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RESOCONTO

 

15 dicembre 2008

Strasburgo

 

 

 


Orario di lavoro: opt-out e periodi di guardia al centro del dibattito

 

Si è svolto in Aula un dibattito sulla proposta di direttiva relativa all'orario di lavoro. La maggioranza dei gruppi si è detta contraria alla possibilità - sostenuta dal Consiglio - di derogare al massimo di 48 ore di lavoro settimanali (media annuale) e di non considerare come tempo di lavoro quello speso nei periodi di guardia inattiva. Se questa linea sarà confermata da 393 deputati in occasione del voto di mercoledì, si dovrà procedere a un ulteriore esame della proposta (conciliazione).

 

Il dibattito in Aula si è incentrato su due elementi particolarmente controversi della direttiva sull'orario di lavoro: la possibilità di derogare all'orario massimo di 48 ore settimanali di lavoro (opt-out) e la presa in considerazione dei periodi di guardia inattivi nel calcolo delle ore lavorate. La posizione comune del Consiglio generalizza la facoltà dei lavoratori di ricorrere all'opt-out e non considera come tempo di lavoro quello speso durante un periodo di guardia inattiva. Questo approccio è respinto dalla relazione di Alejandro CERCAS (PSE, ES) che prevede quindi emendamenti alla posizione del Consiglio. Tali emendamenti dovranno essere adottati - mercoledì mattina - a maggioranza assoluta (ossia 393 voti), altrimenti prevarrà la posizione del Consiglio. Se uno solo degli emendamenti è approvato, sarà necessario convocare il comitato di conciliazione, incaricato di trovare un compromesso tra Parlamento e Consiglio. La GUE/NGL proporrà di respingere in toto la posizione  comune del Consiglio.

 

Dichiarazione del relatore

 

Alejandro CERCAS (PSE, ES) ha definito la posizione comune del Consiglio «un errore politico e giuridico» sostenendo che il Parlamento deve tenere conto delle preoccupazioni dei cittadini. L'idea di limitare l'orario di lavoro a 48 ore, ha detto, è emersa nel 1919 per garantire il principio "lavorare per vivere" e non "vivere per lavorare" e, pertanto, «non si può tornare indietro su questi progressi». Notando quindi coma la posizione del Consiglio sia «agli antipodi» da quella del Parlamento, ha sottolineato che non si può abrogare un diritto e «tornare a una soluzione del XIX secolo che implica lo sfruttamento dei più deboli e il dumping sociale».

 

A suo parere, l'opt-out previsto dal Consiglio - la possibilità di derogare al principio di massimo 48 ore di lavoro settimanali - avrà «conseguenze nefaste sulla salute e la sicurezza dei lavoratori e rende più difficile la conciliazione della vita familiare e professionale». Il deputato ha anche contestato l'idea del Consiglio di non considerare lavoro i periodi di guardia, in particolare nel settore della sanità. Augurandosi che il Consiglio cambi posizione, il relatore ha auspicato che il Parlamento sostenga il testo da lui proposto.


 

Dichiarazione della presidenza in carica

 

Valérie LETARD ha anzitutto ricordato che la posizione comune del Consiglio è frutto di un compromesso negoziato dalla Presidenza slovena nell'ambito di un pacchetto che include anche la direttiva sul pari trattamento dei lavoratori temporanei, approvata a ottobre dal Parlamento. Ha poi osservato che la Francia era favorevole alla soppressione dell'opt-out ma la sua posizione non ha raccolto sufficienti consensi, restando così minoritaria. Ha quindi sottolineato la necessità di approvare un testo che sia accettabile per tutti, evitare di convocare il comitato di conciliazione e trovare una soluzione equilibrata che possa essere rapidamente applicata.

 

Dichiarazione della Commissione

 

Vladimír ŠPIDLA ha rilevato l'importanza della direttiva per chiarire la situazione giuridica, in particolare per quanto riguarda i periodi di guardia. Ha quindi esortato l'Aula a «tenere conto della realtà»: se nel 2003 l'opt-out era applicato in quattro Stati membri, ora lo è da quindici, e vogliono mantenerlo. Ha anche sottolineato la necessità di garantire condizioni chiare per i lavoratori che accettano la deroga, fissando anche dei limiti massimi.

 

Interventi in nome dei gruppi politici

 

José Albino SILVA PENEDA (PPE/DE, PT) ha notato che, malgrado l'impegno della Presidenza, questa non ha avuto nessun mandato per negoziare un compromesso con il Parlamento, ed ha auspicato che questo possa essere trovato durante la conciliazione. Si è quindi chiesto quali difficoltà vi siano a conformarsi alla sentenza della Corte di giustizia in merito alla contabilizzazione come lavoro dei periodi di guardia. Ha poi rilevato che la necessaria flessibilità può essere ottenuta con l'annualizzazione del periodo di riferimento (in base al quale si calcolerebbe la media delle 48 ore settimanali). Ha quindi concluso ricordando che la base giuridica della direttiva è quella relativa alla salute e alla sicurezza dei lavoratori.

 

Per Jan ANDERSSON (PSE, SE) occorre definire regole minime sulla sicurezza e la salute dei lavoratori ed è anche possibile garantire la flessibilità necessaria. Ha quindi respinto la posizione del Consiglio riguardo ai periodi di guardia e all'opt-out che, a suo parere, va soppresso poiché non lascia una vera scelta ai lavoratori.

 

Elizabeth LYNNE (ALDE/ADLE, UK) ha sottolineato che la posizione del Consiglio «non è l'ideale» ma gli sono voluti diversi anni per raggiungere un accordo. Si è poi detta favorevole all'opt-out a condizione che i lavoratori abbiano una vera possibilità di scelta e che siano evitati gli abusi. Si è poi detta favorevole a considerare lavoro i periodi di guardia, ma contraria alla possibilità - prevista dal testo del relatore - di poter derogare al principio tramite contratti collettivi. Ha quindi auspicato che il Consiglio modifichi la sua posizione e che si possa trovare un accordo nel corso della conciliazione.

 

Per Elisabeth SCHROEDTER (Verdi/ALE, DE), troppo lavoro «fa male alla salute, aumenta l'assenteismo e mette a rischio la sicurezza». Le deroghe, a suo parere, non garantisce quindi l'obiettivo della direttiva di assicurare la sicurezza e la salute. Si è quindi detta d'accordo con il relatore di sopprimere la deroga dopo tre anni e di considerare come orario di lavoro i periodi di guardia. L'annualizzazione del periodo di riferimento, inoltre, garantisce la necessaria flessibilità a condizione che non siano rimessi in discussione i periodi di riposo obbligatori.

 

Roberta ANGELILLI (UEN, IT) ha anzitutto osservato che, da parte del Consiglio, «non c'è stato uno sforzo adeguato per dialogare efficacemente con il Parlamento». Ha poi sottolineato che ogni compromesso al ribasso «si consuma sulla pelle dei lavoratori e che quindi un compromesso a tutti i costi può avere un prezzo da pagare in termini di salute, di sicurezza e di conciliazione tra vita familiare e vita lavorativa». Dicendosi inoltre cosciente dei cambiamenti sopraggiunti nel mondo del lavoro, a maggior ragione a seguito della crisi economica, si è detta convinta della necessità di maggiore flessibilità. Ma, ha precisato, questa si deve ottenere «in un modo equilibrato e soprattutto evitando che in nome dell'emergenza si facciano improprie forzature sui diritti dei lavoratori».

 

Riguardo alle proposte del Consiglio, ha criticato la troppa genericità della clausola di revisione dell'opt-out che, peraltro, non prevede «una data certa». Ha poi parlato di «una specie di velato ricatto» da parte del Consiglio, spiegando che se ci fosse un fallimento sul testo della posizione comune «rimarrebbe l'attuale direttiva con un opt-out senza limiti». In merito alla concezione del tempo di guardia, «che si tende di fatto ad assimilare a tempo di riposo», la deputata ha affermato che «non ci può essere alcun equivoco, perché ogni equivoco è del tutto inaccettabile». Infine, sulla conciliazione, ha sostenuto che questa «non può essere un termine astratto affidato a formulazioni generiche o a termini cosiddetti ragionevoli, che in realtà poi si trasformano in escamotage per derogare alla contrattazione collettiva costringendo di fatto il lavoratore, e soprattutto la lavoratrice, ad accettare le condizioni imposte pur di non perdere il posto di lavoro». Ha quindi concluso affermando di rendersi conto della necessità e dell'utilità di una revisione della direttiva, ma non «a tutti i costi, sostituendo vuoti legislativi con inquietanti ambiguità».

 

Dimitrios PAPADIMOULIS (GUE/NGL, EL) ha respinto la posizione del Consiglio sostenuta, «sfortunatamente», dalla Commissione perché «aiuta gli imprenditori e i neoliberisti e riporta indietro la storia di 90 anni». E' inoltre contraria agli interessi dei lavoratori e viola la sentenza della Corte di giustizia, cercando inoltre di eliminare l'idea della contrattazione collettiva. Il deputato ha quindi sostenuto la necessità di considerare come orario di lavoro i periodi di guardia e si è detto contrario all'opt-out, che «nega l'Europa sociale».

 

Derek CLARK (IND/DEM, UK) ha affermato che il dibattito in corso è «una perdita di tempo» e che i governo britannico gli ha chiesto di sostenere l'opt-out.

 

Interventi dei deputati italiani

 

Roberto MUSACCHIO (GUE/NGL, IT) ha anzitutto ricordato la «grande manifestazione sindacale contro il vero e proprio golpe che il Consiglio ha operato sulla direttiva». Sessantacinque ore e più di orario settimanale, ha proseguito, «sono un vero e proprio assurdo, qualcosa di inaccettabile, così come lo strappo con le regole collettive e gli accordi sindacali». «Lungi dal superare il sistema dell'opt-out, degli accordi individuali in deroga - ha aggiunto - questi vengono addirittura generalizzati; si annualizza il calcolo dell'orario di lavoro determinando una flessibilità estrema e si rendono i riposi anch'essi aleatori e alla mercé delle convenzioni aziendali, così come si vuole considerare il tempo di lavoro inattivo come lavoro parziale, parzialmente riconosciuto e retribuito». Insomma: «inaccettabile».

 

«La politica dello sfruttamento a dismisura del lavoro mentre tanti lavoratori sono disoccupati - ha poi affermato - è il simbolo di una svalorizzazione del lavoro stesso che è tanta parte della crisi che attraversiamo». Ha quindi concluso auspicando che «il Parlamento ascolti la manifestazione di domani e reagisca a questo golpe del Consiglio per riaffermare anche in questo modo la propria sovranità».

 

Pier Antonio PANZERI (PSE, IT) ha affermato anzitutto che «non si sentiva assolutamente la necessità e il bisogno di voler cambiare questa direttiva sull'orario di lavoro», auspicando che il dibattito serva a confermare quanto è emerso dal voto in commissione affari sociali e occupazione del Parlamento. Ha poi rilevato che la presenza dei medici al Parlamento e la manifestazione convocata dalla Confederazione europea dei sindacati intende respingere il compromesso raggiunto in Consiglio sulla direttiva.

 

Ha poi spiegato che occorre porsi due chiari obiettivi. Quello «di mantenere nell'Unione europea 48 ore come orario massimo di lavoro settimanale, e perciò superare la clausola dell'opt-out che rischierebbe di derogare tale orario massimo, rendendo possibile il raggiungimento fino a 60 o 65 ore settimanali di lavoro». E, riguardo al tempo di guardia, quello di non considerarlo come periodo di lavoro inattivo, bensì «orario di lavoro a tutti gli effetti». Così come «è giusto salvaguardare il diritto ad un periodo di riposo compensativo per il personale medico». Questi obiettivi, ha insistito, «possono e debbono essere comuni a tutto il Parlamento perché rappresentano la strada per evitare un'alterazione dei fattori competitivi interni all'Europa, basati sul dumping sociale e maggiore sfruttamento delle persone che lavorano». Si è quindi  augurato che i colleghi convergano su queste posizioni «perché si affermi davvero una nuova Europa sociale».

 

Patrizia TOIA (ALDE/ADLE, IT) ha respinto la proposta del Consiglio «che travolge il buon punto di equilibrio trovato a suo tempo», spiegando che essa «segna un oggettivo arretramento su molti punti del lavoro, lavoro/vita, del rapporto lavoro/vita, del rapporto lavoro/garanzie ed è una scelta che indebolisce i diritti dei lavoratori». Ha poi voluto fugare ogni dubbio che si tratti di una difesa di diritti sindacali e corporativi. Ha infatti precisato di agire «per conto dei cittadini» e pensando «ai loro diritti sociali, che sono fondamentali». Ha quindi sostenuto che non è una «buona Europa quella che non fa passi avanti, mentre il mondo va avanti, e che fa vistosi errori di prospettiva scambiando l'indebolimento delle tutele con la flessibilità e la libertà». E ciò, ha aggiunto, «è tanto più grave nel momento in cui l'Europa vive la sua crisi peggiore e non vede prospettive di prosperità e di crescita».

 

«Se non capiamo che in questo momento milioni di lavoratori sono a rischio del posto di lavoro e si sentono in uno stato di debolezza e di precarietà e non hanno certo la capacità contrattuale volontaria, altro che optout, allora devo dire che noi non abbiamo cognizione di ciò che sta accadendo realmente nella vita sociale e familiare degli europei», ha detto. Ha quindi dato il proprio sostegno alle proposte del relatore, augurandosi «che tutto il Parlamento lo faccia». Vista l'indisponibilità del Consiglio a negoziare in questa fase, ha concluso, il Parlamento dovrà «conquistare in sede di conciliazione una sede di confronto e di trattativa».

 

Per Mario MAURO (PPE/DE, IT) «il frutto del lavoro non è appena la produzione di beni e di servizi, ma è un vero e proprio compimento di un progetto di vita, il compimento di quel desiderio che ci porta a cercare la felicità». È quindi opportuno, ha sottolineato, «che le decisioni su politica di lavoro vengano prese in modo ponderato avendo cuore per i propri giudizi». Ha quindi affermato di ritenere «saggio» che il Parlamento «favorisca la procedura di conciliazione, sostenendo da un lato la posizione del relatore, ma soprattutto gli emendamenti del collega Peneda». Ha infatti concluso sostenendo la necessità di garantire che il tempo di guardia nelle professioni sanitarie «venga riconosciuto fino in fondo come tempo di lavoro».

 

 

Link utili

 

Posizione comune del Consiglio
Prima lettura del Parlamento europeo
Direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro

 

Riferimenti

 

Alejandro CERCAS (PSE, ES)

Relazione relativa alla posizione comune del Consiglio in vista dell'adozione della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 2003/88/CE concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro

Procedura: Codecisione, seconda lettura

Dibattito: 15.12.2008

Votazione:17.12.2008
 

 
 

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