a prendere tutte le misure possibili per proteggere le donne contro la violenza sessuale e contro altre forme di violenza basate sul genere, nonché a tradurre davanti alla giustizia gli autori di atti di questo tipo». Ritiene peraltro che i progressi che con grandi sforzi sono stati compiuti negli ultimi anni nel settore dell'uguaglianza tra uomini e donne «non dovrebbero essere sacrificati a mercanteggiamenti preelettorali tra partiti». E, in proposito, incoraggia le candidature femminili alle elezioni presidenziali previste per il 20 agosto prossimo e insiste affinché le donne afghane possano partecipare pienamente al processo decisionale.
 

Ammirando il coraggio delle donne afghane che hanno manifestato a Kabul contro il nuovo progetto di legge, il Parlamento «esprime loro il proprio sostegno» e «condanna le violenze di cui esse sono state vittime durante tali manifestazioni», chiedendo alle autorità afghane di garantire la loro protezione. Inoltre, condanna l'uccisione di difensori dei diritti dell'uomo e dell'emancipazione delle donne afghane, e in particolare il recente assassinio di Sitara Achikzai, parlamentare regionale. Nel dichiararsi poi «atterrito» nell'apprendere che la Corte suprema afghana ha confermato la sentenza di 20 anni di reclusione pronunciata contro Perwiz Kambakhsh per blasfemia, invita il Presidente Karzai a graziarlo e ad autorizzarne la liberazione.

 

Inoltre, i deputati invitano il Consiglio, la Commissione e gli Stati membri a continuare a sollevare la questione della legge sullo status personale delle donne sciite e delle discriminazioni nei confronti delle donne e dei bambini «in quanto inaccettabili e incompatibili con l'impegno di lungo termine contratto dalla comunità internazionale di aiutare l'Afghanistan nel suo sforzo di riabilitazione e di ricostruzione». La Commissione, poi, dovrebbe fornire un aiuto diretto al ministero afghano degli Affari femminili, e promuovere l'integrazione sistematica di un approccio di genere in tutte le sue politiche di sviluppo in Afghanistan. Il Fondo di sviluppo delle Nazioni Unite per la donna (UNIFEM), è infine invitato ad essere «particolarmente vigilante».

 

Riferimenti

 

Risoluzione sui diritti della donna in Afghanistan

Procedura: Risoluzione comune

Dibattito: 24.4.2009

Votazione: 24.4.2009

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Intensificare gli sforzi per la non proliferazione nucleare


Il Parlamento suggerisce al Consiglio di intensificare gli sforzi per attuare il regime di non proliferazione che miri al disarmo nucleare totale. Raccomanda inoltre di rafforzare il mandato dell'AIEA e porre sotto il suo controllo la produzione, l'impiego e il ritrattamento del combustibile nucleare. Auspica poi di approfondire il dialogo con gli USA, apprezzandone il coinvolgimento con l'Iran, e un accordo su un trattato che ponga fine alla produzione di materiale fissile destinato alle armi.

 

Con 271 voti favorevoli, 38 contrari e 29 astenuti il Parlamento ha approvato, la relazione di Angelika BEER (Verdi/ALE, DE) che sottolinea la necessità di rafforzare i tre pilastri del Trattato di Non Proliferazione: non proliferazione, disarmo e cooperazione per uso civile dell'energia. Anche perché la propagazione delle armi di distruzione di massa (WMD) e dei loro vettori, «rappresenta una delle minacce più serie alla sicurezza internazionale». Ricorda infatti che «l'Unione europea si è impegnata a utilizzare tutti i mezzi a sua disposizione per prevenire, scoraggiare e arrestare i programmi di proliferazione nucleare».

 

I deputati raccomandano anzitutto al Consiglio di aggiornare la sua posizione comune del 2005 sulla conferenza di revisione del Trattato di non proliferazione delle armi nucleari (TNP), per assicurarne l’esito positivo nel 2010 attraverso l'ulteriore rafforzamento degli attuali tre pilastri dell’accordo. Suggeriscono quindi di «intensificare gli sforzi per garantire l'attuazione delle norme e degli strumenti del regime di non proliferazione» e di sostenere il miglioramento dei mezzi di verifica della conformità a tutti gli strumenti in vigore. Facendo proprio - con 182 voti favorevoli e 127 contrari - un emendamento del PSE e dei Verdi, l'Aula chiede al Consiglio di adoperarsi «per conseguire l'obiettivo finale di un disarmo nucleare totale, conformemente alla proposta di convenzione sulle armi nucleari».

 

Il Parlamento raccomanda inoltre al Consiglio di appoggiare gli sforzi per rafforzare il mandato dell'AIEA (Agenzia internazionale dell’energia atomica), al fine di garantire che siano messe a disposizione di tale organizzazione risorse sufficienti, affinché possa rendere sicure le attività nucleari. Raccomandano poi «di sostenere le proposte intese a porre la produzione, l'impiego e il ritrattamento di tutto il combustibile nucleare sotto il controllo dell'AIEA, compresa la creazione di una banca internazionale di combustibile nucleare».
 

Notevolmente incoraggiati dal fatto che il Presidente Barack Obama abbia chiaramente illustrato il suo impegno a portare avanti il disarmo nucleare, i deputati chiedono inoltre di approfondire il dialogo con la nuova amministrazione USA e con tutte le potenze nucleari, per perseguire un’agenda comune riguardo alla progressiva riduzione dei depositi di testate nucleari. Chiedono in particolare di appoggiare le misure degli USA e della Russia volte a una riduzione sostanziale dei loro arsenali nucleari. Esprimono poi apprezzamento per la decisione degli Stati Uniti di partecipare pienamente al processo E3+3 con l'Iran.

 

Il Parlamento raccomanda infine al Consiglio di esercitare pressioni ai fini della ratifica del CTBT (Trattato sulla messa al bando totale degli esperimenti nucleari) e del rinnovo dell'accordo START (Trattato per la riduzione delle armi strategiche) e di sviluppare, durante la conferenza di revisione del TNP del 2010, strategie per giungere a un accordo su un trattato che ponga fine alla produzione di materiale fissile destinato alle armi. Conclude poi affermando che «l'accordo così negoziato imporrebbe dunque non soltanto agli Stati non dotati di armi nucleari o a quelli attualmente fuori del TNP, ma anche ai cinque membri del Consiglio di sicurezza dell'ONU, tutti detentori di armi nucleari, di rinunciare alla produzione di materiale fissile destinato alle armi e di smantellare tutti i loro impianti esistenti di produzione di tale materiale».

 

Link utili

 

Posizione comune 2005/329/PESC del Consiglio, del 25 aprile 2005, relativa alla conferenza di revisione del 2005 delle parti del trattato di non proliferazione delle armi nucleari

 

Riferimenti

 

Angelika BEER (Verdi/ALE, DE)

Relazione recante una proposta di raccomandazione del Parlamento europeo destinata al Consiglio sulla non proliferazione e sul futuro del Trattato di non proliferazione delle armi nucleari (TNP)

Procedura: Iniziativa

Dibattito: 23.4.2009

Votazione: 24.4.2009

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