L'Irlanda ha detto sì al nuovo 
										Trattato dell'UE: cosa vuol dire?
										
										I cittadini irlandesi hanno votato 
										venerdì scorso a larga maggioranza a 
										favore del Trattato di Lisbona, 
										ribaltando l'esito di un'analoga 
										consultazione tenuta poco più di un anno 
										fa. Il significato di questo voto è 
										importante e si può analizzare sotto 
										(almeno) due punti di vista: quello 
										della costruzione europea e quello dei 
										cittadini europei.
										Prima domanda: cosa 
										significa questo voto positivo per il 
										processo di costruzione europea? 
										Insomma, per l'UE in quanto soggetto 
										istituzionale e politico chiamato ad 
										affrontare le nuove sfide della crisi e 
										della globalizzazione? Il Sì irlandese 
										rappresenta un passo in avanti 
										importante per l'Europa. Esso elimina lo 
										scoglio più alto rimasto nella 
										navigazione istituzionale dell'Unione, 
										partita oltre dieci anni fa da Nizza con 
										un Trattato inadatto alle nuove sfide, e 
										quasi arrivata a Lisbona attraverso, 
										appunto, Dublino. Ci sarebbe piaciuto 
										scrivere l'"ultimo" scoglio, ma 
										purtroppo dei 27 Paesi che devono 
										ratificare il testo per la sua entrata 
										in vigore ne manca uno, quella 
										Repubblica Ceca il cui Presidente Klaus 
										continua a remare contro e a non 
										sottoscrivere una ratifica già concessa 
										dal Parlamento del suo Paese. Ma se per 
										un attimo non consideriamo questo triste 
										aspetto, diremmo che l'adozione del 
										Trattato permetterà alle istituzioni 
										dell'Unione di funzionare meglio, al 
										Parlamento di aumentare i suoi poteri 
										accrescendo così la democraticità del 
										progetto, e all'Europa di agire con più 
										forza in molti settori in cui ancora 
										oggi sembra impotente (uno su tutti, 
										d'estrema attualità: l'immigrazione).
										E dal punto di vista politico? 
										Si può dire che il sì irlandese realizzi 
										il matrimonio tra l'Unione e i suoi 
										cittadini, e quindi renda il progetto 
										dell'Unione europea "popolare"? Non 
										credo. Le ragioni del cambio di rotta 
										degli irlandesi in un solo anno non mi 
										sembrano legate direttamente alla bontà 
										del progetto. Secondo alcuni le paure 
										create dalla crisi hanno convinto gli 
										irlandesi a non isolarsi e a ritenere 
										l'Europa un'ancora di salvataggio. Noi 
										siamo ovviamente convinti che sia così, 
										per gli irlandesi e per tutti gli altri, 
										compresi noi italiani. Ma un anno fa, 
										per spiegare il no di Dublino, si diceva 
										che la paura (dell'apertura economica e 
										sociale) fosse alla base del "no", cosi 
										come lo era stata nel caso dei "no" alla 
										Costituzione in Francia e in Olanda nel 
										2005. Del resto, analoghi approcci quali 
										localismo o protezione sono alla base di 
										posizioni "euroscettiche" presenti anche 
										in Italia, soprattutto nelle regioni più 
										ricche del Nord. Forze contrarie 
										all'approfondimento del progetto europeo 
										dicono oggi, ad esempio, che "l'UE fa 
										poco e male sull'immigrazione". Bene, 
										con il Trattato di Lisbona l'UE potrà 
										fare "molto e bene", sull'immigrazione e 
										non solo. Basta che lo vogliano quelli 
										che restano sostanzialmente i padroni 
										del gioco, anche con Lisbona, ovvero i 
										Paesi membri dell'UE e i loro Governi. 
										Questi ultimi resteranno protagonisti 
										fin quando non si realizzerà una vera 
										Unione in senso federalista, completo: 
										una prospettiva questa oggi molto ma 
										molto lontana. Perché da che Europa è 
										Europa (e qui è meglio eliminare gli 
										elementi di confusione e parlare 
										chiaro), l'Europa la fanno i Governi, 
										spinti o frenati da alcune personalità 
										più (esempio: i padri fondatori, Delors, 
										o la coppia Kohl - Mitterrand per l'euro 
										e più tardi la riunificazione) o meno 
										"illuminate". Non l'hanno mai fatta i 
										cittadini che, a parte appunto le élites, 
										non hanno mai veramente "sentito" 
										l'urgenza di una costruzione europea 
										politica e forte.    
										Seconda domanda: cosa 
										significa questo voto per tutti i quasi 
										500 milioni di cittadini dell'Unione 
										europea, inclusi noi italiani? Molto 
										più di quanto non immaginiamo, e in ogni 
										caso di quanto non percepisca il 
										cittadino comune attraverso il sistema 
										di comunicazione nazionale...
										Matteo Fornara
										Rappresentanza a Milano 
										
										
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